Nessuno si azzarda a fare previsioni. È il segno di quanto la situazione in Costa d’Avorio sia intricata e di quanto l’esito positivo o negativo – dipenda da elementi aleatori e legati alle personalità dei principali attori in campo e forse dagli attori esterni.
Il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali nel paese era atteso da tutti gli osservatori, nazionali e internazionali, come il punto di svolta di quello che era il gioiello della stabilità in Africa occidentale e che otto anni di guerra civile avevano invece indebolito e di fatto diviso tra nord (a maggioranza musulmana) e sud (a maggioranza cristiana).
Se il clima nel giorno delle votazioni – sia al primo turno che al secondo turno, il 28 novembre – e in generale lo svolgersi del processo elettorale sono stati ragioni di speranza, tutto si è rapidamente deteriorato con i ritardi nella proclamazione dei risultati. Il 3 dicembre la Commissione elettorale indipendente ha annunciato la vittoria di Alassane Ouattara sul presidente uscente Laurent Gbagbo, con un distacco di circa 8 punti percentuali. Il 4 dicembre la Corte costituzionale, legata a Gbagbo, ha annullato i risultati in sette dipartimenti del nord del paese e senza pensare a una ripetizione del voto in questi distretti, attirando le critiche degli osservatori elettorali e consegnando così la vittoria al presidente uscente con il 51% dei voti validi. I due contendenti hanno quindi entrambi giurato da presidente. Ovviamente Gbagbo, data la sua posizione, ha dato alla sua cerimonia un’apparenza di ufficialità. Alassane Ouattara è musulmano, originario del nord del paese ed è stato direttore del Fondo monetario internazionale e in passato fu escluso dalle elezioni per la sua presunta origine burkinabé. Laurent Gbagbo è invece cristiano, originario del sud e ha l’appoggio delle forze armate.
Lo stallo politico è ben presto sfociato in violenza. I sostenitori di Gbagbo e Ouattara sono scesi in strada ad Abidjan e in altre città, lasciando sul terreno decine di morti. Le Nazioni Unite, presenti nel paese dal 2004 con una missione di pace, hanno dichiarato che centinaia di persone sono detenute e che si stanno commettendo preoccupanti abusi dei diritti umani.
In democrazia, la forma è sostanza e le potenze internazionali non ne hanno tenuto conto, dichiarandosi unanimemente a favore di Ouattara nonostante fosse in corso un conflitto tra poteri costituzionali, tra Commissione elettorale e Consiglio costituzionale: Unione africana, ECOWAS (la Commissione economica dell’Africa occidentale), Nazioni Unite, Unione europea e Francia hanno condannato la condotta di Laurent Gbagbo e sostenuto Ouattara come vincitore. L’Unione africana ha sospeso la Costa d’Avorio dall’organizzazione. L’Unione europea si sta preparando a bandire dal suo territorio Gbagbo e 18 dei suoi più importanti collaboratori. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha rifiutato di ritirare le proprie truppe, come richiesto dal presidente sconfitto. La Francia, ex-madrepatria coloniale con cui la Costa d’Avorio ha mantenuto legami politici e economici strettissimi è stata molto dura con Gbagbo. Gbagbo ha reagito chiedendo il ritiro di tutti i militari francesi presenti nel paese e questo dà l’idea della contrapposizione che va delineandosi tra il presidente uscente e la ex-potenza coloniale. Solo la Russia, interessata a investimenti petroliferi e alla vicenda del trafficante di armi Viktor Bout, ha inizialmente opposto il veto a risoluzioni anti-Gbagbo, per poi allinearsi.
Sembrerebbe che tutto converga verso una soluzione della crisi che parta dal riconoscere a Ouattara la vittoria. Nella realtà dei fatti, le vicende africane ci hanno abituato al fatto che il prezzo di una vittoria elettorale dello sfidante è molto alto. In Kenya e in Zimbabwe, per fare due dei più recenti e clamorosi esempi, l’esito elettorale è stato duramente contestato e ciononostante i presidenti uscenti – che pure non hanno vinto senza contestazioni – governano in un governo di unità nazionale. Il rischio che anche Gbagbo alzi il prezzo della propria accettazione, almeno parziale, del risultato elettorale che non lo vede vincitore, è molto reale, così come è reale che si possa giungere a una situazione in cui il livello di violenza interna non sia più arrestabile, tanto più che nel caso della Costa d’Avorio i sostenitori dei due contendenti hanno una precisa territorializzazione in un paese che negli ultimi anni ha vissuto diviso in due. La composizione della crisi ivoriana, se arriverà, sarà importante non solo per la soluzione della questione specifica, ma per rafforzare l’idea che l’alternanza politica, in Africa, non è troppo costosa.