Quando Moon Jae-in è stato eletto alla presidenza della Corea del Sud nella primavera del 2017, il suo programma di governo prometteva di scuotere le fondamenta su cui l’economia sudcoreana si è basata per decenni. Fin dai tempi della dittatura militare instaurata nel 1961, il modello di sviluppo nazionale si è basato su un forte impulso alle esportazioni e il sostegno statale ai più grossi conglomerati industriali (detti chaebol). E tutt’ora l’economia sudcoreana presenta queste due caratteristiche. Le esportazioni infatti costituiscono circa il 43% del PIL e le 10 chaebol più grandi del paese rappresentano da sole il 44,2% del PIL. Una delle conseguenze di questa politica economica è stata la forte polarizzazione del sistema industriale e della forza lavoro, con un 13% dei lavoratori assorbiti da imprese con più di 250 dipendenti generalmente ben pagati e il resto della forza lavoro impiegato in aziende medio-piccole – una gran parte delle quali considerate “zombie” – il cui reddito medio è circa la metà di quello dei dipendenti delle chaebol.
La proposta politica di Moon e del suo Partito Democratico (DPK) si prefigge dunque di sovvertire questo modello economico, applicando quella che è stata ribattezzata “crescita trainata dal reddito”. I pilastri del suo programma sono l’aumento dei salari delle fasce sociali inferiori, l’espansione della spesa pubblica e la lotta allo strapotere delle chaebol, in modo da riequilibrare la distribuzione del reddito per favorire la ripresa dei consumi interni e così diminuire la dipendenza dalle esportazioni.
Nei primi due anni di presidenza, Moon è riuscito ad aprire diversi capitoli del proprio piano di riforme. Per far fronte al rialzo della spesa pubblica con lo scopo di espandere il sistema di protezione sociale e di creare nuovi posti di lavoro, il parlamento ha approvato un aumento delle tasse sui redditi più alti e sulle imprese con oltre 300 miliardi di won (250 milioni di dollari) in profitti. Inoltre, per due anni consecutivi, il governo ha adottato dei forti aumenti del salario orario minimo, innalzandolo del 16,9% nel 2018 e del 10,9% nel 2019.
I pacchetti di riforme, tuttavia, non hanno ottenuto complessivamente i risultati sperati. Il rialzo della minima oraria (abbinato al ribasso della settimana lavorativa da un massimo di 68 a 52 ore) ha comportato un grosso peso per le piccole aziende che hanno dovuto bloccare le assunzioni. Le famiglie con reddito più basso, poi, hanno subito una contrazione della propria capacità di spesa mentre la disoccupazione giovanile è rimasta invariata tra il 7-10%, ovvero quasi il doppio di quella a livello nazionale. Sebbene parte delle difficoltà economiche possano essere spiegate con la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, il fatto che gennaio sia stato il 14esimo mese di fila in cui le esportazioni sono calate mentre i consumi registravano solo un timido aumento ha contribuito a indebolire politicamente Moon, il cui gradimento è passato dall’80% dell’inaugurazione al 44% attuale.
I nodi irrisolti dell’economia sudcoreana sono un grosso problema per il DPK e per Moon, che si era presentato agli elettori come “il presidente del lavoro”. Nell’ultimo anno la Confederazione Coreana dei Sindacati, un importante bacino elettorale per il DPK, si è mobilitata più volte contro quelle che ha ritenuto insufficienti misure a favore dei lavoratori mentre la riforma delle chaebol – che rappresenta la madre delle battaglie per la sinistra sudcoreana – è ferma al palo. Un’altra problematica sempre più evidente è poi la crescente bolla del mercato immobiliare, basti pensare a Seul – in cui vive metà della popolazione sudcoreana – dove il prezzo dell’appartamento medio è aumentato del 40% negli ultimi due anni e mezzo. Questo va a colpire maggiormente i giovani – un’altra categoria fortemente a supporto dei democratici – in cerca di una casa per poter iniziare una propria vita autonoma.
Conscio della situazione, Moon ha introdotto diverse misure per affrontare questi fenomeni. Per rimediare al rallentamento dell’economia, l’estate scorsa il governo ha approvato un pacchetto di agevolazioni per le piccole imprese, mentre l’aumento del salario orario minimo fino alla quota di 8,44 dollari (10.000 won) – come promesso in campagna elettorale – è stato temporaneamente bloccato. Per fermare la speculazione immobiliare, invece, l’amministrazione ha introdotte nuove misure come il divieto di acquisire con un prestito qualsiasi immobile del valore superiore di 1,26 milioni di dollari collocato in determinate aree urbane.
Da diverse indagini è emerso che le questioni economiche sono il primo fattore di disapprovazione per l’operato del governo. Ma se nel 2018 questo fattore motivava il 40% degli scontenti totali, nel 2019 la percentuale era scesa al 25%, a dimostrare che nuovi fattori di malcontento si sono sommati. Dall’estate scorsa, infatti, Moon è stato sotto intensa pressione da parte dell’opposizione sulla questione degli abusi di potere da parte del ministro della Giustizia Cho Kuk e i conservatori hanno animato le piazze del paese per mesi prima di ottenerne le dimissioni. Uno scandalo particolarmente importante dal momento che Moon aveva costruito la propria ascesa alla presidenza anche sulla promessa di spazzare la corruzione che aveva portato alla caduta della precedente presidente conservatrice, Park Geun-hye.
Sebbene dai sondaggi esistenti il partito conservatore non sembri in grado di scalfire il predominio del PDK e il sistema politico sia molto polarizzato, le elezioni di aprile saranno un banco di prova importante per Moon. Dal risultato dipende la composizione del parlamento col quale il presidente dovrà lavorare nei restanti due anni di mandato che gli mancano per portare a termine il suo programma politico. La nuova legge elettorale ha introdotto qualche correzione che aiuterà i piccoli partiti alleati di governo mentre l’abbassamento dell’età per il voto da 19 a 18 anni dovrebbe dare una spinta al DPK. Ma la vera sfida del governo democratico sarà quella di attrarre un consenso maggiore di quello che sarebbe il normale bacino elettorale democratico. Non è un caso infatti che il governo abbia deciso di concentrare il 70% della spesa pubblica prevista dal budget record del 2020 nella prima metà dell’anno, scommettendo sulle misure per la creazione di lavoro e sul pacchetto di stimolo dell’economia nella speranza di un ritorno elettorale positivo. Sempre che nel frattempo le difficoltà di governo non abbiano dissipato il consenso tra gli elettori democratici sudcoreani.