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Il mondo che verrà: 10 domande per il 2020

Country to watch 2020: Algeria

Yahia Zoubir
26 Dicembre 2019

Il paese più grande del continente africano è a un punto di svolta: finita l’era Bouteflika, comincia una nuova fase. Sarà di cambiamento?

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Il 10 febbraio 2019, dopo 20 anni al potere, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika fa sapere attraverso il suo entourage di volersi presentare alle elezioni per un quinto mandato. Il governo annuncia la candidatura nonostante le precarie condizioni di salute e le sporadiche apparizioni pubbliche del presidente il cui ultimo discorso ufficiale risale all’8 maggio 2012. L’annuncio scatena il 22 febbraio 2019 un movimento di protesta (Hirak) che continua senza interruzioni per 43 settimane (al momento della stesura di questo articolo) coinvolgendo milioni di persone nelle città grandi e piccole del paese.

L’Algeria, il paese più grande dell’Africa e del Medio Oriente, con una popolazione prevalentemente giovane (circa il 70% ha meno di 35 anni) sembra essere sull’orlo di una delle più pesanti crisi dalla dichiarazione di indipendenza del 1962. Se è vero che il sistema politico era stato pesantemente scosso dalle rivolte dell’ottobre 1988 e dai disordini civili degli anni Novanta, la situazione che prevale dal febbraio di quest’anno è differente in quanto potrebbe determinare lo smantellamento del sistema politico in essere dal 1962. Considerata l’apparente e relativa stabilità del sistema, pochi avevano previsto sviluppi di questo tipo.

Per comprendere le richieste del movimento Hirak, è necessario esaminare non solo gli ultimi vent’anni del neopatrimonialismo autoritario di Bouteflika, ma anche la natura stessa del sistema politico algerino che si fonda su due pilastri: legittimità storica, usurpata dai regimi che si sono avvicendati (“successione ereditaria”) e le rendite derivanti dal commercio degli idrocarburi. Uno dopo l’altro i regimi hanno resistito al potere sostenendo la tesi dell’appartenenza alla “famiglia rivoluzionaria” (con i privilegi che questo comportava), fondata sul clientelismo e l’accesso alle rendite del petrolio che in parte venivano ridistribuite alla popolazione per il mantenimento della pace. Questi due fattori hanno permesso ai regimi algerini di controllare la popolazione senza provvedere a un reale sviluppo del paese. All’interno di questo sistema, l’esercito, ivi compresi i servizi di intelligence, hanno svolto un ruolo predominante mentre la presidenza e le componenti vicine al regime (il Fronte Nazionale di Liberazione e il Raggruppamento Nazionale Democratico) hanno fornito una copertura civile a coloro i quali davvero detenevano le redini del potere. Con pochissime eccezioni, i partiti politici sono stati un’appendice del regime e sono stati usati come strumento che desse al regime una parvenza di credenziali “democratiche” illiberali, il cui obiettivo era ottenere legittimazione internazionale presso le potenze occidentali.

L’esercito algerino ha sempre fatto ricorso a un fronte civile per imporsi; questo tuttavia è cambiato con la rimozione forzata dello scorso 2 aprile del presidente Bouteflika da parte dell’uomo forte dell’esercito, Ahmed Gaïd Salah (AGS) e degli altri capi di stato maggiore. AGS ha senza dubbio utilizzato il movimento Hirak a proprio vantaggio per rimuovere tutti i suoi oppositori militari e civili. Nascondendosi dietro un’apparente ampia campagna anticorruzione, AGS ha ordinato l’arresto di decine di ex alti funzionari, lasciando in carica figure a lui vicine. La campagna anticorruzione ha ricevuto il sostengo della popolazione algerina dopo gli incredibili livelli di malcostume che avevano caratterizzato la presidenza di Bouteflika; non ci sono dubbi che quella che era emersa era un’oligarchia legata al regime, estremamente corrotta e profondamente immorale e responsabile di aver dilapidato le ricchezze del paese. Grazie a prezzi del petrolio estremamente favorevoli fino al 2014, questa classe politica e i sostenitori del regime hanno utilizzato i profitti legati alla vendita degli idrocarburi per il proprio arricchimento personale, in un contesto di grandi difficoltà per il resto della popolazione. La mancanza di uno stato di diritto e la pervasività di un sistema corrotto sono stati gli elementi caratterizzanti del regime di Bouteflika, che incoraggiava consapevolmente saccheggi, appropriazioni indebite, furti, sperperi e arricchimento indebito. Questi gravi illeciti e l’umiliazione cui era soggetta la popolazione algerina nel vedere deriso il proprio presidente sulla scena internazionale, spiegano in larga misura le incessanti richieste, da parte del movimento Hirak, di smantellamento del sistema politico. La candidatura di Bouteflika a un quinto mandato è solo la scintilla; sono ormai anni che la popolazione algerina accumula un forte malcontento contro la cleptocrazia al potere. Il movimento comprende tuttavia che la campagna anticorruzione altro non è che uno diversivo per dividere e, in ultima istanza, bloccare le proteste.

