La ‘doppia crisi’: se domanda e produzione vanno giù
E’ ragionevole prevedere che gli sviluppi sanitari di COVID-19, per quanto drammatici, avranno una durata limitata, da alcuni mesi ad un anno. Le conseguenze economiche, per quanto notevoli, potrebbero dunque non durar molto ed esser contenute da opportune politiche monetarie e di bilancio.
Lo shock colpisce le economie sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. Dal primo punto di vista interrompe produzioni con effetti a cascata aggravati dalle interdipendenze che la globalizzazione ha moltiplicato fra imprese, settori e Paesi. L’esempio più citato è l’arresto di un’impresa cinese che importa ed esporta in tutto il mondo.
Ma l’incepparsi dell’offerta non è priva di conseguenze sulla domanda, perché comporta minori redditi, meno occupazione, aspettative peggiorate, più incertezza, causando perciò meno propensione a investire e consumare di imprese e famiglie. La carenza di domanda aggrava allora la depressione avviata dalla crisi dell’offerta.
Le politiche più adatte a limitare i danni di un macro-shock del genere sono quelle di bilancio. Esse, fra l’altro, possono diversificare gli interventi a seconda delle urgenze specifiche di imprese, regioni, settori, Paesi e possono anche attenuare le conseguenze distributive di una crisi che non impatta nello stesso modo su tutti i luoghi e i segmenti sociali.
La politica monetaria ha un impatto meno mirato, più disperso e meno efficace, soprattutto dopo anni in cui i le banche centrali hanno consumato molte delle loro armi, coi i tassi di interesse già al minimo e la liquidità sovrabbondante e sottoutilizzata.
Interventi straordinari per un momento straordinario
Vi sono però almeno tre fronti dove una buona politica monetaria può molto aiutare.
Innanzitutto le banche centrali possono, coordinandosi fra loro e con i governi, agevolare il finanziamento dei disavanzi pubblici aggiuntivi che le cure dei danni della crisi comporta, come quelli derivanti da rinvii di versamenti di imposte, sussidi speciali di disoccupazione, acquisti straordinari per la sanità pubblica. Se lo shock è temporaneo, i disavanzi rientreranno, più o meno velocemente, senza compromettere l’indipendenza delle banche centrali e la loro capacità di controllare nel medio-lungo periodo la quantità e il costo della moneta.
In secondo luogo, le banche centrali possono limitare i pericoli che corre la stabilità finanziaria in una situazione dove molte imprese in difficoltà rischiano insolvenze contagiose e destabilizzanti per le banche loro creditrici. Da quando esistono le banche centrali è forse questo il loro compito principale, oggi nascosto dalla pretesa di usare la politica monetaria per fare il ‘fine-tuning’ del ciclo economico. Le difficoltà delle banche possono diffondere l’instabilità danneggiando il sistema dei pagamenti, la fiducia dei depositanti, la circolazione del credito e della liquidità. Le banche centrali hanno informazioni e strumenti essenziali per facilitare il sistema creditizio nel superare il difficile periodo della crisi epidemica. Possono, ad esempio, offrire alle banche commerciali speciali finanziamenti a condizioni molto agevolate per indurle a intervenire a favore di imprese, settori, regioni, famiglie particolarmente colpite dallo shock. In alcuni casi, soprattutto se la crisi temporanea si prolunga e le difficoltà delle banche si approfondiscono, l’azione straordinaria delle banche centrali deve però coordinarsi con le politiche fiscali perché per gestire gravi crisi bancarie occorrono anche decisioni politiche e un supporto del bilancio pubblico che potrà rientrare una volta passata la crisi.
In terzo luogo, mentre normalmente le politiche monetarie trasmettono all’economia reale la maggior parte della loro azione per tramite dei sistemi bancari, in fasi temporanee di forte stress alla stabilità finanziaria il consueto meccanismo di trasmissione può incepparsi e il canale bancario, nonostante l’ausilio dei finanziamenti della banca centrale, rivelarsi troppo lento e poco reattivo. Allora le banche centrali possono aumentare il loro intervento diretto sui mercati finanziari e a favore di operatori pubblici e privati: comprando titoli obbligazionari anche privati, carta commerciale emessa da imprese non finanziarie. Possono cioè assumersi direttamente e temporaneamente rischi di credito senza passare interamente per le banche commerciali. Nel farlo determinano autonomamente i criteri per valutare tali rischi e quindi le caratteristiche di ammissibilità dei titoli di credito che temporaneamente acquisiscono per aiutare a superare la fase di stress eccezionale.
