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L'accordo

Commercio in Asia, un patto storico

16 novembre 2020

Firmato in Vietnam il più grande accordo commerciale di libero scambio  al mondo: il Rcep riunisce 15 paesi asiatici e, per la prima volta, mette insieme Cina, Giappone e Corea del Sud.

 

Quindici paesi dell'Asia-Pacifico hanno firmato il più grande accordo di libero scambio al mondo, finalizzato a superare le barriere commerciali in un’area in cui vive un terzo della popolazione mondiale e che rappresenta, da sola, il 30% del Pil globale. Dopo otto anni di negoziati, il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) è stato siglato ieri ad Hanoi e include le 10 economie dell'Asean oltre a Cina, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia. Nel mezzo di una crescente tendenza globale al protezionismo, alimentata dall’America First dell’amministrazione Trump, i paesi partecipanti si sono trovati più motivati a promuovere un’area di libero scambio. “Oltre agli USA, l’assenza più vistosa – fa notare Giulia Sciorati di ISPI – è quella dell’India, che si è ritirata lo scorso anno, e la cui presenza avrebbe reso ancora più esteso l’accordo ma soprattutto avrebbe potuto bilanciare lo strapotere cinese, in assoluto l’economia più forte tra tutte quelle dei paesi aderenti”.

 

 

Cosa prevede l’intesa?

Sebbene molti dettagli debbano ancora essere rilasciati, nell’immediato il patto punta a eliminare i dazi per il 65% delle merci importate ed esportate all'interno della regione. Sul lungo periodo l’intesa mira a ridurre del 90% le tariffe doganali tra paesi membri in 20 anni, espandendo il settore dei servizi e stabilendo regole commerciali comuni. Tra i settori più disciplinati figurano il commercio elettronico, le telecomunicazioni e il diritto d'autore, mentre le questioni ambientali e i diritti dei lavoratori non vengono menzionati. Inoltre, consente di superare i limiti imposti agli accordi di libero scambio bilaterali già esistenti tra paesi dell’area, prima fra tutte quella relativa alle ‘regole di origine’ che stabiliscono da dove provengono le merci: oggi, un prodotto realizzato in Indonesia che contiene parti australiane, ad esempio, potrebbe essere soggetto a dazi in alcuni paesi dell'Asean. Sotto il Rcep, le componenti di qualsiasi paese membro verrebbero trattate allo stesso modo, dando alle aziende dell’area un incentivo a cercare fornitori all'interno della regione commerciale.

 

Chi c’è e chi manca?

Gli Stati Uniti sono assenti sia dal Rcep che dal successore della Trans-Pacific Partnership (TPP) da cui Donald Trump è uscito nel 2017: l'economia più grande del mondo, al momento, è quindi fuori da due intese commerciali che abbracciano la regione in più rapida crescita della terra. Altro grande assente dall’intesa è l’India, ritiratasi dal negoziato lo scorso anno citando la necessità di proteggere la propria manifattura dalla concorrenza e per timore di veder aumentare il proprio deficit commerciale nei confronti di Pechino. Per Cina, Giappone e Corea del Sud, rispettivamente prima, seconda e terza economia asiatica, e i cui rapporti sono stati caratterizzati spesso da una profonda competizione, il Rcep è invece il primo accordo di libero scambio in comune. Anche per questo il premier cinese, Li Keqiang, l’ha definita una “vittoria del libero mercato e del multilateralismo”. Secondo gli analisti, il Rcep aggiungerà quasi 200 miliardi di dollari di Pil all'economia globale entro il 2030.

 

Rivincita della Cina?

Una critica comune che viene rivolta all’intesa siglata è la sproporzione della Cina rispetto alle altre economie. Una paura che si è rafforzata da quando l'India si è ritirata dai negoziati. E a  ben guardare, sono molteplici i vantaggi dell’accordo dal punto di vista di Pechino: consentirà alla Cina di rafforzare la sua sfera di influenza di fronte alle crescenti pressioni statunitensi, mitigherà i rischi di perdere rilevanza nelle catene del valore internazionali e farà definitivamente tramontare l'idea che la Cina possa essere isolata, in un contesto di economia globale. Ma soprattutto il Rcep è la pietra miliare per la creazione di un ‘blocco asiatico’ che – sebbene meno ambizioso di altre aree di libero scambio come UE e NAFTA, di cui non offre lo stesso livello di integrazione – rappresenta una svolta nel futuro delle relazioni economiche internazionali. Per questo l’accordo è considerato una vittoria geopolitica per la Cina, che ottiene di formalizzare e rinsaldare i legami con altri paesi asiatici, presentandosi come alternativa al vuoto economico e alla perdita di credibilità lasciata in eredità agli Stati Uniti da Donald Trump.

 

 

Il commento

Di Alessia Amighini, Co-Head Asia Centre, ISPI

 

“Nel mezzo della pandemia, l’Asia è l’unica area del mondo che è già ripartita, e in realtà non si è mai completamente fermata, e ciò significa che avrà un vantaggio di tempo nel ridefinire la geografia della produzione regionale.

A questo punto, è chiaro che la Cina non fosse affatto ai blocchi ad aspettare l’esito delle elezioni americane: la guerra commerciale di Trump aveva già confermato a Pechino l’opportunità di allentare drasticamente il legame con gli Stati Uniti, e qualunque atteggiamento possa prevalere oggi a Washington rispetto al ‘rivale sistemico’, la Cina ha fatto i suoi giochi”.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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