La Colombia è stata l’unica tra le sei maggiori economie dell’America Latina a chiudere il 2019 con una crescita del Pil superiore al 3%[1]. Si tratta di un risultato significativo all’interno di una congiuntura in rallentamento, non solo per i più grandi Paesi dell’area (Fig. 1), ma anche per i principali partner commerciali, Stati Uniti e Cina.
Figura 1. Tassi di crescita del Pil (%)
Nota: la “Media LA6” corrisponde alla variazione ponderata del Pil (a prezzi correnti in dollari USA) di Argentina, Brasile, Colombia, Cile, Messico e Perù.
Fonte: FMI
Con l’esaurimento del super ciclo delle commodity a metà del decennio che si è appena concluso, la Colombia è stata tra gli emergenti maggiormente affetti da shock alle ragioni di scambio, visto che il Paese andino dipende ancora per l’80% dall’export di materie prime[2], in particolare petrolio, carbone, caffè e oro. Grazie a politiche macroeconomiche accorte, la quarta economia latinoamericana è riuscita comunque a evitare di entrare in recessione e ha cominciato un percorso di ripresa che si è intensificato negli ultimi trimestri. Se allarghiamo lo spettro di osservazione all’ultimo quarantennio, la Colombia ha registrato un solo anno di recessione, il 1999, che coincise con la perdita del rating investment grade, riagguantato poi soltanto nel 2011. La Colombia è inoltre l’unica tra le principali geografie del Sud America a non essere stata coinvolta nelle crisi di debito degli anni ’80: l’ultimo default sul debito estero risale al lontano 1935.
I brillanti risultati in campo economico non hanno comunque posto il Paese al riparo dall’ondata di proteste che ha scosso buona parte degli Stati sudamericani negli ultimi mesi. A partire dallo sciopero nazionale del 21 novembre, la Colombia è stata interessata da manifestazioni di protesta diffuse, anche se per lo più di natura non violenta. Considerare le espressioni di dissenso dei cittadini alla stregua di un mero “effetto contagio” rispetto a quanto avvenuto in molte altre geografie vicine sarebbe riduttivo. Lo scontento verso il presidente Duque e il suo governo è elevato: la popolarità del presidente, già la più bassa per un capo dello Stato colombiano a inizio mandato (agosto 2018), è in netto calo e di poco superiore al 20%. Quel che emerge, anche dalle recenti elezioni locali di ottobre 2019 che hanno evidenziato l’ampia affermazione di partiti e movimenti anti-establishment, è la richiesta di una nuova offerta politica poiché quella attuale non è stata in grado di fornire ai cittadini risposte convincenti a problemi di lungo periodo quali corruzione, disuguaglianze[3] e lotta al narcotraffico. A Duque, in particolare, sono imputati l’inerzia rispetto all’attuazione degli accordi di pace del 2016 con le FARC (sui quali il presidente ha da sempre una posizione molto scettica), l’inadeguatezza rispetto alla gestione della crisi migratoria dal Venezuela (divenuta un problema non meramente economico ma anche umanitario e di sicurezza) e tratti caratteriali poco inclini al dialogo.
Le manifestazioni di protesta prolungate pongono a rischio l’ambizioso disegno dell’esecutivo in carica, volto ad accrescere la competitività del Paese per renderlo maggiormente resiliente a shock esterni. La riforma fiscale del 2018 ha previsto sia il taglio progressivo della tassazione sul reddito delle imprese (dal 33% al 30% entro il 2022) sia la possibilità di recuperare integralmente le imposte pagate sulle importazioni di beni di investimento. Tali misure hanno l’obiettivo di rafforzare strutturalmente il sistema produttivo colombiano, in modo da innalzare il potenziale di crescita e ridurre allo stesso tempo il deficit di parte corrente, principale elemento di debolezza dal punto di vista macroeconomico. Altri provvedimenti, quali per esempio l’intuizione dell’economia naranja[4], vanno sempre nella direzione del miglioramento del sistema economico attraverso una maggiore diversificazione e un maggior contributo del terziario, settore meno volatile rispetto al secondario e, soprattutto, al primario.
Oltre alla riforma fiscale, recentemente riapprovata dal Parlamento dopo la bocciatura della Corte Costituzionale per motivi procedurali, ne sarebbero necessarie ulteriori di natura strutturale come quelle pensionistica e del mercato del lavoro. Su questi temi il presidente Duque cercherà di spendere nel 2020 il capitale politico residuo, provando a mettere in atto lo schema di dialogo nazionale già abbozzato per un confronto costruttivo con le controparti a capo delle proteste. Il sentiero resta in ogni caso molto stretto poiché le difficoltà per il presidente in carica provengono anche dallo scollamento all’interno della coalizione di minoranza di centro-destra che appoggia l’esecutivo.
L’evoluzione delle questioni colombiane è di interesse anche per gli esportatori italiani. Questi ultimi nei primi undici mesi del 2019 hanno incrementato le vendite verso Bogotà dell’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per un valore complessivo di 616 milioni di euro[5]. Se nell’ultimo mese dell’anno il nostro export mantenesse il ritmo medio dei precedenti, il nostro Paese conseguirebbe il secondo miglior risultato di sempre, al di sotto solo dei 717 milioni di euro del 2014.
L’ottima performance nel 2019 è dovuta non solo al recupero nelle vendite della meccanica strumentale (38% sul totale nel 2018) ma anche all’incremento delle vendite di prodotti alimentari e bevande, articoli in gomma e plastica e apparecchi elettrici ed elettronici. La domanda colombiana sempre più diversificata e sofisticata (Fig. 2) si è riflessa nella performance del nostro export degli ultimi anni e ci mette in buona posizione per intercettare al meglio la dinamica ancora positiva prevista per il futuro: il recente aggiornamento delle previsioni SACE SIMEST indica infatti un ulteriore incremento medio del 3,4% nel triennio 2020-2022.
Figura 2. Composizione settoriale dell’export italiano di beni verso la Colombia
Fonte: elaborazione SACE su dati ISTAT
Andrà verificato se questa dinamica sarà sufficiente a farci recuperare terreno rispetto ai nostri peer poiché a fine 2018 la quota di mercato italiana in Colombia era pari all’1,6% sul totale mondiale contro il 4,2% della Germania e, rispettivamente, il 2,3% e l’1,9% di Francia e Spagna. Nei primi undici mesi dell’anno la risposta è parzialmente affermativa dato che le vendite di Madrid e Parigi sono cresciute “solo” del 4,1% e 5,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ma la rincorsa è ancora lunga.
La capacità dell’esecutivo Duque di riuscire a contenere i numerosi focolai accesi sarà cruciale per capire se e quanto ancora l’economia colombiana potrà continuare a correre. Per il nostro export è importante continuare a cogliere il momentum prima che l’onda positiva possa affievolirsi.
NOTE
[1] World Economic Outlook (ottobre 2019)
[2] UNCTAD, State of Commodity Dependence 2019
[3] La Colombia è il secondo Paese latino-americano per disuguaglianze misurate dall’indice di Gini nel Social Panorama of Latin America 2019 (fonte: ECLAC).
[4] La cosiddetta “economia arancione” si riferisce all’insieme delle industrie creative di un Paese, tradizionali e non, in grado di generare ricadute trasversali anche su altri settori. È stato lo stesso Duque a pubblicare nel 2013, insieme a Felipe Buitagro e grazie alla Banca di Sviluppo Interamericana, un paper che teorizzava l’importanza del driver dell’economia creativa per lo sviluppo economico.
[5] Eurostat.