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Africa

Cosa c’è dietro l’attacco in Mozambico

30 marzo 2021

L’attacco terroristico a Cabo Delgado dev’essere più di un campanello d’allarme. Le infiltrazioni jihadiste in una zona ricca di risorse naturali, ma tra le meno sviluppate del paese, sono una miscela esplosiva.

 

Sono centinaia i dispersi dopo l’attacco armato dei giorni scorsi a Palma, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, che ha causato la fuga di migliaia di persone e un numero imprecisato di vittime. L’attacco – rivendicato dall’Isis – è iniziato mercoledì 24 marzo, quando un centinaio di uomini del gruppo Ahlu al Sunna wa al Jamaa, noto anche come al-Shabaab, hanno fatto irruzione a Palma, e si è protratto per giorni. In molti sono stati evacuati dal porto cittadino con imbarcazioni delle forze dell’ordine, di pescatori e diportisti mentre 200 residenti, molti dei quali lavoratori stranieri del settore energetico, hanno cercato rifugio in un lodge della zona, l’Aamarula Hotel, dove sono rimasti asserragliati per giorni. Secondo Site, l’agenzia che monitora la galassia jihadista, gli assalitori affermano di aver ucciso almeno 55 persone, tra “soldati mozambicani, cristiani e occidentali” e di aver ormai preso il controllo di Palma, città di 75.000 abitanti circa alla frontiera con la Tanzania, vicino a un importante sito di estrazione di gas.

 

Un attacco annunciato?

L’attacco a Palma non era inatteso, anzi. La provincia di Cabo Delgado è teatro di un’insurrezione armata che dal 2017 ha causato oltre 2mila vittime e 670mila sfollati. Ad agosto, gli al-Shabaab hanno attaccato e preso il controllo della città portuale di Mocímboa da Praia. Da allora, hanno sequestrato diversi villaggi vicini. I gruppi armati ricorrono a mezzi e pratiche estremamente violente, con decapitazioni di massa: l’esodo di civili, molti dei quali hanno cercato rifugio nella città portuale di Pemba, ha determinato una vera e propria crisi umanitaria su cui però il governo mozambicano cerca di non far trapelare notizie. All’origine della rivolta, secondo analisti ed esperti, sarebbe la condizione di marginalizzazione socio-economica e l’esclusione delle comunità locali dallo sfruttamento delle risorse naturali del territorio. Palma sorge infatti a pochi chilometri dalla penisola di Afungi, che ospita un impianto di gas naturale ed è al centro di un progetto multimiliardario gestito dal colosso energetico francese Total. E anche le italiane Saipem e Bonatti, presenti con decine di dipendenti locali e stranieri, sono riuscite ad evacuare il personale presente sul luogo dell’attacco. Le violenze nella zona hanno subito un’escalation nell’ultimo anno, quando la rivendicazione di un attentato da parte del cosiddetto Stato Islamico ha evidenziato il legame tra i movimenti jihadisti locali e internazionali. L’insicurezza che ne deriva è il prodotto tanto degli attacchi degli insorti jihadisti, quanto della repressione indiscriminata delle forze armate mozambicane, che nel corso degli anni hanno fatto ricorso ad arresti arbitrari ed esecuzioni sommarie aggravando lo scontento e alimentando l’astio nei confronti del Frelimo, il partito al potere sin dal 1975 e di un governo lontano, accusato di incapacità e corruzione.

 

 

Eldorado ma non per tutti?

Poco prima dell’attacco, l’azienda francese Total aveva rilasciato una dichiarazione in cui annunciava la ripresa delle sue operazioni nella penisola di Afungi, dopo averle sospese a causa dell’insicurezza crescente. Il governo del Mozambico aveva dichiarato il raggio di 4 km che circonda il progetto ‘area di sicurezza speciale’. La città di Palma si trova a soli 2 km dal confine dell'area. Cabo Delgado, per decenni una delle zone più povere e sottosviluppate del Mozambico, è improvvisamente divenuto l’Eldorado del paese, dopo la scoperta di giacimenti di gas naturale e pietre preziose nel 2010. Una ricchezza, quella del sottosuolo, che però ha portato in dote alla popolazione solo altra miseria, sfollamenti e violenze. Negli ultimi dieci anni, il governo ha rimosso con la forza intere comunità da terreni di proprietà statale, che ha poi dato in concessione a società private per la ricerca di rubini, pietre preziose e gas naturale. Nella totale assenza di servizi e sostegno alle persone da parte del governo centrale, quindi, le persone hanno perso la terra su cui facevano affidamento per avere cibo, riparo e un reddito. “Non sono solo disoccupati, sono anche non occupabili – spiega al Guardian David Matsinhe, attivista per i diritti umani –. Si lamentano, dicono che sono solo gli stranieri che traggono vantaggio dalla ricchezza della terra”. Secondo l’attivista, queste lamentele hanno alimentato il conflitto “più di qualsiasi influenza da parte di gruppi terroristici internazionali. Quando si parla dei predicatori radicali che vengono per reclutare i giovani, ci si dimentica che il governo ha fatto per loro circa l'80% del lavoro. E i predicatori vengono solo a raccogliere i frutti”.

 

Ricetta per un disastro?

Secondo le stime, il Mozambico ‘siede’ su un giacimento di gas naturale che, una volta sfruttato, ne farebbe il secondo produttore mondiale dopo il Qatar. Al progetto, che ha comportato un investimento enorme di risorse, partecipano altre aziende oltre Total, tra cui l’italiana ENI e l’americana ExxonMobil. Un affare da 150 miliardi di euro in uno dei paesi più poveri dell’Africa orientale e dell’intero continente. Dopo l’attacco, però, Total ha nuovamente sospeso i lavori, e ha annunciato che ridurrà al minimo il personale, aumentando le norme di sicurezza per garantirne l’incolumità. Il che lascia presagire nuove e più stringenti misure di contenimento per la popolazione e l’arrivo di altri contractor stranieri che, come Dyck Advisory Group (DAG) e Paramount Group, sarebbero peraltro già presenti nella zona. Con il plauso delle autorità di Maputo e il sostegno delle società estrattive, il mese scorso il dipartimento di Stato americano ha inserito tra i destinatari delle sanzioni statunitensi il leader di al-Shabaab Abu Yasir Hassan. E il Portogallo – paese che colonizzò l’attuale Mozambico – ha deciso di inviare 60 unità militari nel paese per sostenere il governo centrale. Ma anziché eradicare le cause all’origine del malcontento – che alimenta l’instabilità nel nord del Mozambico – tali scelte rischiano di militarizzare ulteriormente il conflitto. Gli ingredienti ci sono tutti: ricchezze naturali, instabilità, corruzione e interventi militari esterni. Come già provato altrove, è la ricetta di un disastro perfetto.

 

Il commento

Di Camillo Casola, ISPI Associate Research Fellow, Programma Africa

La priorità di ogni intervento nel nord del Mozambico, sul breve periodo, deve essere la protezione dei civili, che vivono un'emergenza umanitaria senza precedenti. Guardando in prospettiva, però, l'applicazione da parte del governo di Maputo e dei suoi partner internazionali di uno schema di lotta al terrorismo, che in altri contesti africani ha rivelato tutti i suoi limiti, rischia anche a Cabo Delgado di alimentare ulteriormente l’insurrezione.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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