Un esempio importante di tutti e tre queste forme di intervento eccezionali e temporanee sono le decisioni prese dalla BCE il 12 e il 19 marzo rafforzando il supporto alle operazioni di credito bancario e aggiungendo fondi per il “quantitative easing”, prima timidamente e poi più massicciamente allargando anche lo spettro dei titoli acquistabili, la flessibilità dei tempi di intervento nei confronti dei vari Paesi dell’eurozona e i criteri per l’ammissibilità al QE. Nel frattempo, anche la Fed ha varato nuove massicce forme di intervento connesse all’emergenza pandemica.
Coronavirus: le lezioni (non imparate) dalla crisi del 2008
Può comunque sembrare che lo sforzo economico e monetario per rimediare al COVID-19, anche se quantitativamente ingente e tecnicamente innovativo, non debba durare molto più a lungo dell’emergenza epidemica. Purtroppo non è detto che sia così. La ragione mette a fuoco le relazioni fra la crisi attuale e quella del 2008.
Il virus sta colpendo economia e finanza, nazionali e internazionali, che hanno ancora debolezze strutturali analoghe a quelle che quasi tre lustri fa dettero luogo alla grande crisi. L’indebitamento pubblico e privato è elevatissimo in molti Paesi, la qualità della produzione di servizi pubblici, la produttività dei fattori e l’efficienza dei mercati del lavoro e degli intermediari finanziari nell’allocare le risorse non crescono come dovrebbero, le disuguaglianze di reddito e ricchezza si accrescono, la gestione delle conseguenze economiche, occupazionali e socio-politiche delle nuove tecnologie e delle tensioni demografico-migratorie è debole e indecisa. La cooperazione interazionale indispensabile per affrontare questi problemi, già scarsa e formale all’inizio del secolo, non solo non è migliorata ma sembra addirittura scomparire con la rottura del multilateralismo, le guerre commerciali, i nazionalismi e i populismi. Sono queste “faglie”, come sono state chiamate da chi ha discusso a fondo la grande crisi, che l’hanno generata e diffusa. Ad esse non si sono posti rimedi adeguati; si sono piuttosto nascoste dietro ulteriori aumenti dei debiti pubblici e privati che continuano a infragilire il mondo economico.
In queste condizioni uno shock “corto” e che, a differenza di quello del 2008, non nasce da imprudenze finanziarie, da errori e squilibri economici, può generare lunghe crisi economico-finanziarie. Il sottile e breve volo del piccolo virus può colpire un gran castello di carte facendo danni duraturi. Gli aspetti finanziari di tali danni potrebbero essere tali da richiedere alle banche centrali, in coordinamento con i governi, battaglie per la stabilità molto più impegnative e lunghe di quelle necessarie per far fronte ai problemi di breve dei pochi trimestri epidemici. Sarebbero battaglie nelle quali far tesoro dell’esperienza, positiva e negativa, vissuta nel fronteggiare la grande crisi. Lo shock del coronavirus finirebbe così per essere solo un capitolo, straordinariamente peculiare e impressionante ma relativamente contenuto, di una storia molto più lunga di debolezze politico-strutturali che l’economia mondiale soffre senza trovare la via di rimediarvi in modi sostanziali e sostenibili.
Lo shock epidemico dovrebbe giustificare un’accelerazione – e non un rinvio, come sembra stia avvenendo - dei progetti di radicale revisione strategica degli obiettivi e degli strumenti delle politiche monetarie che le principali banche centrali avevano avviato appena prima dell’arrivo del virus. Anche le cure dello shock di breve beneficerebbero se le politiche monetarie guardassero più a lungo termine per riacquistare le dosi di incisività, indipendenza e credibilità consumate dalle grandi difficoltà degli ultimi due decenni.