La lunga era del cancellierato di Angela Merkel si chiude nel 2021 con una serie di gravosi punti interrogativi. Che non riguardano soltanto il destino della Germania, ma quello dell’Europa. Il 26 settembre i tedeschi torneranno a votare, e per la prima volta un cancelliere in carica rinuncerà a ricandidarsi mentre è al culmine della popolarità. L’uscita di scena di Merkel rischia di lasciare il suo partito, ma anche il Paese in una sorta di horror vacui. E il risultato delle urne avrà inevitabili riflessi sugli equilibri europei.
Il primo punto interrogativo riguarda il futuro del più ambizioso progetto europeo degli ultimi anni, il Recovery Fund. Sarà davvero, come sostiene Juergen Habermas, il più importante passo verso l’integrazione europea dopo Maastricht? Il fondo per la ricostruzione europea si basa su due idee rivoluzionarie, impensabili fino alla crisi da coronavirus, soprattutto per un cancelliere tedesco: trasferire incondizionatamente una quota di fondi che non dovranno mai essere restituiti a determinati Paesi europei. E finanziarli attraverso l’emissione di centinaia di miliardi di euro di bond garantiti da tutti e 27 gli Stati membri. Non potranno essere chiamati eurobond, ma di fatto lo sono.
Il futuro dell’Europa dipenderà dalla disponibilità del prossimo cancelliere tedesco a considerare questo rivoluzionario progetto una pietra miliare verso una maggiore integrazione europea, come lo ha definito ad esempio il ministro delle Finanze e candidato socialdemocratico alla cancelleria, Olaf Scholz. Oppure un una tantum che nasce e muore con la peste del secolo, come l’ha pensato Merkel stessa. E come sembrano considerarlo i maggiorenti nel suo partito, la Cdu.
Il secondo interrogativo riguarda il ripristino dei vincoli sui conti pubblici europei, sospesi a causa del coronavirus almeno per un altro anno. Una questione importante per l’Italia, gravata da un debito che ormai ruota intorno al 160% del Pil. Il prossimo cancelliere tedesco avrà un peso importante nel negoziato sul futuro dei vincoli sui conti pubblici europei e sulla loro interpretazione.
Inoltre, orfani del cancelliere-ombra degli anni della lunga crisi finanziaria del 2008, dell’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble che impose austeri programmi di aggiustamento in cambio di aiuti europei, cinque Paesi del Centro- e Nordeuropa si sono organizzati nell’ultimo anno per tenere alta la fiaccola del rigore. I cosiddetti “Frugali” – Paesi Bassi, Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca – nascono in opposizione all’asse franco-tedesco e al suo progetto più ambizioso e pro-europeo degli ultimi decenni, il Recovery Fund. E freneranno ogni tentativo di ammorbidire troppo le regole di bilancio o di trasformare, per usare il loro linguaggio, l’Unione europea in un’Unione dei trasferimenti. La posizione del futuro cancelliere tedesco rispetto ai Frugali sarà determinante, per gli equilibri politici del continente.
La Germania sarà cruciale anche capire quanto peserà la profonda frattura che si è creata a Est, sull’onda della crisi dei profughi, e, più di recente sulla questione del rispetto dello stato di diritto. Berlino ha avuto un ruolo di mediazione importante nell’eterno braccio di ferro con i riottosi Paesi di Visegrad, il destino del continente dipenderà molto dall’atteggiamento futuro del capo di governo tedesco.
Gli occhi dell’Europa saranno dunque puntati sulla Germania, il prossimo 26 settembre. E una recente intervista doppia a Robert Habeck e Markus Soeder, rispettivamente leader dei Verdi e della Csu, è sembrata suggerire già come potrebbe andare a finire. Con un’inedita coalizione tra cristianodemocratici e ambientalisti, un’alleanza nero-verde. E un cancelliere della Csu, il primo della storia. Da mesi, la Cdu/Csu veleggia intorno il 38% e la popolarità di Angela Merkel è alle stelle. E i Verdi sono ormai da mesi il secondo partito, con valori intorno al 20%. Quell’intervista-flirt Habeck-Soeder è stata la conferma che anche la destra bavarese dei conservatori tedeschi ha abbandonato ogni riserva a governare con gli ambientalisti. Ma la strada è ancora irta di ostacoli.
Il primo è il congresso della Cdu del 16 gennaio che dovrà designare il nuovo capo del partito. I tre candidati sono unanimemente considerati deboli, e sono espressioni diversissime, a tratti opposte, del conservatorismo tedesco. Ma sia il merkeliano Armin Laschet, sia l’antimerkeliano Friedrich Merz, sia l’outsider Norbert Roettgen non sembrano in grado di riempire il vuoto lasciato da una cancelliera che riesce ancora a incassare un terzo abbondante dei voti dei tedeschi. È questo horror vacui che continua ad alimentare da mesi l’ipotesi che alla fine la possa spuntare il bavarese Soeder. Ma quella di lasciare il campo a un leader della Csu è anche un’’ipotesi che potrebbe innescare una crisi senza precedenti nel partito di Adenauer.
Peraltro, se alla fine dovesse spuntarla il candidato più ostile alla ‘socialdemocratizzazione’ della Cdu dell’era Merkel, Friedrich Merz, fermamente intenzionato a spostare il partito su posizioni più di destra - e sicuramente più rigoriste e meno europeiste - la coalizione tra Cdu/Csu e Verdi che adesso danno tutti per scontata, potrebbe essere più complicata da realizzare.
I pronostici, in quel caso, danno come più probabile un’alleanza tra Verdi, Spd e Linke - se la sinistra radicale riuscirà ad abbandonare una serie di anacronismi. O persino tra Verdi, Spd e i liberali della Fdp. In entrambi i casi, se i sondaggi continueranno a premiare gli ambientalisti, per la prima volta un leader dei ‘Gruenen’ potrebbe diventare cancelliere. E che la contesa tra i due leader, Robert Habeck e Annalena Baerbock, sia già cominciata, lo dimostra una recente intervista. Anzi, due. Nella prima, Baerbock ha rotto una serie di tabù sulla politica estera, spostando i Verdi su posizioni più interventiste. Nella seconda, Baerbock ha risposto alla domanda più cruciale, se se la sentirebbe di fare la cancelliera, con un netto “sì”. Di certo, un cancelliere del partito più attento ai temi del futuro ma anche più europeista e solidale, sarebbe un’ottima notizia anzitutto per la Ue. Almeno, per chi crede nella necessità di una maggiore integrazione futura. Perché un governo tedesco con i Verdi al timone rischierebbe anche di scavare un solco ancora più profondo con l’Est. E con i guardiani di un’Europa rigorista, i Frugali.