La COP27 si apre in Egitto in un clima reso cupo dalla guerra e dalle divisioni. Cruciale la questione del ‘loss and damage’ e Guterres avverte: “Sulla strada per il caos climatico”.
“Siamo sulla buona strada per un caos climatico irreversibile”: è l’allarme lanciato dal Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres alla vigilia della COP27, la conferenza sul clima delle Nazioni Uniti che si svolge quest’anno in Egitto. “La COP27 deve essere il luogo in cui ricostruire la fiducia e ristabilire l’ambizione necessaria per evitare di condurre il nostro pianeta oltre il precipizio climatico”, ha detto Guterres, sottolineando che “è tempo di un patto storico tra economie sviluppate ed emergenti” in cui “le prime mantengano l’impegno preso a Parigi e compiano uno sforzo aggiuntivo per ridurre le emissioni in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi”. Le emissioni, invece, continuano a crescere e andando di questo passo entro il 2030 anziché scendere del 45% aumenteranno del 10%. Con conseguente aumento delle temperature di ben 2,8 gradi entro la fine del secolo. Uno scenario catastrofico accelerato, a sua volta, da un contesto geopolitico sempre più chiuso e competitivo in cui la guerra in Ucraina e le tensioni su Taiwan stanno facendo da destabilizzatori. Nel frattempo i paesi che emettono meno CO2 e sono più vulnerabili e colpiti dalla crisi climatica insistono per ricevere finanziamenti da 100 miliardi l'anno dai paesi più sviluppati e inquinanti. In quest’ottica, la questione del “loss and damage” – i soldi che i paesi più ricchi devono dare a quelli in via di sviluppo per i danni già subiti da una crisi che non hanno contribuito a creare – sarà centrale nella COP27 ospitata proprio dall'Africa, uno dei continenti più poveri e maggiormente colpiti dall'emergenza climatica.
Tra il dire e il fare…?
Le due settimane di negoziati che si terranno a Sharm el Sheikh, in una penisola del Sinai blindata per le misure di sicurezza, arrivano in un momento teso. Dagli incontri dello scorso anno a Glasgow in Scozia, solo 26 dei 193 paesi che hanno accettato di intensificare le loro azioni per il clima hanno seguito piani più ambiziosi. Su questo punto – e sui meccanismi di compensazione – spingono chiaramente centinaia di paesi in via di sviluppo, ma il timore è che soprattutto tra i paesi del G20 c’è chi voglia rallentare il cammino verso la decarbonizzazione e la lotta alle emissioni a causa delle crisi energetiche e dei conflitti in corso. Il clima di competizione tra Stati Uniti e Cina, inoltre, ha ridotto i margini di collaborazione tra i due maggiori inquinatori a livello globale con prospettive fosche per tutti. Mentre nel breve periodo anche l’Europa ha dovuto adottare decisioni non in linea con i suoi target, per esempio riguardo al gas naturale, che la tassonomia Ue ha incluso nelle attività di transizione sostenibile. “È innegabile che la crisi geopolitica abbia conseguenze profonde sulle politiche per il clima”, osserva l’inviato speciale italiano per il clima, l'ambasciatore Alessandro Modiano, sottolineando però che “la Ue ha mandato il messaggio politico che, al di là dell'emergenza, resta ferma sui suoi obiettivi climatici”.
Mitigazione o adattamento?
L'anno scorso, il Glasgow Climate Pact rilevava con “profondo rammarico” che i paesi ricchi hanno mancato l’obiettivo fissato per il 2020 di fornire 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo, e li impegnava a raccogliere una cifra almeno pari a tale importo, ogni anno, fino al 2025. Tale cifra però dovrebbe essere destinata alle cosiddette misure di adattamento, in modo tale da aiutare i paesi in questione a prepararsi ad affrontare gli impatti negativi del cambiamento climatico già in atto. Finora, invece, la maggior parte degli aiuti sono stati destinati alla mitigazione dei cambiamenti climatici, ovvero alla riduzione delle emissioni. I paesi a basso reddito chiedono inoltre di creare un meccanismo di finanziamento supplementare, incentrato esclusivamente sulla compensazione delle perdite e dei danni causati dall'aumento del livello dei mari o da eventi meteorologici estremi quali alluvioni o tifoni. Stati Uniti ed Unione Europea si sono già opposti alla richiesta di creare un fondo e alla COP27 sarà forse affrontata un'idea diversa: risarcire i paesi in via di sviluppo tramite una nuova tassa globale sulle energie fossili.
Doppio greenwashing?
“Non andrò alla Conferenza su clima per molte ragioni, ma lo spazio per la società civile quest’anno è molto limitato”: la posizione di Greta Thunberg, nota attivista per il clima riassume quella di gran parte delle organizzazioni ambientaliste, estremamente critiche nei confronti dell’evento che si apre in Egitto. E non solo perché la Conferenza delle parti (COP, appunto) giunta alla 27esima edizione ‘non sta funzionando’, ma anche perché il governo del Cairo – artefice di una durissima repressione interna contro ogni forma di dissidenza e attivismo politico – intende farne una vetrina per il mondo. Nelle carceri del paese si stima ci siano circa 60mila prigionieri politici e solo negli ultimi giorni le forze di polizia hanno arrestato 67 attivisti dopo aver intensificato i controlli per evitare ogni tipo di manifestazione in concomitanza con la COP. In un carcere del paese si trova anche Alaa Abdel Fattah, il blogger della rivoluzione condannato nel 2013 a cinque anni di carcere, prima di finire nuovamente rinchiuso ed essere condannato ad altri cinque anni nel dicembre del 2021. Per chiedere la sua scarcerazione 13 premi Nobel per la letteratura hanno scritto una lettera aperta indirizzata fra gli altri al segretario generale dell’Onu Guterres e al presidente americano Joe Biden. Già in sciopero della fame, Abdel Fattah ha deciso di non bere più a partire dal giorno di inizio della COP, consapevole che, se non ci saranno le condizioni per interromperlo prima, potrebbe morire entro la fine dell’evento internazionale.
Il commento
di Aldo Liga, ISPI MENA Centre
“L’Egitto è il terzo paese della regione MENA ad ospitare la Conferenza ONU sul clima. Il prossimo anno la COP verrà invece presieduta dagli Emirati Arabi Uniti. Questi eventi segnano la forte attenzione posta dai paesi della regione agli sforzi internazionali per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. L’area è infatti una delle più vulnerabili al mondo agli effetti del riscaldamento globale e negli ultimi anni è stata colpita da eccezionali ondate di calore e siccità, con impatti socio-politici ed economici ingenti. Nonostante questo rinnovato sforzo diplomatico però, che si affianca ad ambiziose politiche di transizione energetica, non bisogna dimenticare che i principali paesi produttori di gas e petrolio della regione pianificano una crescita nelle attività di sfruttamento delle risorse fossili, con un conseguente aumento delle emissioni globali di gas ad effetto serra”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.