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Commentary

Crisi ucraina. La colpevole faziosità di Bruxelles

07 marzo 2014

L’Ucraina vive ore di grande tensione e si trova sull’orlo di una guerra civile. E’ necessario che l’Occidente analizzi con attenzione e onestà intellettuale quanto è avvenuto nel corso delle ultime settimane per trovare una soluzione che permetta realmente alla democrazia di trionfare e d'indicare la legittima amministrazione pubblica per il paese. Vi sono in Ucraina essenzialmente due fazioni in competizione: una orientata a stabilire più forti legami con l’Unione Europea e una orientata a mantenere legami privilegiati con la Federazione Russa. Come si è comportata l’Unione Europea nel corso degli ultimi mesi? Di fronte alla crescente domanda di Europa di una parte della popolazione ucraina e dopo il mancato accordo di associazione del novembre 2013, la cosiddetta “politica estera comune” dell’UE, incarnata da Catherine Ashton, è nuovamente caduta nella trappola perniciosa della faziosità, così come le era accaduto precedentemente, in occasione della questione della provincia autonoma serba del Kosovo: l’Unione Europea, alla stregua di un qualsiasi partito politico o di un qualsiasi sindacato politicizzato, si è schierata da una parte, ha sostenuto platealmente una delle due correnti, perdendo quella caratteristica che è elemento fondante del suo prestigio e della sua legittimità internazionale, la sua necessaria neutralità. Quando Catherine Ashton, poche settimane or sono, si recò a Kiev per fraternizzare con gli epigoni della protesta di piazza Maidan, quando si mise a manifestare in prima linea con loro, essa pregiudicò irrimediabilmente l’autorevolezza dell’organizzazione internazionale che in quel momento rappresentava. L’Unione Europea non è credibile se perde la sua neutralità di fronte ai problemi internazionali e, ancor di più, di fronte ai problemi del continente europeo medesimo.

Al di là degli errori e degli abusi dell’amministrazione Yanukovich, la condotta auspicabile da parte dell’Unione Europea avrebbe dovuto corrispondere a una maggiore cautela, anche per evitare scontri violenti in seno alla popolazione, suscettibili di provocare incidenti, morte e distruzione. Siamo sicuri che i manifestanti di piazza Maidan avrebbero oltrepassato la soglia della non violenza, se non fossero stati (direttamente o indirettamente) incoraggaiati da una condotta europea irresponsabilmente schierata al loro fianco? E, soprattutto, cosa è successo dopo il prezioso accordo del 21 febbraio scorso? Il patto, sottoscritto dalla maggioranza e dall’opposizione, di fronte ai rappresentanti dell’Unione Europea, prevedeva un nuovo governo di unità nazionale, il ritorno alla costituizione del 2004 e l’organizzazione di nuove elezioni a breve termine. In poche parole, di fronte alla profonda crisi interna si rimandava il giudizio al magistero delle elezioni, unico vero strumento democratico per sondare anche tutta quella parte del paese che non è scesa in piazza Maidan e la cui opinione era altrettanto rispettabile. Ma nelle ore seguenti, inspiegabilmente, i rappresentanti dell’opposizione filoeuropea non hanno esitato a occupare gli edifici pubblici, a forzare i blocchi della polizia e a provocare, davanti agli occhi colpevolmente non indignati di Catherine Ashton, la crisi definitiva delle istituzioni. Perché, in quel momento, l’Occidente non è intervenuto per fermare gli estremisti, dopo l’accordo più che soddisfacente del 21 febbraio? L’Unione Europea, in definitiva, avrebbe dovuto presentarsi in modo molto più equilibrato al popolo ucraino, confermando sì la gioia di accogliere l’Ucraina in seno all’Unione Europea in futuro, ma ribadendo, in modo virtuosamente oggettivo, che la decisione relativa all’adesione spetta esclusivamente al popolo ucraino, il quale la deve esprimere secondo le regole di una democrazia che deve rispettare comunque le decisioni della maggioranza, anche quando queste decisioni non corrispondano agli auspici dell’Unione Europea medesima. Una soluzione pacifica della crisi passa attraverso il rispetto dell’accordo del 21 febbraio, garantito da un direttorio internazionale del quale facciano parte e l’Unione Europea e la Federazione Russa.

Stefano Pilotto, Storia delle Relazioni internazionali, Università di Trieste

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