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Commentary

Colombia: la pace al tempo delle elezioni

22 maggio 2014

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 25 maggio prossimo, il processo di pace in corso a Cuba tra il governo colombiano e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc) è diventato sempre di più il tema centrale della campagna elettorale. Mai come questa volta i cittadini colombiani sono chiamati a esprimere con il loro voto un’approvazione o meno degli accordi. Gli schieramenti politici sono sempre più polarizzati tra il presidente uscente Juan Manuel Santos, iniziatore del dialogo e quindi in favore del proseguimento delle negoziazioni, ormai giunte a uno stadio notevolmente avanzato, e l’uribista Oscar Ivàn Zuluaga, ex ministro delle Finanze tra il 2007 e il 2010, che rigetta a priori la legittimità delle Farc quali interlocutrici del governo, chiedendo la ripresa della repressione armata del movimento a meno della resa incondizionata dei ribelli. Gli altri candidati alla presidenza, secondo le intenzioni di voto fuori dalla competizione, sono l’ex sindaco della capitale federale di Bogotà, Enrique Penalosa, dei verdi; la conservatrice Martha Lucia Ramirez; e infine l’esponente dei partiti di sinistra, l’economista educata ad Harvard e attivista dei diritti delle donne Clara Lopez. 

L’ultimo appuntamento elettorale, le legislative del 9 Marzo scorso, aveva premiato la coalizione di partiti che sostiene la Mesa de Unidad Nacional per il processo di pace, con un 70% dei consensi complessivi. Tuttavia, le urne avevano dato segnali allarmanti per il capo dello stato: il suo Partido Social de la Unidad Nacional (La U), pur arrivando primo nei consensi, aveva perso otto parlamentari rispetto alle ultime elezioni, mentre il nuovo Centro Democràtico (Cd), guidato dall’ex-presidente Uribe (storico nemico delle Farc e padre politico di Santos stesso, poi entrato in rotta con il suo delfino), si affermava come seconda forza politica del paese. Grazie ad una campagna elettorale presidenziale giocata all’attacco, condotta in buona parte dallo stesso Uribe, il Cd negli ultimi mesi ha poi velocemente recuperato consensi e punti sul partito de la Unidad Nacional  di Santos. Zuluaga ha insistito sulla linea “dura”, propria della tradizione politica del suo partito, che pone l’accento sul discorso sicurezza e disconosce alle Farc stesse il ruolo di interlocutore apertamente conferitole da Santos con il processo di Cuba, in quanto movimento “terrorista e criminale”.  

Il candidato uribista è ormai appaiato al presidente uscente nei sondaggi alle prossime presidenziali, rendendo quasi certo il ricorso a ballottaggi il cui esito rimane assolutamente dubbio: le ultime analisi oscillano attorno ad un 28% in favore di Santos, e un 24% per Zuluaga, che tuttavia vincerebbe al secondo turno con un distacco di una manciata di punti. Nemmeno gli ultimi scandali che lo hanno visto protagonista, per i legami con un hacker che tentava di sabotare il processo di pace, sembrano aver scalfito il sostegni di cui gode il candidato della destra. 

Dal canto suo, il presidente Santos può vantare un buon successo nella crescita e nella performance economica del paese. Nonostante una flessione nell’ultimo anno, dal 2010 in poi il Pil della Colombia è cresciuto stabilmente, arrivando al picco del 6,6% nel 2011 (dati World Bank). Al contempo la disoccupazione è tendenzialmente diminuita negli ultimi due anni, toccando il minimo nel 2013 all’8,2%. Le previsioni per il prossimo quinquennio sono di una crescita stabile del Pil al 4,3% circa (dati Economist Intelligence Unit). L’aumento esponenziale degli investimenti esteri da 6,8 nel 2010 a 16,8 miliardi di dollari nel 2013 (banco de Colombia), ha funzionato da vero e proprio traino alla crescita, e di conseguenza appare evidente come la pacificazione in atto promossa dall’attuale esecutivo a partire dal 2011, e la relativa diminuzione del rischio politico, abbiano giocato un ruolo importante, se non decisivo, nella crescita del paese. Tutto ciò si è traslato nel dato forse più significativo per la Colombia: una sensibile diminuzione della percentuale degli indici di povertà, principalmente dove questa è più diffusa, ossia in quelle zone rurali che sono anche le più esposte alla guerriglia. Secondo il Dipartimento Nazionale di Statistica colombiano (Dane) nel 2013 il 30,6% dei colombiani viveva sotto la soglia di povertà, 2,1 punti percentuali in meno rispetto al 2012, e circa dieci in meno del 2009, quando la stessa percentuale era del 40,3%. 

Come rilevato dal Real Instituto Elcano, se analizziamo il processo di pace di Cuba, iniziato nel novembre 2012, il successo raggiunto fino ad ora si spiega con la solidità delle condizioni che il governo ha posto ex ante, che sono riuscite nell’intento di rafforzare la trattativa di pace stessa:

-Non imporre come condizione al dialogo una tregua all’azione militare contro la guerriglia (in passato simili tregue erano ripetutamente state violate).

