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Riscaldamento globale

Clima: i Grandi non bastano

Giampiero Massolo
05 novembre 2021

Si può combattere il cambiamento climatico per decreto governativo? Gli appuntamenti internazionali di questi giorni, il G20 e la COP26, sono stati un bagno di realismo. Hanno rinnovato collettivamente gli impegni esistenti - e già questo non era scontato - ma ammettendo che, all’attuale ritmo di adempimento, la temperatura salirà di 2,7 gradi: per contenerne l’aumento a 1,5 le emissioni carboniche dovrebbero ridursi del 45% al 2030. Semplicemente inattuabile, oggi come oggi, a sentire i distinguo dei Governi. E non solo dei grandi assenti cinese e russo.
Il gap tra impegni e adempimenti esiste da tempo. È in fondo il limite di ogni esercizio prevalentemente intergovernativo: la consapevolezza crescente della posta in gioco, l’atmosfera di emulazione connaturata alle assise multilaterali, la spinta delle società civili, il politicamente corretto spingono ad approvare - o almeno a non opporsi - a formule deliberate per consenso, spesso senza vero dibattito. Ambiziose a parole, poco stringenti nei fatti e nelle procedure. La realtà finisce poi sempre per presentare il conto: è fatta di leadership che ricercano il consenso ciascuna a modo suo, di assetti istituzionali diversi, di differenze oggettive tra le rispettive situazioni economico-industriali e i differenti modelli di sviluppo, di mix energetici in contraddizione tra di loro. Sempre più spesso, anche il cambiamento climatico diventa motivo di competizione geostrategica: la contrapposizione per il dominio delle tecnologie pulite si accentua, con la Cina che ne controlla la catena di fornitura.
Cosa ci si può ragionevolmente aspettare per il futuro in una situazione come questa? Se ci si limiterà come finora al confronto tra gli Stati, a ben guardare gli elementi per un compromesso del possibile si delineano con una certa precisione: il mantra della riaffermazione degli impegni della conferenza di Parigi senza scadenze troppo precise per raggiungere la neutralità carbonica, uno sforzo di aggiornamento tecnologico che aiuti a perseguirli senza troppo modificare il mix energetico attuale, aiuti più sostanziosi per l’adattamento ai cambiamenti climatici ai paesi più poveri (ma non solo: adattarsi servirà anche a noi, se mitigare non sarà abbastanza).
E tuttavia dal G20 e dalla COP 26 emergono anche elementi meno scoraggianti. Soprattutto da tutto quanto ha circondato i due eventi e che accompagna, più in generale, oggi la trattazione a livello globale del dossier del clima. Intanto, specie in questi ultimi anni - Roma e Glasgow non hanno fatto eccezione - si è fatta sempre più sentire la ‘piazza’: in questo senso, ha ragione Greta Thunberg a dire che a contare davvero sono le opinioni pubbliche fuori dal palazzo; sempre più incalzano i Governi, non solo quelli occidentali, sui temi ambientali, fanno valere il loro peso in termini di consenso politico. Poi, è significativamente cresciuta - in parte, per conseguenza - la disponibilità degli ambienti economico-finanziari, delle imprese a mettersi in gioco; i fattori reputazionali e il ritorno sugli investimenti verdi rappresentano una spinta decisiva in questo senso. Tutto ciò, infine, fa aumentare sensibilmente il capitale politico e quello materiale a disposizione: i soldi non mancano, ha detto il Presidente Draghi. E non tutti a spese dei Governi.
La crescente interazione tra opinioni pubbliche, imprese, organizzazioni non governative, attivisti, autorità statali finisce per configurare, infatti, una forma innovativa di multilateralismo, che surroga in qualche modo la semplice, spesso insoddisfacente collaborazione tra Governi. Un multilateralismo dal basso, ‘bottom up’, che coinvolge un numero sempre più ampio di stakeholders su temi definiti: il clima, la salute, l’alimentazione, la qualità di vita, per citarne alcuni.
Se non si rinnova, il metodo multilaterale continuerà la sua crisi, sarà percepito come inefficace per la soluzione dei problemi globali, cresceranno nazionalismi e introspezione. Il dossier climatico rappresenta un’occasione decisiva per invertire la tendenza: troppo importante per lasciarlo solo ai Governi.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Repubblica

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AUTORI

Giampiero Massolo
Presidente ISPI

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