Il 9 novembre del 1989 è ricordato come il giorno in cui cadde il Muro, il giorno in cui finì la Guerra fredda e la divisione della Cortina di Ferro. La struttura in cemento divise fisicamente la Germania tra est e ovest, tra socialismo e liberalismo. Quel giorno l’ideologia comunista perse la “guerra” contro il liberalismo e il capitalismo. Quelli che per più di mezzo secolo furono due paesi divennero uno solo. Quel giorno la frase “la caduta del Muro” entrò nel nostro vocabolario colloquiale per denotare la fine di una divisione, una riconciliazione, una riappacificazione e quindi una riunificazione.
Eppure, un muro è ancora oggi presente in una capitale europea. Non è proprio una struttura fisica ma divide una città e un paese in due. Le entità non sono est e ovest, ma nord e sud. Non sono divise da credo ideologici, ma da linee etno-nazionali. È Nicosia, nell’isola di Cipro. Con “sud” si indica la parte greco-cipriota controllata dalla Repubblica di Cipro, mentre con “nord” ci si riferisce alla cosiddetta “Repubblica Turca di Cipro Nord”.
La Repubblica di Cipro è stata fondata nel 1960 in seguito al dominio coloniale britannico, che vide l’ascesa del nazionalismo nelle più grandi comunità dell’isola, i ciprioti greci e turchi. I greco-ciprioti, la vasta maggioranza dell’isola, si battevano per l’enosis (l’unione con la Grecia), mentre i turco-ciprioti, che si erano stabiliti dell’isola con la conquista ottomana, domandavano il taksim (la partizione). Gli obiettivi in conflitto dei due gruppi e la politica britannica del dividi et impera condusse alla fine alla lotta armata anti-coloniale dei greco-ciprioti (1955-1959). I dirigenti politici delle due comunità dell’isola e quelli di Gran Bretagna, Turchia e Grecia raggiunsero quindi un accordo sull’indipendenza di Cipro. Non essendo stati compiuti i desideri di nessuna delle due comunità, la neo-nata Repubblica di Cipro era vista come una “Repubblica riluttante” (Xydis, 1973).
La difficile natura della condivisione del potere provocò presto i primi dissidi. Tra il 1963 e il 1967, scoppiarono violenze inter-etniche, coi turco-ciprioti che pagarono il costo più alto in termine di vittime. Ciò portò alla creazione di diverse enclave turco-cipriote sparse per l’isola. Peter Young, il comandante delle forze di pace britanniche che per prime risposero a queste dispute inter-etniche, aveva disposto le sue truppe in diverse linee attraverso Nicosia e con una penna verde aveva designato sulla mappa delle aree per il cessate-il-fuoco. Young aveva fissato la “Green line”, la separazione simbolica dei due gruppi etnici. Successivamente ,nel 1964, le Nazioni Unite arrivarono sull’isola per sorvegliare la “Green line” che separava le due comunità, stabilendo una zona cuscinetto demilitarizzata (o “Dead Zone”, espressione colloquiale con la quale è conosciuta tra i greco-ciprioti).
La “Green line” è diventata una frontiera invalicabile tra il nord e il sud dopo l’invasione turca di Cipro nel 1974. Il risultato geografico dell’invasione è stato l’occupazione del 36% dell’isola da parte della Turchia, la trasformazione di circa il 2% del territorio in una zona su cui l’ONU fa vigere il cessate-il-fuoco, mentre il restante 62% è passato sotto la giurisdizione dei greco-ciprioti. Le due comunità sono state segregate lungo linee etniche, con la “Green line” che ha impedito ogni contatto tra di loro fino al 2003 e all’apertura dei checkpoint.
Dopo quasi 30 anni di divieti, l’amministrazione turco-cipriota ha permesso i movimenti tra le due entità politiche. Nell’aprile 2003, greco e turco-ciprioti sono potuti passare dall’altra parte per la prima volta dal 1974. Il muro si era crepato. Ad oggi gli attraversamenti hanno luogo quotidianamente e l’antropologa Lisa Dikomitis suggerisce che questi scambi avvengono per tre ragioni principali: visita dei paesi d’origine, per ragioni commerciali o come forma di pellegrinaggio nei luoghi importanti per le due comunità e le loro religioni.
Eppure, il “muro” di Cipro non è caduto completamente. Nel 2004 gli sforzi per trovare una soluzione federale, bi-nazionale e bi-zonale portarono allo svolgimento di referendum nelle due comunità sotto gli auspici dell’ONU. Il “Piano Annan”, negoziato dall’ONU, venne bocciato dal 76% della parte greco-cipriota e approvato dal 66% di quella turco-cipriota. Inoltre, nel maggio 2004 Cipro entrò nell’Unione Europea (UE). Mentre Cipro è stato accolto come una entità geografica intera, le leggi europee si applicano solo sul territorio sotto controllo e giurisdizione della Repubblica di Cipro. Se l’ingresso nell’UE ha ridotto i timori dei ciprioti riguardo a nuove ostilità, d’altra parte non ha fatto molto per facilitare la risoluzione della disputa su Cipro.
Una nuova serie di negoziati hanno avuto luogo nel 2015 e nel 2017 tra il presidente greco-cipriota Nicos Anastasiades e il leader turco-cipriota Mustafa Akıncı. Dopo varie attività e negoziazioni tra i due leader, e l’intesa su numerose misure di confidence-building, si sono incontrati in Svizzera a Mont Pèlerin nel 2016. I negoziati tra le parti si sono poi spostati a Crans-Montana, nel luglio 2017, ma colloqui erano falliti a causa di un disaccordo derivante dall’insistenza turca sul diritto ad intervenire militarmente.
Sebbene non ci sia un muro reale a dividere le due metà di Cipro, il filo spinato separa ancora il nord dal sud.
Io sono nato in questa divisione e separazione. Sono cresciuto senza aver mai visitato la zona settentrionale da cui proviene mia madre. Ricordo che il giorno prima di farlo per la prima volta mi sentivo come se stessi per andare dall’altra parte del mondo. Così tanto lontano per me era “il nord”. Quando arrivammo ai checkpoint e li attraversammo, mio zio disse immediatamente “Eccoci qui, il nostro paese”. Ho ancora la sua voce in testa. Ciò che ho pensato essere lontano kilometri e kilometri era a appena mezzo minuto di strada. “La tirannia della distanza” è stata una manifestazione strana e difficile da comprendere. Questo è ciò che la “Green line” ha fatto a noi ciprioti. Ha compromesso il nostro senso dello spazio e ci ha lasciati a vivere su mezza isola.
Traduzione dall’inglese di Guido Alberto Casanova