Di lui dicono: ha la forza politica di Chávez, la “buona volontà” di Lula e l’irascibilità della Fernández; è giovane, di bell’aspetto e dotato di ottime capacità oratorie. Rafael Correa, il Caudillo di Quito, si riconferma alle elezioni del 17 febbraio 2013 uno dei líder più amati dal proprio popolo e uno degli attori di maggior successo nell’odierno panorama politico. Purtroppo però, come accade, il successo si alimenta di ambizioni e le ambizioni spesso a conducono a protagonismi eccessivi e brame di accentramento del potere su se stessi. Anche questo è Correa..
Al termine di una competizione elettorale priva di colpi di scena e di pronostici discordanti, gli ecuadoriani hanno ribadito con il 56,7% di voti a favore, che la linea fino a ora seguita dall’incumbent Correa a capo del partito Alianza Pais (Patria Altiva y Soberana - Alleanza della Patria Orgogliosa e Sovrana), è quella che auspicano per il proprio paese. E non è difficile capire il perché.
In un Ecuador ridotto in ginocchio dalla traumatica dollarizzazione del paese del 2000, da un soffocante debito estero che, su stimolo di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, costrinse il governo a pagare in tempo di crisi quasi 76 miliardi di dollari e, soprattutto, da sregolate misure neoliberiste (svalutazione dei salari, privatizzazioni indiscriminate, flessibilizzazione estrema del mercato del lavoro), Correa ha saputo attuare quelle riforme stataliste che, seppure discutibili, si sono rivelate necessarie al paese per risollevarsi da anni d’instabilità politica e di umiliazione economica.
Nei dieci anni precedenti alla sua ascesa al potere, a capo del governo ecuadoriano si sono succeduti ben otto presidenti, tre dei quali spodestati da rivolte popolari. Dal 1995 al 2000 il numero degli indigenti passò da 2 a 4 milioni di persone e il Pil crollò del 31%. Con una politica economica nettamente orientata verso sinistra, a prendere in mano le redini della situazione è lo stato: il presidente ha da subito spinto per un maggiore interventismo nell’economia e ha optato per una politica di nazionalizzazione delle industrie (soprattutto nei settori di energia e telecomunicazioni) e di sostegno alle fasce più deboli della popolazione.
Un grande sforzo da parte dell’amministrazione è stato sicuramente richiesto per la nuova regolamentazione del sistema finanziario, probabilmente una delle più onnicomprensive e complete del Ventunesimo secolo. Il governo ha preso il controllo della banca centrale e l’ha costretta a rimpatriare circa 2 miliardi di dollari delle riserve detenute all’estero, utili a finanziare – sotto forma di prestiti da parte delle banche pubbliche – opere infrastrutturali e agricole.
Ha fatto tanto discutere, inoltre, la rinegoziazione degli accordi con le compagnie petrolifere straniere attuata da Correa proprio nel momento in cui i prezzi del greggio stavano aumentando. Questo stratagemma ha permesso alle entrate del governo di aumentare del 27% del Pil nel 2006 e di oltre il 40% lo scorso anno. Buona parte delle nuove entrate è stata utilizzata per finanziare programmi di aiuto per la fasce più deboli della società, nel quadro del cosiddetto Plano nacional del buen vivir, il quale ha contribuito a ridurre la povertà dal 52% della popolazione che ne era interessata un decennio fa, all’attuale 34% (stime della Banca Mondiale). La leva della spesa pubblica è stata inoltre sapientemente usata per stimolare l’economia – diventata nel 2012 la seconda più dinamica della regione latinoamericana – e, quindi, frenare la disoccupazione la quale, secondo fonti governative, si mantiene stabile al 5%.
Molti suoi oppositori ed esperti di affari chiamano franchise socialism l’espansione dell’azione statale nell’economia portata avanti da Correa, con l’ accusa d’incoraggiare la corruzione. Il Caudillo di Quito presenta, infatti, un lato oscuro preoccupante, che lascia temere una digressione autocratica del suo prossimo governo. Alberto Acosta, per esempio, uno dei co-fondatori di Alianza Pais e sfidante alle elezioni, imputa al presidente la colpa di avere accentrato troppo potere su di sé e di adottare un atteggiamento dittatoriale degno del “re Sole”. Di certo, la riforma costituzionale del 2007 che gli ha permesso di concorrere alle elezioni successive, il frequente ricorso al veto presidenziale che mina il potere legislativo del Parlamento, le riforme alla giustizia finalizzate all’esercizio di un maggiore controllo sulla magistratura e le pesanti violazioni alla libertà di stampa, lo rendono più vicino al fair dispotico di Luigi XIV che all’attivismo democratico di Michelle Bachelet.
La campagna elettorale condotta in vista delle ultime elezioni conferma, d’altronde, che la sete di potere di Correa non lascia spazio a ostacoli né a critiche. Ricorrendo all’uso di fondi e strumenti governativi e abusando delle proprie reti radio e televisive, Correa ha fatto risuonare per il paese la sua vincente retorica populista e anti-americana la quale – unitamente a norme elettorali favorevoli agli attori politici più influenti – gli ha assicurato sin da subito la meglio sugli altri sette candidati. Questi ultimi, comunque, proponendo campagne povere e programmi politici incerti, hanno palesato, se non altro, che un’alternativa forte in Ecuador, al momento, non esiste. L’unico sfidante rivelatosi temibile è stato il banchiere Guillermo Lasso, esponente del Movimiento creando oportunidades, che si è fatto portavoce dell’ala conservatrice del paese, raccogliendo il 23,3% dei voti.
