Consiglio Nato-Russia: il tempo cura molti malanni | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary

Consiglio Nato-Russia: il tempo cura molti malanni

03 ottobre 2014

La narrativa suggerita dal  titolo ci riporta proprio nel mezzo della politica internazionale con le lettere maiuscole.

Si comincia con la famosa frase di Churchill «una cortina di ferro si è abbattuta nel centro dell’Europa» e si finisce con il vertice della Nato del settembre 2014.

Chi scrive ricorda il Vertice del 2002 nello storico castello di Praga dove solo pochi anni prima si era sciolto il Patto di Varsavia. Il padrone di casa era Vaclav Havel che avevo conosciuto clandestinamente anni prima a una riunione di Charta 77. 

Da qui parte la prima osservazione sul carattere nazionale dei russi. In quegli anni gli studenti cecoslovacchi tornavano da Mosca raccontando di giovani disposti a ogni sacrificio per la fierezza di appartenere a una super-potenza. Quando poi l’Urss si dissolse  l’atmosfera  cambiò tanto da rendere ragionevole un ritorno nel circuito europeo di cui in fondo  la Russia era  stata parte fino alla rivoluzione d’ottobre.

Il passaggio da Boris Eltsin a Vladimir Putin e il suo attuale “regno” sono ben noti. Però bisogna stare attenti a non appiattire questi passaggi politici.

Raggiunsi l’Alleanza Atlantica come segretario generale delegato nell’estate del 2001 e venni invitato a Londra. Al Foreign Office mi dissero che Tony Blair stava cercando di convincere il presidente Bush a una grande iniziativa politica di apertura verso la Russia. Secondo Il ragionamento britannico  bisognava approfittare della finestra di opportunità offerta dall’arrivo al Cremlino di Putin. Egli appariva come un uomo nuovo che  non aveva ancora una sua strategia. Era perciò opportuno cercare di coinvolgerlo prima che burocrazia, esercito e diplomazia prendessero il sopravvento orientandolo in modo tradizionale. L’iniziativa si sostanziò nel vertice Nato-Russia di Pratica di Mare del  maggio 2002. 

Un interessante tentativo in cui i  "vertici politici"  pensarono di poter andare oltre le percezioni tradizionali delle loro burocrazie e di due generazioni di Guerra fredda.  In effetti quando partecipavo agli incontri  fra il segretario generale Lord Robertson e l’ambasciatore Kysliak per preparare le riunioni al livello degli ambasciatori, mi colpiva lo stile da Guerra fredda nella formulazione dell’agenda oltre che sul contenuto.

Il contesto storico è quindi necessario per capire la complessità dei rapporti.

Alla base della crisi in Ucraina ci sono alcuni dati di fondo.  Per primo la percezione russa che la dissoluzione dell’Urss sia stato un disastro di incalcolabile portata. Da cui discende un preteso diritto a proteggere le minoranze che si trovano fuori dai confini.  Vengono tuttora  fatti  tentativi di aggregazione fra i paesi dell’ex Unione Sovietica per ricreare uno spazio comune. 

L’implicazione strategica è che la Nato non deve estendersi allo spazio dell’ex Unione Sovietica e l’unica eccezione tollerata sono i tre paesi baltici.

Sullo sfondo vi è quella che Putin considera una missione, vale a dire il ruolo di grande potenza mondiale e la parità con gli Stati Uniti.

La percezione che si ha a Bruxelles è radicalmente diversa. Dove si ritiene che un periodo storico sia chiuso per sempre e che i paesi di nuova indipendenza siano sovrani e liberi di scegliere il loro approdo politico, sia esso la Nato, l’Unione Europea o altro. 

Naturalmente queste osservazioni di fondo si possono scomporre. La dissoluzione dell’Unione Sovietica è avvenuta troppo in fretta  e la fragilità  dell’Ucraina e della Georgia non aiuta a trovare un terreno d’intesa. A ciò si aggiunge la formidabile carica di emozioni, in primis dei paesi baltici e della Polonia, cioè di chi ha conosciuto il potere politico-militare di Mosca e teme ancora un suo ritorno.

