Non sarà il 23 marzo 2016 il giorno destinato a passare alla storia come quello in cui si sono firmati gli accordi per porre fine alla lunga guerra civile tra lo stato colombiano e le Farc. Era stato il 23 settembre che, al momento della storica stretta di mano tra il presidente Juan Manuel Santos e il capo di stato maggiore del movimento guerrigliero Rodrigo Londoño Echeverri alias “Timoleón Jiménez”, alias “Timochenko”, era stato convenuto di concludere l’intero processo entro sei mesi. Dopo aver raggiunto l’accordo su riforma agraria, creazione di meccanismi per l’integrazione dei guerriglieri nella vita politica e civile e una nuova strategia di lotta alla droga, un anno di impasse sul quarto dei cinque punti sul tappeto era stato infine superato attraverso un laborioso compromesso, che per bilanciare le necessarie amnistie con il rispetto per le vittime prevedeva la creazione di una giurisdizione speciale per la pace con sale di giustizia e un Tribunale Speciale. Ma già da gennaio era apparso chiaro che il tempo non sarebbe bastato per appianare tutte le pendenze ancora in sospeso, a febbraio durante la sua visita a Washington, il presidente colombiano Juan Manuel Santos aveva avvertito che «se l’accordo ritarda un poco» non sarebbe stata una cosa grave, e il 10 marzo lo stesso capo negoziatore delle Farc, Iván Márquez, ha ammesso che «non ci sono le condizioni per il 23». «Non è che per rispettare una data dobbiamo firmare un cattivo accordo».
In particolare, secondo il movimento guerrigliero il problema è che non si siano ancora stabilite né le zone di concentrazione dei guerriglieri, né le condizioni per la consegna delle armi. Ma il governo colombiano è in ritardo su questi punti anche perché oggettivamente gli accordi finora raggiunti stanno trovando forti resistenze nella società colombiana. Gli ultimi sondaggi prima del 10 marzo suggerivano in particolare che il 57% dei colombiani consideravano i negoziati “male incamminati” e che addirittura il 69% disapprovavano la gestione del presidente. Già a settembre, peraltro, le dure critiche di Human Rights Watch per il modo in cui gli accordi avrebbero potuto risparmiare ai colpevoli di atrocità “punizioni genuine” avevano lasciato intravedere una possibile fonte di difficoltà per far accettare la pace dagli organismi internazionali. A marzo il funzionamento del terzo accordo è finito a sua volta nell’occhio del ciclone per i dati che hanno mostrato come la Colombia sia ridiventato il primo produttore mondiale di coca: da 48.000 ettari del 2013 ai 100.000 del 2014 ed ai 150.000 previsti per la metà del 2016. Il 14 febbraio lo “sciopero armato” di 72 ore annunciato dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln) nei cinquant’anni dalla morte in combattimento del suo nume tutelare Camilo Torres ha poi ricordato come in realtà la pace con le Farc non significherebbe affatto la fine automatica della guerra civile in Colombia. È vero che i 2.000 “elenos” sono appena un quarto dei guerriglieri delle Farc, ma vari osservatori ritengono molto probabile che per lo meno una parte dei combattenti smobilitati potrebbero in realtà continuare la lotta, semplicemente cambiando gruppo. Pure a febbraio c’è stata una grave crisi di fiducia tra governo colombiano e Farc in seguito all’episodio di una delegazione di membri della Farc provenienti da Cuba con voli della Croce Rossa che aveva partecipato a una manifestazione assieme a civili nella località di Conejo, a nord della Colombia, scortati da uomini armati. I negoziatori erano stati infatti autorizzati a rientrare per spiegare ai guerriglieri alla macchia il processo in corso: non certo per andare a fare comizi, e meno che mai militarizzati. E l’incidente ha esposto Santos a duri attacchi da parte dell’opposizione uribista.
Il 7 marzo, tuttavia, per la prima volta gli uribisti hanno votato a favore di un provvedimento richiesto dai negoziati: una legge che autorizza il presidente a creare per decreto zone di concentrazione per i guerriglieri delle Farc e che è stata così approvata all’unanimità. «Vogliamo chiarire che non siamo nemici della pace, ma solo della resa del paese al terrorismo», ha spiegato via Twitter Álvaro Uribe Vélez. «La pace si raggiungerà con o senza Uribe, ma preferirei che fosse con lui», ha risposto via intervista il presidente il 20 marzo. Da ultimo, la visita di Obama a Cuba ha permesso un incontro diretto tra il segretario di stato statunitense John Kerry e i negoziatori delle Farc, ancora formalmente incluse nella lista Usa delle organizzazioni terroristiche. Un faccia a faccia storico, dopo il quale le Farc hanno annunciato una nuova tabella di marcia, e nel corso del quale Timochenko ha addirittura regalato a Kerry un libro sulla storia delle Farc con dedica. Da ricordare che durante la visita di Santos a Washington a febbraio Obama aveva promesso 450 milioni di aiuti al processo di pace colombiano.
Proprio Kerry in un’intervista a Univisión ha però per primo ufficializzato che «governo e Farc ancora non sono pronti per firmare la pace», anche se ha riconosciuto l’impegno di entrambe le parti. Ma «porre termine a 50 anni di conflitto non è facile», ha spiegato. Le Farc hanno poi promsso che entro il mezzogiorno cubano dello stesso 23 marzo al posto della firma vi sarebbe stata comunque una hoja de ruta per indicare le prossima scadenze, ma neanch’essa è stata poi resa nota. Le stesse Farc insistono comunque che potrebbe essere pubblicata a breve. Il capo negoziatore per il governo colombiano Humberto de la Calle ha formalmente comunicato: «dobbiamo infornare che in questo momento sussistono differenze importanti con la guerriglia delle Farc su temi di fondo. Non arriveremo a un accordo a qualsiasi costo, per il governo l’accordo che si raggiunge deve essere un buon accordo, il migliore possibile per i colombiani, perché sono coloro verso cui abbiamo doveri e per cui lavoriamo da tre anni e mezzo». Non ha dato scadenze, ma ha garantito che il presidente Santos ha dato istruzioni per “lavorare senza posa” per «arrivare a un buon accordo che permetta di porre fine al conflitto in condizioni di sicurezza per tutti». Ha confermato che si sono raggiunti “accordi definitivi” su «sviluppo rurale integrale, partecipazione alla politica di guerriglieri detenuti, sradicamento delle coltivazioni illecite, annuncio del quadro per l’accordo di giustizia transazionale e di riparazione e verità verso le vittime». Ma «ancora deve arrivare un accordo sulla fine del conflitto, che include il tema del possibile plebiscito di pace». Un accordo che separi definitivamente la politica e la violenza e che sia «garanzia di rottura dei vincoli delle Farc con tutte le attività illegali».