Guerre commerciali: l’OMC sopravvivrà al 2020?
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Il mondo che verrà: 10 domande per il 2020

Multilateralismo: l’OMC sopravvivrà al 2020?

Daniel Gros
02 febbraio 2020

La guerra commerciale in atto tra Cina e Stati Uniti ha reso il commercio internazionale più anarchico. L’Organizzazione Mondiale del Commercio che ne monitora e regola lo sviluppo esisterà ancora, ma di certo non prospererà.

 

L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) non è morta l’11 dicembre 2019, ma ha perso un pezzo importante: non esiste più un organo indipendente, riconosciuto da tutte le parti, che possa dirimere le dispute tra stati membri. Era questa la funzione svolta dalla cosiddetta Corte d’appello (Appellate Body) che, rimasta con un solo giudice in carica, non può più funzionare.

Tuttavia, la fine di uno degli elementi fondanti dell’OMC non implica la fine del sistema di commercio multilaterale. Tutte le regole esistenti continueranno a restare in vigore.

Inoltre, con l’eccezione degli Stati Uniti di Trump, nessuna tra le principali potenze commerciali sta mettendo in discussione i benefici del libero commercio. I principi vigenti dell’OMC, come tra gli altri la clausola della nazione più favorita, l’accordo sugli scambi di servizi, non sono oggetto di contestazione. Ciò che è cambiato è “solo” che la loro applicazione sarà fatta rispettare in modo più imperfetto di prima.

Concentrandosi sul fatto che la Corte d’appello abbia smesso di funzionare si rischia di oscurare le due forze economico-politiche fondamentali alla base del sistema di scambi globale.

La prima è il risultato di decenni di investimenti diretti esteri e della nascita di catene globali del valore. Le multinazionali che producono in, o si riforniscono da molte nazioni diverse non esercitano pressioni per ottenere dazi, perché il loro stato è il mondo. Un quarto di secolo fa, quando l’OMC è stata creata a partire da un accordo precedente (l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, AGTC), le cose erano molto diverse. Le pressioni economiche domestiche per ottenere protezioni si sono grandemente ridotte per via di una combinazione tra filiere integrate e imprese sempre più interconnesse.

Sono pochi a desiderare (forse solo la Casa Bianca) un ritorno a un periodo di tariffe elevate, quote e altre forme di limiti al commercio predominanti prima della creazione dell’OMC nel 1995.

Tuttavia, ciò non significa che i governi, soprattutto quelli delle nazioni più grandi, vogliano sottoporsi al giudizio di un organo globale e indipendente circa quello che è permesso loro fare in caso di problemi in un settore specifico.

In particolari circostanze, questa reticenza da parte dei governi può essere superata. Per esempio, dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si sono trovati in una posizione talmente dominante da poter rivestire il ruolo di “egemone benevolo” – ed è quello che hanno fatto. Hanno potuto scrivere le regole, contando allo stesso tempo sulla possibilità di ricavarne i maggiori benefici nel seguirle.

Un mondo molto asimmetrico, con un solo egemone, poteva dare vita a un sistema multilaterale. Un’altra configurazione, che potrebbe sostenere un sistema aperto e basato sulle regole, è quella in cui ci sono solo piccoli paesi, nessuno dei quali in grado di avvantaggiarsi facendo esclusivo affidamento sul proprio potere economico. In una configurazione del genere, potrebbe essere difficile creare un sistema multilaterale ma, se esistesse, godrebbe di un ampio sostegno.

Il caso più difficile si verifica quando c’è un numero ristretto di grandi economie di dimensioni simili, più grandi dei tanti piccoli, ma non abbastanza da dominare il sistema. Già Paul Krugman si è espresso su dove ci porterebbe un mondo dominato da pochi grandi blocchi commerciali ognuno agendo per conto suo. A suo parere, un mondo composto da tre blocchi commerciali che si comportano in modo non cooperativo costituisce la peggiore configurazione possibile, portando a un aumento delle barriere commerciali.

Purtroppo, questo è esattamente il punto in cui si trova oggi l’economia globale. Ci sono tre economie o blocchi commerciali dominanti: l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Cina. Ognuna di esse ha un volume di scambi commerciali simile (esportazioni più importazioni) di circa 4.000 miliardi di dollari (il Giappone, che venticinque anni fa era un forte contendente, è ora molto più piccolo). Insieme, questi “G-3” rappresentano il 40% del commercio mondiale e il 45% del PIL. Per puro caso, il potere economico è distribuito in modo tale che senza una cooperazione esplicita tra le grandi potenze, il sostegno alle regole multilaterali sia il più debole possibile.

La struttura “a treppiede” del sistema commerciale globale costituisce quindi una forza fondamentale, ma spesso trascurata, che indebolisce l’OMC. Negli anni Novanta del secolo scorso, le tre maggiori potenze commerciali erano gli Stati Uniti, la Comunità europea (come si chiamava l’UE allora) e il Giappone. Tuttavia, le tre condividevano una visione politica simile (e avevano trovato, nell’Unione Sovietica, una minaccia esterna comune). Per questo motivo è stato possibile raggiungere un accordo sull’OMC e sul suo meccanismo di risoluzione delle controversie.

Oggi il mondo è molto diverso. Gli Stati Uniti e l’Europa non condividono più uno stesso punto di vista sulle politiche commerciali e la Cina li sta superando entrambi, pur mantenendo il suo sistema economico grazie a un pesante, ma spesso opaco, coinvolgimento dello Stato. Ciò rende quasi impossibile per l’attuale G-3 concordare su una linea comune.

Più di recente è entrato in gioco un altro fattore non economico, ossia la rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Negli Stati Uniti si registra un crescente consenso all’idea che la Cina sia ormai un “avversario” potente e che quindi l’accesso al mercato statunitense dovrebbe esserle limitato per indurla a modificare il proprio sistema economico. Ciò significa che, anche al di là delle sue posizioni sulla Corte d’appello, per il tempo a venire è probabile che il commercio bilaterale USA-Cina avrà degli alti e bassi. È possibile che nel 2020 si raggiunga un qualche accordo temporaneo e parziale, ma questo non cambierebbe il problema fondamentale: gli Stati Uniti continuano a vedere la Cina come rivale emergente in molti settori – economico, tecnologico, militare, eccetera.

Le relazioni commerciali USA-Cina rimarranno quindi esposte agli alti e bassi della politica per il tempo a venire. Di fatto, le norme dell’OMC non si applicheranno alle loro relazioni bilaterali. Resta ancora da vedere se l’UE deciderà di prendere parte a questa lotta globale per il potere politico. La nuova Commissione si è autodefinita “geopolitica”, ma il ricorso alla politica commerciale per fini politici ha dei costi. Poiché l’UE dipende così tanto dalle esportazioni, e data la sua predilezione per le norme multilaterali, è improbabile che finisca per seguire l’esempio degli Stati Uniti e ostracizzi la Cina dal punto di vista commerciale. Al contrario: sembra possibile che l’UE e la Cina trovino un accordo su un meccanismo sostitutivo di risoluzione delle controversie.

Per il sistema commerciale globale le prospettive future sono quindi contrastanti: anche se gli Stati Uniti non terranno conto delle regole nelle relazioni con la Cina, il rischio di un ritorno generalizzato al protezionismo è minimo. Ma sembra anche improbabile che si torni al vecchio sistema con un meccanismo di arbitrato delle controversie indipendente e vincolante. L’OMC uscirà viva dal 2020, ma non prospererà.

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commercio Europa Cina Geoeconomia
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AUTORI

Daniel Gros
Centre for European Policy Studies (CEPS)

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