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Proteste ed economia

Cina: Zero Covid, tempesta perfetta

29 novembre 2022

In Cina la strategia zero-Covid opprime la società e affossa l’economia. Mentre tensioni e incertezza sul futuro agitano i mercati.

 

Il governo cinese passa alle contromisure e dopo giorni di proteste in diverse città del paese ha schierato le forze dell’ordine per disperdere eventuali assembramenti. Nella serata di ieri, ronde di poliziotti hanno scoraggiato nuove manifestazioni e in alcuni casi arrestato i cittadini scesi in strada per protestare contro le restrizioni “a tempo indeterminato” previste dalla strategia zero-Covid imposta da Pechino. Questa mattina nella capitale, come a Shanghai e in altri centri, riferisce il Guardian, era possibile vedere la polizia che pattugliava ancora le aree dove sui social media alcuni gruppi avevano suggerito alle persone di radunarsi. Su Twitter, Wechat e Weibo numerosi utenti hanno raccontato di controlli a campione sui telefoni dei passanti per verificare se avevano immagini o video di proteste o se avessero attivato reti private virtuali (VPN) utilizzate dai manifestanti nel fine settimana. Diversi utenti hanno anche condiviso istruzioni su come proteggere i dati cellulari da controlli della polizia. Le proteste e le manifestazioni di disobbedienza civile sono un fenomeno senza precedenti nella Cina del presidente Xi Jinping a cui il mondo guarda con attenzione crescente: se è difficile ipotizzare un cambiamento di rotta, che equivarrebbe ad ammettere la sconfitta di una politica fortemente rivendicata dal Partito comunista e dallo stesso leader, è possibile che alcune misure saranno ammorbidite. Che questo basti a far rientrare le tensioni, però, è tutto da vedere.

 

 

Un eterno 2020?

Per il Partito comunista cinese non è facile far fronte al malcontento e allentare le restrizioni imposte alla popolazione che osserva incredula come, nel resto del mondo, si stia tornando verso la normalità pre-pandemica. In Cina, infatti, la strategia ‘zero covid’ è oggi l’unica arma per combattere il virus: la popolazione non è adeguatamente immunizzata, soprattutto nelle fasce più a rischio e i vaccini locali non hanno dimostrato la stessa efficacia di quelli occidentali a tecnologia mRna. La scelta di Pechino di non importare i vaccini Pfizer e Moderna, dettata da motivazioni politiche più che dall’esigenza sanitaria, ha infilato il paese in una situazione estremamente complessa. Secondo gli esperti, se a partire da domani la Cina abbandonasse la politica zero-Covid, nel paese si registrerebbero in poche settimane circa 363 milioni di infezioni, 5,8 milioni di cinesi finirebbero in pronto soccorso e, di conseguenza, si registrerebbero almeno 620mila morti. Per questo, pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a un’imminente riapertura. Questa situazione potrebbe invece persistere per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una exit strategy che, al momento, fa notare l’Economist, “significa operare una scelta: lasciarsi sfuggire il controllo del virus o perdere sostegno della popolazione”.

 

Zero Covid, poco Pil?

Come se non bastassero gli altissimi costi sociali, gli effetti della strategia zero-Covid sull’economia cinese sono inequivocabili: i continui lockdown, le quarantene e i controlli a tappeto scoraggiano i consumi interni e la mobilità. Durante la settimana del 14 novembre, con l'aumento dei contagi, il numero di voli interni è diminuito del 45% su base annua. Nei primi nove mesi del 2022 le tre maggiori compagnie aeree cinesi hanno perso un totale di circa 9 miliardi di euro. Il traffico della metropolitana nelle dieci città più grandi della Cina è diminuito del 32% mentre i ricavi al botteghino, indicatore della disponibilità delle persone a uscire, sono crollati del 64%. Alcuni dei più grandi cinema e centri commerciali del paese hanno chiuso del tutto i battenti. Allo stato attuale, a fronte di circa 40mila contagi registrati, i lockdown interessano città che messe insieme – secondo l’istituto di analisi Nomura – producono circa un quinto del Pil cinese. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto a luglio il livello record del 19,9%. Significa che un giovane cinese su cinque non trova lavoro. In queste condizioni, le prospettive economiche appaiono fosche. Le agenzie di rating hanno abbassato le previsioni sulla crescita della Cina per quest’anno e il prossimo, citando una riapertura del paese “lenta, costosa e accidentata” con l’aumento dei casi di Covid. La stima di quest'anno è stata ridotta al 2,8% mentre quella del 2023 è stata ribassata al 4%. Le previsioni sono al di sotto delle stime medie del 3,3% per il 2022 e del 4,8% per il 2023.

 

Le tensioni spaventano i mercati?

Per anni la Cina è stata la fabbrica del mondo e un motore vitale della crescita globale, e le turbolenze che attraversa non possono fare a meno di avere delle ricadute sul resto del mondo. Le difficoltà attraversate dalla seconda economia mondiale stanno iniettando nuovi elementi di incertezza e instabilità sui mercati, già alle prese con i contraccolpi della guerra in Ucraina, della crisi energetica e dell’inflazione. In tal senso è chiaro perché gli indici di borsa abbiano reagito con preoccupazione alle proteste ma anche ai nuovi lockdown imposti agli abitanti cinesi, nel timore che i disordini così come nuovi periodi di inattività forzata della produzione e della manifattura, possano incidere sulla crescita economica globale e sulla domanda energetica. “Anche se i leader economici e politici vogliono fare meno affidamento sulla Cina non dovremmo illuderci che ciò possa accadere rapidamente”, osserva Kerry Brown, associato del programma Asia presso Chatham House, ricordando che nel 2021 la Cina è stato il primo importatore di petrolio al mondo e ha prodotto quasi il 30% delle merci a livello globale. “Le dimensioni della Cina sono un richiamo per le aziende americane ed europee che cercano non solo di realizzare prodotti in modo rapido ed economico, ma anche di venderli in gran numero. Non c'è alternativa a ciò che la Cina offre in termini di dimensioni e capacità, perché semplicemente non c’è nessun altro mercato così grande”.

 

Il commento

Di Filippo Fasulo, Co-Head, Osservatorio geoeconomia ISPI

"La persistenza di Xi Jinping sulla politica zero-Covid rischia di presentare un conto molto salato. Da anni la Cina dichiara di voler puntare sui consumi come nuovo motore di crescita, ma il comparto non è mai tornato ai livelli di crescita pre-pandemia e i lockdown aggravano la situazione. Già in primavera si erano toccate punte di -11% per le vendite al dettaglio che avevano portato a un calo del -2,6% del Pil nel secondo trimestre solo parzialmente recuperato nel terzo (3,9%). Con le nuove restrizioni appena cominciate e che danneggeranno i consumi sotto le feste è difficile immaginare una crescita annuale sopra il 3%. Il peggior risultato economico da decenni dopo il 2020 (un 2,2% ottenuto però in un anno di recessione globale) è ormai in vista".

 

***

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online

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