Ankara invita a boicottare il Made in France e Parigi si appella alla difesa della libertà d’espressione. Intanto in diversi paesi a maggioranza musulmana si protesta contro Emmanuel Macron, mentre da Nizza ad Avignone nell'Esagono è di nuovo allarme terrorismo.
A Dacca, capitale del Bangladesh, erano oltre 40mila le persone che ieri hanno marciato verso l’ambasciata francese, scandendo cori contro il presidente Emmanuel Macron e invitando al boicottaggio dei prodotti importati dalla Francia. Quella in Bangladesh è stata la protesta più partecipata, ma si sono bruciati simboli e bandiere francesi in diversi paesi del mondo islamico. Un’ondata di proteste a tratti violente causate dalle parole del presidente francese Emmanuel Macron, che ha difeso le caricature del profeta Maometto pubblicate dalla rivista satirica Charlie Hebdo. Lo scontro, infatti, avviene pochi giorni dopo il brutale omicidio dell’insegnate Samuel Paty, ucciso da un diciottenne di origine cecena dopo aver tenuto una lezione sulla libertà d’espressione servendosi delle caricature incriminate. “È stato ucciso perché gli islamisti vogliono il nostro futuro. Non lo avranno mai”, aveva dichiarato subito dopo Macron. “I musulmani in Francia sono trattati come gli ebrei in Europa prima della Seconda guerra mondiale”, ha dichiarato in diretta televisiva il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, invitando a boicottare i prodotti francesi. Ma al netto dello scontro personale e ideologico tra i due capi di stato c’è anche altro. In Francia c’è aria di campagna elettorale, mentre la Turchia di Erdogan vuole salvaguardare il proprio ruolo di guida del mondo musulmano.
L’Europa fa muro?
Le reazioni dell’Unione Europea alle parole di Erdogan non sono tardate. L’alto commissario per la politica estera UE Josep Borrell e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel fanno quadrato in difesa di Parigi. “Le parole del presidente turco Erdogan contro la Francia e il presidente Macron sono diffamatorie e assolutamente inaccettabili”, gli fa eco da Berlino la cancelliera Angela Merkel, il cui paese ospita la più grande comunità turca in Europa. E al coro si è aggiunto anche il premier italiano Giuseppe Conte, che definisce inaccettabili le invettive di Erdogan, sottolineando che queste “non aiutano l'agenda positiva che l'Ue vuole perseguire con la Turchia”.
Una battaglia di politica interna?
A un anno e mezzo dalle prossime presidenziali e parlamentari, la Francia è entrata in campagna elettorale. Non c’è dubbio che l’avversario di Emmanuel Macron sarà ancora una volta Marine Le Pen, leader della formazione di estrema destra Rassemblement National. Il pugno duro del presidente mira quindi anche a non deludere quella parte di elettorato più sensibile ai temi della sicurezza, che altrimenti diventerebbe facile preda della leader sovranista. Al di là dei reali rischi per la sicurezza a più riprese denunciate dalle autorità francesi, potrebbero non essere estranee questa logica più politica anche le chiusure dei luoghi di culto islamici in Francia – 73 tra moschee e scuole coraniche – così come le dichiarazioni di inizio ottobre, quando definì l’Islam una religione in crisi e condannò “il separatismo islamico”, in riferimento a quelle comunità che in Francia sono più sensibili alla propaganda radicale. Infine, come scrive Stefano Montefiori, “l’obiettivo di Macron è combattere il «separatismo islamista» e costruire un islam nazionale sottratto all’influenza straniera. Erdogan e gli altri non lo tollerano, e con la loro retorica rischiano di provocare conseguenze gravissime sulla coesione della società francese.”
In rotta di collisione?
Negli ultimi anni la Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha avviato una politica estera decisamente assertiva, che fa leva su nazionalismo e sostegno all’islam politico, in aperta collisione con i paesi del Golfo che compongono invece il fronte anti-islam politico, in particolar modo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Obiettivo di questa politica, forse troppo semplicemente etichettata come ‘neo-ottomanesimo’, è ergere Ankara a leader del mondo musulmano, in un’ambigua quanto pericolosa competizione sul terreno e guerra di simboli. Con il crescere dell’assertività e del coinvolgimento turco nel suo estero vicino, sono aumentate le frizioni con l’Unione europea: dal ‘patto col diavolo’ sui migranti che ha conferito a Erdogan una leva importante nei confronti dei paesi europei spaventati dall’afflusso in massa di rifugiati in fuga dai conflitti mediorientali, all’entrata decisa nel conflitto libico allo scopo di aumentare la propria presenza politica ed economica nel paese, alle provocazioni nel Mediterraneo orientale che hanno portato pericolosamente vicino allo scontro aperto con la Grecia, il cui principale sostenitore in Europa è proprio la Francia di Macron. E a questi dossier va aggiunta la guerra in Nagorno-Karabakh, che da oltre un mese è ripresa con inedita violenza e in cui l’Azerbaigian conta sul sostegno incondizionato della Turchia. Un fronte che potrebbe portare a una crisi regionale più estesa qualora Baku attaccasse l’Armenia, portando la Russia a onorare l’accordo militare previsto per questa evenienza. E all’aumentare delle tensioni con gli alleati NATO, la lira turca segna oggi l’ennesimo record al ribasso. Il gioco politico con cui Erdogan difende i propri interessi internazionali comincia a costare caro al suo paese.
Il commento
Di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow
Il brutale assassinio di Samuel Paty, ascrivibile a un atto di radicalizzazione islamista da parte di un rifugiato ceceno in contatto con lo Stato Islamico, ha riacceso il dibattito sul delicato equilibrio tra la difesa della laicité, della libertà di espressione, e dei diritti della numerosa popolazione musulmana francese.
Ma nell’aspro scambio di battute tra Macron e Erdogan di questi giorni, l’Islam c’entra assai poco. Da una parte Erdogan che cerca di posizionarsi come nuovo leader del mondo islamico, sottraendo lo scettro all’Arabia Saudita, facendo leva su nazionalismo e religione per accrescere il peso geopolitico della Turchia odierna; dall’altra Macron che, oltre a una stretta generalizzata sulle regole delle scuole religiose, guarda preoccupato alla crescita dei consensi per il Rassemblement National di Marine Le Pen e cerca di correre ai ripari in vista delle elezioni del 2022. Ma Francia e Turchia sono anche impegnate in una contesa ben più ampia: dal Mediterraneo orientale alla Libia, passando per il Nagorno-Karabakh, Parigi e Ankara si trovano sui fronti opposti delle numerose crisi aperte nella regione. Non dunque uno scontro di civiltà, ma una diversa declinazione di una competizione geopolitica.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)