Temi chiave della campagna presidenziale sono stati l’economia e la sicurezza. Correa vorrebbe mantenere la stessa linea di politica economica adottata sinora ma in molti nutrono seri dubbi sulla fattibilità del suo progetto. Lo stato ha un debito residuo di almeno 3,4 miliardi di dollari con la Cina, da estinguere tramite la produzione di petrolio nel paese la quale, però, è diminuita rispetto al 2006, così come la quota di investimenti privati nel settore. La mancanza di garanzie e le frequenti variazioni nella tassazione hanno, infatti, scoraggiato gli investimenti dall’estero. La forte spesa pubblica, divenuta ancora più rampante all’alba delle elezioni, ha inoltre provocato un deficit pari al 7% del Pil, lasciando sospettare che un simile ritmo di uscite si riveli insostenibile nel lungo periodo.
Alle sfide economiche che dovranno essere affrontate si accompagnano quelle, forse più preoccupanti, della sicurezza interna. Negli ultimi anni la situazione generale nelle grandi città è peggiorata a causa della diffusa criminalità organizzata e delle numerose bande giovanili. Correa pensa di rispondere creando una nuova forza di sicurezza presidenziale e un nuovo codice penale contenente, tra l’altro, disposizioni ancora più dure contro la diffamazione (in particolare quella a danni del presidente).
Dato che all’interno del paese il Caudillo è riuscito a dar prova ampiamente della propria superiorità politica, il terreno di gioco sul quale maggiormente verranno ora testate la sua determinazione e le sue ambizioni di potere sarà quello internazionale. Il forte consenso raccolto alle ultime elezioni lo candidano automaticamente a successore di Hugo Chávez – gravemente malato, al quale Correa ha voluto dedicare la sua vittoria – nella veste di leader dell’Alba, l’Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América. Nel corso di questo nuovo mandato, il presidente dell’Ecuador potrà approfondire la sua agenda socialista e aumentare il proprio peso all’interno del blocco dei governi di sinistra anti-americani della regione, inasprendo ulteriormente i rapporti col primo partner commerciale ecuadoriano. Sono numerosi gli episodi che vedono il paese andino contrapporsi alla potenza Usa: alla clamorosa chiusura della base militare statunitense in Ecuador e alla negazione dei permessi di estrazione di petrolio alla compagnia Chevron, si aggiunge, infatti, lo scalpore sollevato dal caso Julian Assange. La concessione di asilo politico – espressamente avanzata da Correa nell’agosto 2012 dopo una lunga campagna mediatica e diplomatica – al fondatore di Wikileaks, percepito come una minaccia dai governi di tutto il mondo, ha attirato su Correa le critiche di Svezia, Regno Unito e Stati Uniti che hanno accusato Quito di bloccare il processo a carico del giornalista in Svezia e la cooperazione giudiziaria europea. La mossa del presidente di offrirsi quale protettore dell’alfiere internazionale della libertà di stampa, si rivela chiaramente funzionale a controbilanciare le contestazioni ricevute nel paese per le sue discutibili misure di limitazione dell’azione dei media.
Se, da un lato, Correa dimostra apertamente la volontà di allontanarsi dall’asse nord-occidentale liberista, dall’altro, sono tante le prove di avvicinamento a potenze orientali, prime fra tutte Cina e Iran. All’interno della strategia cinese di approfondimento dei propri interessi nel continente sudamericano, l’Ecuador occupa un posto di primaria importanza divenendo beneficiario di ingenti somme di denaro, atte a coprire il preoccupante deficit nazionale, e partner di importanti piani commerciali. Secondo i dati diffusi dall’Amministrazione generale delle dogane della Cina, il valore totale degli scambi commerciali cinesi con il paese ha raggiunto quasi 2,27 miliardi di dollari nel mese di luglio 2012, registrando in un anno un aumento del 57,3%. L’Iran, similmente, ha esteso il finanziamento per una serie di progetti nel paese andino (tra cui la costruzione di due centrali elettriche) che , a sua volta, è diventato uno degli importatori principali di prodotti iraniani, rimpiazzando il Perù. Gli scambi commerciali tra i due paesi sono passati dagli 8 milioni di dollari d’inizio millennio ai 168 milioni del biennio 2007-2008.
Dal punto di vista regionale, invece, permangono forti tensioni con la Colombia. L’Ecuador ospita circa 135.000 rifugiati colombiani e il paese è il rifugio principale di molti guerriglieri delle Farc, cosa che ha provocato tensioni con l’esercito colombiano.
La nuova amministrazione di Correa poggia dunque su un fragile equilibrio. A livello internazionale sta consolidando alleanze con potenze osteggiate a livello mondiale come l’Iran e il Venezuela, (attirando di contro l’ostilità dei più importanti attori politici come gli Usa e alcuni stati del nord Europa), mentre sul fronte interno dovrà confrontarsi con le sfide poste dalla sicurezza, dalle critiche di autoritarismo rivolte al presidente e dalla precaria stabilità dei conti economici nazionali. Al momento però, la grande liquidità del sistema economico garantita dagli alti prezzi del petrolio creano una favorevole congiuntura che valorizza i risultati del governo e, fino a quando tale situazione persiste, il popolo non si curerà troppo del lato oscuro del presidente dal momento che, come dice Santiago Nieto, direttore dell’istituto elettorale Informe Confidencial, «l’organo più sensibile dell’essere umano è il portafoglio» e, fino a quando c’è dentro qualcosa, non ci si opporrà al mandatario.