Domani a Nicosia si decide un altro pezzetto del futuro dell’Unione europea e dell’Eurozona. Risparmiatori, aziende e mercati aspettano di conoscere la decisione del Parlamento cipriota che si trova a dover approvare, se non quasi ratificare, l’imposizione di una tassa nazionale pari al 6,75 per cento sui depositi inferiori ai 100 mila euro e del 9,9 per cento su quelli superiori a questa soglia per salvare il Paese dalla bancarotta. L’Unione europea stima di poter raccogliere dai conti correnti di residenti e non residenti nel Paese una cifra intorno ai 5,8 miliardi di euro, così come dichiarato dal neo presidente dell'Eurogruppo e Ministro delle Finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem.
Se questa decisione verrà approvata scatterà il meccanismo della condizionalità, attraverso il quale l’Eurogruppo e il Fondo monetario internazionale (Fmi) si impegneranno ad erogare la quota restante degli aiuti, per un totale di 10 miliardi di euro. Ciò che accadrà a Cipro è destinato a pesare non solo sulle sorti del Paese da sempre a metà tra Europa e Asia, ma a risollevare anche importanti questioni sulla gestione di una profonda crisi economica da cui i leader europei non sembrano sapere come uscire con soluzioni collettive di lungo periodo.
Domenica 17 marzo il Presidente Nicos Anastasiades rivolgendosi ai propri cittadini, ad un mese dalla sua elezione, ha dichiarato di aver ereditato una situazione economica disastrosa: “Tutti i cittadini sono coscienti che Cipro si trova in uno stato di emergenza. Stiamo vivendo uno dei momenti più tragici dal 1974 (il riferimento è all’invasione turca, ndr). Sapete che abbiamo ricevuto un Paese in bancarotta”. Gli elettori ciprioti hanno scelto Anastasiades e il suo partito (il Dimokratikós Sinayermós, DISY), con il 45,46 per cento delle preferenze, consapevoli della difficile condizione economica del Paese e avallando una proposta politica che si è collocata nella competizione elettorale a favore di un intervento esterno per il salvataggio del Paese e a favore di un’iniezione di liquidità nel sistema economico cipriota. Difficile, tuttavia, immaginare che gli elettori-risparmiatori pensassero di doversi trovare di fronte allo scenario di un prelievo forzoso sui propri conti correnti. D’altra parte, la contrattazione di Anastasiades con l’Eurogruppo e il Fmi deve essersi rilevata peggiore del previsto. Ma come si è arrivati a questo punto?
Le radici di questa crisi vanno certamente ricercate nella crisi del sistema bancario cipriota. Come riportava una nota della World Bank nel 2011 dal titolo oggi quanto mai evocativo “The Banking System in Cyprus: Time to Rethink the Business Model?” il sistema bancario di Cipro è sproporzionatamente più grande rispetto alla sua stessa economia (gli asset del settore rappresentavano secondo dati del 2010 circa l’896 per cento del prodotto interno lordo [1]), rendendo il Paese estremamente più vulnerabile di altri in caso di una crisi di questo stesso sistema. Se da un lato, la grande espansione del sistema bancario - favorito da un sistema di tassazione estremamente favorevole ai capitali esteri (Russia in primis) - ha reso Cipro un polo finanziario importante a livello internazionale, apparentemente sostenendone il Pil e l’occupazione; dall’altro lato, questo sistema si è dimostrato troppo sbilanciato nei confronti di un’economia finanziaria scarsamente connessa con quella reale, che oggi rischia di uscirne completamente a pezzi.
Se queste misure come probabile verranno approvate segneranno certamente un punto di svolta nella storia economica dell’Unione, andando a minare pesantemente la credibilità dei suoi policymaker, che di fatto per la prima volta hanno legittimato un intervento punitivo sui piccoli risparmiatori. In quest’ottica le misure per il salvataggio di Cipro potrebbero essere lette anche come un primo test, se non un monito, nei confronti di altri Stati membri in difficoltà. Decadrebbe, in questo modo, la regola non scritta che l’Europa si era data dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, ovvero di proteggere in primo luogo i depositi dei piccoli risparmiatori. Sarebbe, poi, la prima volta che una parte degli stessi fondi destinati al salvataggio di un Paese membro vengono prelevati facendo leva sui depositi dei risparmiatori dello stesso Paese da salvare. Infine, la posizione europea su Cipro avrà certamente conseguenze anche nei rapporti con altri attori globali, soprattutto con la Russia, visto che molte sue imprese hanno sede a Cipro e rischiano di subire inevitabilmente le conseguenze del prelievo forzoso.
[1] In termini di paragone gli asset di Unione europea e di Eurozona erano rispettivamente pari al 357% e al 334% nel 2009.
* Anna Longhini é Ph.D. Student in Scienza della Politica - Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM), Firenze.