-Limitare i mediatori invitati al tavolo negoziale: la Norvegia, paese super partes “modello” per le negoziazioni internazionali, e Cuba, vicino alle posizioni delle Farc, e quindi da esse considerato affidabile.

-Dare una base di sostegno politico condiviso, attraverso la “Mesa de Unidad Nacional”, che riunisce attorno al partito del presidente, La U, tutti i partiti favorevoli al dialogo: il Partido Liberal (Pl); il Partito Conservador (Pc); e Cambio Radical (Cr).

-Riconoscimento integrale delle vittime, in base alle responsabilità di tutti gli attori coinvolti nel lungo conflitto: le Farc, i Paramilitari, e quindi il governo stesso. 

Partendo da queste basi, sono stati definiti cinque ambiti di discussione, che toccano le rispettive problematiche scatenanti il lungo conflitto civile con le Farc. A oggi un accordo è stato raggiunto sui primi tre capitoli: lo sviluppo agrario, la questione della partecipazione alla vita politica del movimento dopo l’accordo, e infine la questione del narcotraffico, risolto proprio il 16 maggio scorso. In cambio della fine della lotta armata e della pacificazione sociale, il governo ha garantito un riequilibrio degli interessi economici con i diritti sociali dei contadini, e ne ha promesso la protezione dalle pressioni delle corporazioni agricole e della criminalità organizzata. Allo stesso tempo, i negoziatori di Santos hanno autorizzato i candidati Farc a presentarsi in “circoscrizioni transitorie speciali di pacificazione” per l’elezione di Senatori, sempre in cambio della deposizione delle armi. Resta invece molto da fare sugli ultimi due punti: la giustizia transizionale, e la questione del riconoscimento integrale delle vittime. 

A fronte dei sostanziali successi del presidente uscente, perché dunque una tale rimonta del candidato uribista, Oscar Ivàn Zuluaga? Innanzitutto, Santos non è riuscito a coinvolgere a sufficienza la società civile nel processo, limitandolo a tecnici e partiti politici. Così facendo il presidente ha finito per fare un assist agli oppositori del dialogo, trasmettendo l’idea di una negoziazione segreta dai dubbi benefici per lo sviluppo futuro del paese. Il ricordo di decenni di violenze è difficile da cancellare in Colombia: l’esecutivo avrebbe dovuto fare di più per aumentare il consenso bipartisan sul processo di pacificazione, come per dimostrarne l’effettiva necessità. A ciò si unisce l’oggettiva complessità di un conflitto civile che dura da ormai più di cinquant’anni, ha causato più di 220.000 vittime e quasi sei milioni di sfollati: non per niente gli ultimi capitoli da risolvere nel negoziato riguardano la giustizia per le vittime della guerra. Inoltre ancora non è chiaro cosa accadrà con l’Ejercito de Liberacion Nacional (Eln), l’altra formazione paramilitare armata, che formalmente non ha accettato di scendere a patti con il governo.

Il problema è infine essenzialmente politico. Nonostante il dialogo non si sia mai spinto così avanti, sulla maggioranza delle questioni Santos non è ancora riuscito a raggiungere un accordo definitivo prima della fine del suo mandato.  Nelle parole dello stesso presidente “nada esta pactado hasta que todo estè pactado”: le elezioni presidenziali hanno trasformato la pace in un tema elettorale, polarizzando ulteriormente la società tra chi è in favore del dialogo, e chi invece lo vede come un viatico di impunità per i guerriglieri coinvolti. Come riportato dal Pais, i colombiani hanno altre preoccupazioni, quali istruzione, sanità, sviluppo, mentre il tema delle Farc (solo sesto nella lista di priorità) è complesso e ancora molto divisivo. In questo contesto hanno prevalso le posizioni, sostanzialmente populiste, di chi fa leva sui timori e sulle incertezze della gente. 

Dopo più di cinquant’anni, si è arrivati davvero vicini a una soluzione pacifica che destituisca le Farc che, seppur morenti e votate alla criminalità comune, sono ancora armate e ben radicate sul 10% circa del territorio nazionale. E ’evidente che la crescita futura del paese non dipenderà solo dal successo del negoziato con le Forze armate rivoluzionarie. Tuttavia sono altrettanto chiari i risultati positivi della progressiva pacificazione degli ultimi anni, e come questa sia piuttosto una condizione necessaria ma non sufficiente perché una crescita economica abbia effettivamente luogo in Colombia nel lungo periodo. Non è un caso se il sostegno al processo di pace si concentri proprio in quelle parti del paese dove la guerra con le Farc ha lasciato il segno più indelebile, mentre sia più flebile nelle città, storicamente lontane dal conflitto. Una sconfitta della pace andrebbe ancora una volta a colpire chi ha pagato il prezzo più alto della guerra. 

Davide Tramballi, Ispi Research Assistant, Programma Mediterraneo e Medio Oriente.

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