Una riforma fiscale concepita e annunciata nel peggior momento possibile, un governo ai minimi storici di popolarità, i giovani compatti in piazza a protestare, la violenta repressione delle forze dell’ordine, con decine di morti e persone scomparse. La Colombia è sprofondata nel caos e la situazione appare completamente fuori dal controllo dell’esecutivo guidato da Ivan Duque, che si trova ad affrontare una crisi sociale senza precedenti proprio nella retta finale del suo mandato. La miccia che ha fatto scattare la protesta popolare è stata la riforma fiscale annunciata dal ministro delle finanze, poi costretto alle dimissioni, Alberto Carrasquilla.
Una manovra di austerity nata per far fronte al deficit pubblico, ma che non ha tenuto conto del difficile momento economico che sta attraversando il paese, con la crisi provocata dalla pandemia. Dopo la flessione del 6,6% del Pil nel 2020, l’industria colombiana stava cercando di rimettersi in sesto, ma tutto si è di nuovo bloccato a causa della terza ondata Covid, ancora più forte delle precedenti. Con un aumento del 10% della tassa di povertà e disoccupazione e centinaia di migliaia di esercizi chiusi per sempre, la riforma, che prevedeva un aumento dell’Iva e della base imponibile andando a colpire soprattutto il ceto medio, non poteva essere ben accetta. Come è successo nel 2019 i giovani sono stati i protagonisti delle manifestazioni di piazza. Il governo si è trovato spiazzato di fronte al paro nacional, lo sciopero ad oltranza, proclamato da sindacati, associazioni studentesche, collettivi urbani e rurali. I sondaggi interni commissionati dall’esecutivo hanno dimostrato che il malcontento è diffuso a livello generale, Duque è stato costretto a ritirare la proposta e Carrasquilla ha presentato le sue dimissioni. Nel frattempo, però, il bilancio degli scontri tra polizia e manifestanti era già tragico, con una ventina di morti e centinaia di feriti. Il ministro della difesa ha cercato di dare la colpa a presunti elementi terroristi infiltrati tra i giovani in piazza ma a smentirlo sono stati decine di video amatoriali diffusi sui social, che mostrano gruppi di poliziotti che picchiano selvaggiamente manifestanti inermi, agenti che sparano sulla folla, retate e violente caccia all’uomo anche in abitazioni private. L’epicentro della rivolta è la città di Calì, dove si denuncia la scomparsa di decine di giovani prelevati di peso e di cui non si hanno notizie. A gettare benzina sul fuoco si è messo pure l’ex presidente conservatore Alvaro Uribe, padrino politico di Ivan Duque, che in un tweet, poi cancellato, ha affermato il diritto della polizia a usare armi da fuoco durante le manifestazioni. Nell’occhio del ciclone è soprattutto l’ESMAD, la squadra speciale anti-disturbi, ritenuta responsabile della caccia all’uomo nella città di Calì e in altri punti nevralgici della protesta. Anche le Nazioni Unite hanno espresso la loro preoccupazione per l’azione della polizia chiedendo al governo di intervenire per garantire ai colombiani il diritto di manifestare pacificamente. Secondo un’indagine condotta dallo studio Cifras e Conceptos, il 74% dei giovani colombiani tra i 18 e 24 anni ha un’immagine negativa del presidente Duque. La stangata fiscale che avrebbe colpito soprattutto il ceto medio sembra aver contribuito ad aumentare il distacco tra la coalizione di governo conservatrice e i settori dell’economia più colpiti dalla pandemia. Una manovra che va contro le indicazioni date dalla CEPAL, la commissione economica per l’America Latina, che ha invitato i governi della regione a puntare sull’ampliamento delle politiche di assistenza sociale per far fronte all’aumento di povertà, disoccupazione ed insicurezza alimentare causato dall’emergenza sanitaria. A complicare la situazione c’è anche la difficile situazione degli oltre due milioni di immigrati venezuelani arrivati negli ultimi cinque anni e il conflitto tra guerriglieri dell’ELN e fuoriusciti dalle Farc e l’esercito venezuelano nella regione di confine tra lo stato di Apure e quello di Arauca. La Colombia, inoltre, affronta la sfida della ricostruzione del tessuto produttivo nelle regioni che sono state per anni teatro del conflitto tra lo stato e i guerriglieri delle FARC e dove oggi è cresciuta l’influenza della delinquenza organizzata e del narcotraffico. La fine del conflitto armato non ha sradicato la violenza diffusa e a provarlo sono gli oltre 1.000 “leader sociali” assassinati dal cessate il fuoco del 2016; si tratta di sindacalisti, ambientalisti, dirigenti di organizzazioni contadini o ex guerriglieri delle Farc assunti da Ong o gruppi di appoggio alle comunità rurali. Secondo l’Unità speciale investigativa della JEP, il tribunale speciale sui delitti commessi durante il conflitto, buona parte delle persone uccise erano impegnate direttamente nell’implementazione degli accordi di pace e riqualificazione nelle regioni più calde del paese. Finita la guerra, il tempo per la pace in Colombia non è ancora del tutto arrivato.