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Commentary

Così l’Italia torna leader

Giampiero Massolo
02 aprile 2021

L'Italia è tornata. È un po' questo il commento diffuso tra gli osservatori internazionali e confermato anche dall'andamento del Consiglio europeo del 25 marzo scorso come dalla conferenza stampa del presidente Draghi del 26 marzo. Sarebbe ingeneroso disconoscere i risultati ottenuti dal governo precedente sul Recovery Fund. Come sarebbe illusorio pensare che il peso del Paese sia cresciuto d'improvviso con un colpo di bacchetta magica. Le luci e le ombre di sempre. Sta di fatto, tuttavia, che un "effetto Draghi" c'è e comporta una sensazione confortevole.

Abituati a contare meno della nostra taglia, ci troviamo all'improvviso nella situazione opposta. E del resto combattere in una categoria superiore alla propria è quello che da tempo fanno abilmente i nostri maggiori partner europei. Abbiamo quindi ritrovato, nel breve volgere di qualche settimana, complice anche il fine regno di Angela Merkel e una leadership meno agevole del previsto di Emmanuel Macron, una centralità inconsueta. Per la verità, protagonisti in Europa lo siamo stati spesso: per lo più in negativo, come parte del problema, per il rischio che un'implosione dell'economia italiana sotto il peso di un debito spropositato può rappresentare per l'intero processo d'integrazione europea. La stessa conversione tedesca, sotto la spinta della pandemia, sull'indebitamento europeo origina almeno in parte anche dai timori di un simile sviluppo.

 

Il nuovo protagonismo italiano

Oggi, il nostro protagonismo assume aspetti differenti. Si traduce, intanto, nell'autorevolezza di delineare i contenuti di un'agenda europea a tutto campo: dall'atteggiamento fermo verso i Big Pharma sui vaccini come verso i partner non europei restii alla reciprocità nella loro distribuzione; all'atteggiamento esigente verso il coordinamento europeo, pena la scelta di vie nazionali d'azione; al ripensamento del Patto di stabilità con più enfasi sulla crescita; al rilancio del progetto di una compiuta Unione bancaria fino all'idea di una vera politica fiscale comune. Si incentra, poi, sulla definizione di un'autonomia strategica dell'Unione europea non irrealisticamente alternativa al rapporto transatlantico, ma tesa a irrobustire le dimensioni tecnologica, sanitaria, industriale, della difesa e sicurezza, come contributo al rafforzamento complessivo dell'Occidente. Si definisce, infine, nello sviluppo di rapporti europei di partnership saldi, ma allo stesso tempo critici e attenti agli aspetti valoriali e ai rapporti di potenza, con i Paesi più problematici, dalla Cina alla Russia e alla Turchia.

Ne emerge, in sostanza, una linea tesa a una non velleitaria riaffermazione della sovranità europea, attraverso la revisione delle politiche e dei meccanismi decisionali dell'Unione verso una loro maggiore efficacia. Si riannoderebbe in tal modo il rapporto di fiducia tra cittadini e Europa, crescerebbe l'identità europea sulla scena internazionale, si rinsalderebbero di conseguenza gli assetti interni degli Stati membri. Aspetto, quest’ultimo di cruciale rilievo, perché nessun processo d'integrazione può progredire a prescindere da un soddisfacente contemperamento di interessi che restano comunque prevalentemente nazionali.

 

Un ruolo che può durare?

Si pone qui, soprattutto per l'Italia, se vorrà mantenere la propria ritrovata centralità in positivo, un problema di sostenibilità nel tempo. Di efficientamento del sistema, di ristrutturazione economico-sociale complessiva, che ci consenta di continuare a lottare un po' sopra al nostro peso, indipendentemente da chi incarni pro tempore le nostre istituzioni. Mettere ordine a casa propria è la premessa di ogni autorevolezza, europea e nazionale.

Una campagna vaccinale efficace e massiva, come un Recovery Plan ambizioso e lungimirante ne sono le premesse necessarie, ma non sufficienti. A evolvere dovrebbe essere soprattutto la nostra cultura politica: fino ad accettare che una assertività nazionale in Europa non è a scapito dell'interesse europeo e che, d'altra parte, la convinta partecipazione alle politiche europee non confligge con l'interesse nazionale. Siamo

ancora abbastanza distanti.

 

Questo articolo è stato pubblicato su “La Stampa” il 27 marzo 2021

 

 

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AUTORI

Giampiero Massolo
Presidente ISPI

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