Nonostante un iniziale appoggio alle forze militari da parte della popolazione algerina, appare  rapidamente chiaro come AGS e l’alto comando militare stiano cercando di preservare il sistema. Il piano di azione proposto, di fatto delineato dallo stesso Bouteflika prima della sua rimozione, prevede due principali obiettivi: la nomina di un presidente gradito ad AGS che possa offrire una facciata civile al coinvolgimento dell’esercito e un intervento di ripulizia del vecchio sistema attraverso l’insediamento di un nucleo sostenuto da AGS. Hirak riesce ad assicurare l’annullamento delle elezioni previste per il mese di luglio ma, lo scorso 12 dicembre, AGS impone un’elezione presidenziale illegittima che scatena una forte opposizione da parte di milioni di algerini in patria e all’estero. L’elezione prevede cinque candidati, due dei quali hanno già ricoperto il ruolo di primo ministro mentre altri due sono ex ministri del presidente Bouteflika. L’affluenza alle urne è la più bassa nella storia del paese. In controtendenza rispetto alle dichiarazioni ufficiali che riferiscano di una partecipazione del 41%, di fatto le stime più ottimistiche parlano di una affluenza fra il 10 and 15%. Come commentato da Die Zeit, il regime algerino avrebbe dovuto ottenere il Premio Nobel per Frode Elettorale. L’ex primo ministro Abdelmadjid Tebboune ottiene il 58% dei voti. 

Le prospettive per l’Algeria sono piuttosto pessimistiche nonostante la natura pacifica che ha caratterizzato il movimento Hirak.  Hirak  chiede lo smantellamento del sistema e l’esclusione dell’entourage che ha sostenuto Bouteflika, incluso lo stesso AGS, che aveva appoggiato tutti i suoi mandati. Al contrario, l’esercito ha imposto figure appartenenti al precedente regime e la situazione rischia seriamente di aggravare la crisi per diverse ragioni. Le decisione prese hanno esacerbato la rottura fra le forze al potere e la società civile; la frattura si è consumata. Inoltre è difficile prevedere le conseguenze di quelle che sembrano profonde spaccature all’interno delle linee dell’esercito. Il nuovo presidente non ha alcuna legittimità agli occhi della popolazione civile; i suoi appelli al dialogo sono percepiti come un tentativo di dividere il movimento. L’economia è allo sfascio, in particolare da quando è ripreso il calo del prezzo del petrolio.  Il regime che da sempre si appoggia alle rendite del petrolio non è mai riuscito a diversificare l’economia nonostante le tante promesse, mentre l’attuale stallo ha dissuaso qualunque forma di investimento estero diretto. L’Algeria si trova oggi a un punto morto che vede la radicalizzazione del movimento Hirak, le cui richieste sono rimaste immutate, e l’alto comando militare che aspira al mantenimento del sistema. La transizione democratica che gli algerini chiedono da tempo non è fra le priorità dell’agenda politica. Non ci sono dubbi che l’Algeria si trovi oggi a un punto di svolta ma è difficile per chiunque prevedere quale possa essere il suo futuro.

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AUTORI

Yahia Zoubir
KEDGE Business School

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