Il timore storico di essere accerchiati è da sempre presente al Cremlino. Durante una visita con Nino Andreatta, ministro della Difesa - di cui ero consigliere diplomatico - a San Pietroburgo, ricevemmo un briefing dal comandante dell’armata del nord. A un certo punto fece stato di minacce della Nato specificando che erano in corso manovre norvegesi non lontano dai confini. Ci scambiammo uno sguardo con Andreatta che esprimeva la nostra sorpresa per il fatto che si potesse temere una minaccia norvegese.

Al di là delle ragioni e dei torti in una storia secolare che viene vista in modo divergente, l’unico ancoraggio possibile rimane quello del diritto internazionale. Esso include sia l’illegalità dell’unilateralismo che l’inviolabilità dei confini. Bisogna percorrere questa strada per  arrivare alle prospettive future. 

Teniamo conto che Mosca percepisce  la Nato come un’organizzazione ostile,  ma mostra rispetto nei suoi confronti considerandola un avversario alla pari. Ciò non traspare invece dalla relazione con l’Unione Europea considerata ancora di piccola taglia.

Quel che possiamo prevedere è che le tensioni nell’Ucraina orientale restino lì a lungo, ma si può sperare che rimangano di bassa intensità e non sfuggano al controllo.

Ma che dire invece del quadro più generale? Quando si dice Nato-Russia in realtà si parla del posto della Russia nell’ordine mondiale. Qui troviamo molti interessi coincidenti che non devono sfuggire all’osservazione. Terrorismo, estremismo islamico, traffico di droga internazionale sono problemi comuni.

In Medio Oriente la Russia mantiene importanti posizioni. È valido oggi in Siria e lo era ieri in Libia. In fondo anche in Egitto i rapporti con Turchia e Israele sono ottimi e Gerusalemme in effetti si è ben guardata dal prendere posizione sulla crisi Ucraina. Riconoscendo a Mosca un suo ruolo sarebbe possibile coinvolgerla  per soluzioni negoziate. Forse ciò potrebbe valere anche nei confronti dell’Iran.

Vi è una grande e attenta sensibilità nei confronti del terrorismo internazionale e da questo punto di vista vi sono interessi coincidenti: Mosca controlla malamente il Caucaso del Nord e vede con preoccupazione le sue minoranze musulmane crescere progressivamente.

In Afghanistan Mosca è stata di qualche aiuto concedendo il suo spazio aereo a la rete ferroviaria per i trasporti dei paesi impegnati in Asia Centrale. Si è parlato di alleanza con la Cina, ma sembra un movimento tattico e non strategico perché gli interessi di fondo sono divergenti. Pensiamo alla Siberia ancora spopolata, ma pressata da milioni di cinesi appena al di là del confine.

In prospettiva  vi sono quindi spazi politici di cooperazione con l’Occidente e con la Nato, di cui quest’ultima si rende conto. Se guardiamo bene la Dichiarazione del vertice di Newport, essa esprime l’auspicio di un partenariato con la Russia e l’assenza di  un pregiudizio nei suoi confronti. Si dirà che sono parole, ma in certi casi le parole pesano.

Se ripercorriamo i rapporti  con Mosca vediamo una serie periodica di crisi, ma il filo non è mai stato spezzato. Il Consiglio Nato-Russia  continua a esistere e potrà crescere, il tempo cura molti malanni. Ci aspetta un periodo grigio in cui le pianure intorno al Mare di Azov produrranno molta nebbia. Tuttavia se vengono coltivati con pazienza gli interessi comuni e minimizzati gli aspetti negativi del nazionalismo la nebbia può lentamente lasciarci.

Alessandro Minuto-Rizzo,

Ti potrebbero interessare anche:

Asia’s Electoral Year, With China in Mind
Filippo Fasulo
Co-Head, ISPI Centre on Business Scenarios
Focus sicurezza energetica n. 4
Carlo Frappi
ISPI e Università Ca' Foscari
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.114
Ucraina: l’incognita del grano
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.113
Russia: il peso delle sanzioni
Sergey Efremov
Moscow State University Lomonosov

Tags

Russia Putin Nato crisi Ucraina
Versione stampabile
Download PDF

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157