Che le elezioni europee siano determinanti per il futuro dell’Unione Europea è stato ormai da più parti accertato. La complessità delle sfide che la comunità a 28 o 27 (Brexit permettendo) membri dovrà affrontare nel prossimo quinquennio impone all’Unione Europea l’elaborazione di risposte concrete ad imminenti esigenze come a prevenire futuri rischi, anche in campo energetico. Sollecitati da un’epoca di forti turbamenti, sia interni che esterni, i cittadini sono chiamati a definire la composizione del prossimo Parlamento, e indirettamente della prossima Commissione. Entrambi saranno i cardini principali attorno ai quali ruoterà il futuro dell’Unione Energetica (Energy Union) europea. Un progetto complesso e sfaccettato, la cui origine, perlomeno dal punto di vista storico e ideologico, affonda le proprie radici nella stessa ragion d’essere dell’integrazione europea, quella del mercato di carbone e acciaio che portò al Trattato di Parigi del 1951 e che successivamente funse da modello per il Trattato di Roma del 1957. Il passaggio essenziale che condusse alla nascita della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell'Energia Atomica.
L’Unione Energetica è stata una delle iniziative politiche più marcate dell’attuale Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, il quale nel 2015 dichiarò di volere “l’energia che sostiene la nostra economia essere resiliente, affidabile, sicure e sempre più rinnovabile e sostenibile”. L’interesse principale di questa iniziativa è di assicurare ai consumatori europei l’opportunità di raggiungere obiettivi in materia di politiche energetiche e di lotta al cambiamento climatico grazie a un sistema energetico competitivo, conveniente e sostenibile. Necessaria, per questa visione, è la costruzione di un mercato maggiormente integrato, anche a livello regionale. Un soggetto abbastanza flessibile da incorporare nuove fonti energetiche al suo interno ma anche idoneo a guidare gli ingenti investimenti necessari per il suo sviluppo, soprattutto nel settore delle fonti rinnovabili.
In tema energetico un altro esplicito scopo della politica comunitaria è il sostegno ai singoli Stati nella messa a punto delle politiche comunitarie in risposta al cambiamento climatico e in ottemperanza all’Accordo di Parigi del 2015, di cui l’Unione Europea è uno dei principali sostenitori. Il “Clean energy for all Europeans package”, composto da 8 atti legislativi e che entrerà in vigore nell’estate del 2019, lascia fino ad un massimo di 2 anni ai singoli paesi per trasferire le direttive nelle relative legislazioni nazionali. A vigilare sul rispetto degli accordi, che prevedono l’ambizioso raggiungimento del 32% di fonti rinnovabili nel mix energetico dell’Unione entro il 2030 e la carbon neutrality (bilanciamento fra emissioni e assorbimento di CO2), saranno proprio gli organi di controllo preposti dal nuovo Parlamento e Commissione.
L’Unione Europea, a livello aggregato, rimane uno dei principali consumatori a livello globale. La produzione di energia di pressoché tutte le principali tipologie di combustibili è ancora in gran lunga superiore a quella cinese. Mentre idroelettrico e rinnovabili rappresentano rispettivamente circa il 7% e il 10,1% delle fonti di approvvigionamento di energia elettrica negli Stati Uniti, l’Europa si affida all’idroelettrico per il 12,1% e alle rinnovabili per una percentuale intorno al 13,4% (dati Eurostat 2016). È indubbio che i risultati sinora raggiunti siano merito delle politiche adottate dalle ultime due Commissioni.
La gestione dell’energia in ambito comunitario non è però di sole luci. Dai dati forniti dall’Osservatorio sulla povertà energetica dell’Unione Europea vi sono ampi strati della popolazione del nostro continente che tuttora non sono in grado di raggiungere adeguati servizi riguardanti riscaldamento, illuminazione o semplicemente hanno difficoltà nell’accedere all’energia per supportare gli elettrodomestici casalinghi più comuni. Uno stato, quello di povertà energetica, che influisce sulla qualità della salute e delle condizioni di circa 50 milioni di cittadini europei, su una popolazione totale di 512 milioni di persone. A parlare chiaro sono i dati forniti dallo stesso Osservatorio, il quale calcola, ad esempio, che nel 2016 (ultimo anno di cui sono disponibili i dati) il 41,3% dei bulgari e il 29,4% dei greci sono stati incapaci di mantenere un’appropriata temperatura all’interno dei propri domicili. La lotta alla povertà energetica dovrebbe essere quindi un elemento socio-economico chiave delle nuove politiche energetiche europee, soprattutto per le ricadute dirette sui cittadini comunitari.
Alla base dell’Unione Energetica europea vi è dunque una visione di Europa in cui i singoli membri agiscano all’unisono, nella reale consapevolezza della propria reciproca dipendenza, per tutelare il cittadino e assicurargli uno stabile e sufficiente flusso di energia. Un progetto che non può non poggiare su solidarietà e fiducia fra i membri dell’Unione e che, se implementato in maniera coordinata, può essere un fenomenale dispositivo di aggregazione e coordinamento interno. Allo stesso tempo può divenire uno strumento determinante nelle relazioni che l’Europa intrattiene, in maniera particolare, con i propri vicini dell’area MENA e i paesi rivieraschi del Mar Caspio.
La transizione energetica verso la quale l’Unione Europea si proietta non potrà infatti compiersi se non grazie anche a un bilanciamento fra le politiche interne e i rapporti commerciali e politici che l’Unione, e i singoli paesi, intrattengono con stati terzi. Le crisi di diversi produttori internazionali di idrocarburi come Libia e Venezuela, la stagnante produzione norvegese e il declino, e futuro stop nel 2030, dei giacimenti di gas olandesi, dovrebbero rappresentare un tremendo incentivo per i 28 stati nel sintetizzare gli interessi europei, sui mercati globali, in una singola voce.
Le capacità del nuovo Parlamento e della nuova Commissione verranno messe alla prova già entro la fine di questo 2019, quando con ogni probabilità quest’ultima sarà chiamata nuovamente a svolgere il ruolo di mediatore fra Ucraina e Federazione Russa nell’assicurare l’interrotto transito di gas naturale verso i mercati del continente. La seconda prova di maturità che l’Unione Energetica dovrà affrontare quest’anno sarà la pubblicazione del prossimo elenco di Projects of Common Interest (PCI). La lista includerà quelle infrastrutture ritenute necessarie al raggiungimento degli obiettivi di politica energetica e atte a combattere il cambiamento climatico, per cui l’Unione stessa ha stanziato 5.35 miliardi di euro dal 2014 al 2020 e sui quali la competizione fra membri si è fatta sempre più incalzante nel corso degli ultimi anni.