Cina: zero Covid e poco Pil | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Rallentamento economico

Cina: zero Covid e poco Pil

15 luglio 2022

La politica di tolleranza zero sul covid, tra restrizioni e lockdown improvvisi, sta frenando la crescita cinese ed è un problema per tutti.

 

La strategia ‘zero covid’ voluta da Pechino frena la crescita cinese. Nel secondo trimestre del 2022, il Pil del paese è cresciuto appena dello 0,4%, ben al di sotto delle previsioni intorno all’1%, e rallentando bruscamente dal 4,8% del primo trimestre. Si tratta del peggiore risultato dall’inizio del 2020, quando il paese fu colpito dalla prima ondata di Covid-19, e il secondo peggior risultato da oltre trent’anni. Una frenata decisa, che mette a rischio l'obiettivo di crescita economica fissato per quest’anno al 5,5%. Sui dati del National Bureau of Statistics – secondo gli osservatori – pesa la crisi immobiliare e soprattutto la battaglia intrapresa da Pechino per sradicare i focolai di coronavirus nel paese. In nome della politica ‘zero covid’ negli ultimi mesi il governo cinese ha imposto lunghi lockdown improvvisi anche totali in diverse città e pesanti restrizioni alla mobilità, che hanno zavorrato la ripresa economica della Cina. La ridotta performance cinese alimenta timori anche al di là dei confini nazionali, mentre i responsabili politici di tutto il mondo, alle prese con le sfide della guerra in Ucraina e le interruzioni delle catene di approvvigionamento, sono costretti ad aumentare i tassi di interesse per frenare l'inflazione, e ovunque cresce lo spettro di una recessione economica globale. 

 

 

I lockdown affossano l’economia?

Se da tempo ormai i governi occidentali hanno allentato le restrizioni per contenere il diffondersi dei contagi, in Cina la strategia zero covid continua ad imporre lockdown durissimi e improvvisi per sradicare ogni piccolo focolaio presente nel paese. Una strategia che aveva funzionato nel corso del 2021 consentendo ai cinesi di riprendere una vita più o meno normale mentre l’Europa era flagellata dal susseguirsi di ondate pandemiche, ma che è andata in tilt negli ultimi mesi. Con la comparsa di Omicron e delle sue varianti, estremamente contagiose, mantenere l’obiettivo ‘zero covid’ perseguito da Pechino ha imposto un prezzo altissimo alla popolazione cinese. L’esempio più lampante è stato quello di Shanghai, cuore finanziario e commerciale del paese, megalopoli da 26 milioni di abitanti, costretta ad un lockdown durato più di due mesi durante i quali i cittadini hanno denunciato mancanza di generi alimentari e accesso alle cure mediche. Al momento, secondo un'analisi della banca d'investimento giapponese Nomura, sono 31 le città cinesi in lockdown totale o parziale, con ricadute su 250 milioni di persone in regioni che rappresentano circa il 17,5% dell'attività economica del paese. Ad aggiungere ulteriore pressione sull'amministrazione del presidente cinese Xi Jinping – che ha fatto della strategia ‘zero covid’ uno dei suoi cavalli di battaglia – la disoccupazione giovanile è salita a un livello record del 19,3%.

 

Una scommessa rischiosa?

Dopo la visita a Hong Kong per i 25 anni dall’handover in questi giorni Xi Jinping ha visitato la regione autonoma dello Xinjiang. Celebrare il raggiungimento del pieno controllo sulle due aree più turbolente del paese significa molto per il presidente che, in occasione del XX Congresso del partito in autunno, punta ad ottenere, dopo aver eliminato il limite di due mandati nel 2018, una terza e inedita rielezione alla guida della Cina. Ma a mettersi tra Xi e il suo obiettivo potrebbero non essere più i riottosi hongkonghesi né la minoranza uigura. Il malessere serpeggia nella società cinese – stanca di test di massa, monitoraggi e isolamento rigoroso – e sembra aver creato uno iato tra il presidente e la classe media. Pechino ha avuto solo poche infezioni di recente, ma i suoi oltre 21 milioni di residenti devono fare lunghe file per i test ogni tre giorni per accedere agli edifici pubblici e persino nei negozi. Quando viene confermato un caso di Covid, un intero sobborgo può essere rapidamente transennato. Oggi chiunque in Cina vive nell’incertezza e il governo raccomanda a tutti i cittadini di tenere sempre in casa scorte alimentari e di prima necessità per almeno 15 giorni, in caso di improvviso lockdown. Il mondo osserva chiedendosi per quanto ancora le persone lo sopporteranno.

 

L’ombra lunga della recessione?

La frenata della Cina non è una buona notizia per nessuno: un’economia cinese priva di slancio indebolisce la resilienza globale nei confronti degli shock multipli a cui i mercati sono costretti: pandemia, guerra, inflazione, crisi energetica. “Nei fatti, sottolinea il Sole24ore, l’economia di Pechino è sull’orlo della stagflazione. La produzione industriale cinese è cresciuta del 3,9% a giugno rispetto all’anno precedente, accelerando da un aumento dello 0,7% a maggio. Gli investimenti nel settore immobiliare, un fattore trainante per Pechino, sono cresciuti del 6,1%, oltre le previsioni. Anche le vendite al dettaglio sono migliorate, in aumento del 3,1% su base annua a giugno segnando la crescita più rapida in quattro mesi. Ma questo dimostra soltanto che il freno principale ai consumi sono stati i lockdown”. Ciononostante, il presidente Xi Jinping ha promesso di mantenere l'approccio di ‘tolleranza zero’ sottolineando la necessità di “mettere le persone e la vita al primo posto”. Il rischio, con la Cina alle prese con i lockdown, le pressioni sul settore immobiliare e gli effetti collaterali legati alla guerra è che i mercati non possano più fare affidamento sulla seconda economia mondiale come ‘cuscino’ contro la recessione.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 

Ti potrebbero interessare anche:

Regno Unito: sciopero generale
Myanmar: a due anni dal golpe
Africa: nuove sfide per Pechino
Elisa Gambino
University of Manchester
Debito Usa: il tetto che scotta
Podcast Globally: la Cina affronta il capodanno
Cina: back in business?

Tags

Cina Asia economia
Versione stampabile

Iscriviti alla Newsletter Daily Focus

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157