L’annessione della Crimea da parte della Russia rischia di far precipitare le relazioni fra la Russia e l’Occidente verso una pericolosa stagnazione che potrebbe durare a lungo, poiché un cambio di leadership al vertice del Cremlino - elemento che potrebbe creare discontinuità e quindi modificare lo status-quo – non è realistico fino alla scadenza del mandato presidenziale prevista per il 2018. Gli attori più attivi nello spazio post-sovietico, oltre alla Russia - ossia Unione europea (Ue), gli Stati Uniti, la Cina - non hanno mostrato alcuna volontà di fronteggiare l’assertività russa ricorrendo all’uso delle armi. Il conflitto militare, salvo che Mosca non si avventuri in un’invasione delle regioni sudorientali dell’Ucraina (cosa che al momento non sembra verosimile), non costituisce perciò un’opzione politica. La Russia ha del resto abilmente messo in atto una strategia incruenta per l’annessione della Crimea: non solo la leadership russa ha potuto disporre di personale militare già presente nella penisola, rafforzato da forze militari aggiuntive (tuttavia non riconoscibili come tali in quanto senza una uniforme ufficiale) ma ha addirittura promosso un referendum per sancire una secessione ‘pacifica’. Stati Uniti e UE hanno ripiegato sulle cosiddette “sanzioni intelligenti”, che penalizzano in maniera selettiva coloro che sono vicini ai vertici del potere, ma che non saranno in grado di indurre ad una revisione delle posizioni russe sulla Crimea.
Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto notare che le sanzioni UE sono ridicole a causa della forte interdipendenza fra Russia ed Europa. Il gas proveniente dalla Russia copre il 25% del consumo totale UE ed il petrolio il 27%. Queste quote di mercato sono destinate a salire dato il declino delle riserve del mare del Nord. Secondo la Commissione europea, entro il 2030, la UE importerà circa il 70% della sua energia dalla Russia. Sul piano economico, si registra una crescente integrazione: il commercio è aumentato di più del 70% dal 2000 al 2005, e la Russia è il terzo partner commerciale della Ue dopo Stati Uniti e Cina, rappresentando il 7% delle esportazioni della Ue e il 12% delle sue importazioni. Le riduzioni dei volumi dei flussi commerciali nel corso del 2009 (le esportazioni sono calate del 38% rispetto al 2008 e le importazioni del 35%) è imputabile principalmente agli effetti della crisi del 2008, ma già nel corso del 2010 e nei primi mesi del 2011 si è registrata una ripresa.
La diversa intensità con cui i membri Ue sono economicamente legati alla Russia è uno dei fattori alla base della mancanza di coesione nella politica di Bruxelles verso Mosca. La Ue si è nuovamente presentanta divisa rispetto all’esplodere della crisi ucraina e alle posizioni da adottare nei confronti dell’annessione della Crimea da parte di Mosca. Le repubbliche baltiche e gli ex-paesi satelliti avrebbero voluto che l’Occidente reagisse in maniera più forte e autorevole al ritorno autoritario di Mosca nello spazio post-sovietico. Si tratta degli stessi paesi che nell’agosto del 2008, quando la Russia entrava con i propri mezzi militari in Georgia per difendere i russi dell’Abkazia e dell’Ossezia del sud, avrebbero voluto indire un Consiglio europeo straordinario. Allora il presidente di turno della Ue, il francese Nicolas Sarkozy, tessé solertamente una fitta rete diplomatica tra Tbilisi e Mosca che portò all’accordo sul cessate il fuoco fra le parti, segnando un successo per la Ue. Da allora tuttavia le due regioni si trovano in una situazione di limbo per quanto riguarda il loro status.
I paesi che invece intrattengono con la Russia importanti relazioni economiche in settori strategici come quello dell’energia – Italia, Francia e Germania – condannano il revanchismo russo ma allo stesso tempo mediano in ambito Ue per non esacerbare la tensione ed isolare eccessivamente la Russia. Anche attori privati - banche, aziende energetiche, studi legali – stanno facendo presssione perchè la reazione della Ue non leda i loro interessi. Lo stesso Regno Unito è interessato ad incrementare le importazioni di gas russo per fronteggiare il calo della produzione nazionale mentre la Germania da sola copre il 30% delle esportazioni Ue verso la Russia per un valore di circa 27,4 miliardi di euro. Nonostante le due gravi crisi nel 2006 e nel 2009 nate dal disaccordo fra Gazprom e Ucraina sul transito ed il costo delle furniture di gas, la Ue ha proceduto lentamente verso la diversificazione dell’approviggionamento energetico. Conseguentemente, ancora nel 2013 la Bulgaria e la Slovacchia erano dipendenti per il 90% dal gas fornito da Gazprom attraverso l’Ucraina. Le tensioni fra Bruxelles e Mosca non hanno rallentato i lavori per la costruzione del South Stream che porterà gas dalla Russia all’Europa con un tratto offshore che prevede l’attraversamento del Mar Nero dalla costa russa di Beregovaya (stesso punto di partenza del Blue Stream, gasdotto che attraversa invece la Turchia) a quella bulgara di Varna bypassando così l’Ucraina.
Per il prossimo futuro non ci possiamo attendere perciò progressi nelle relazioni Ue-Russia (ci vorrà ancora tempo per esempio per il rinnovo dell’Accordo di parternariato e cooperazione) ma i riverberi della crisi politica sulla integrazione economica non saranno drammatici. Riteniamo tuttavia che la Ue debba riflettere sulla crescita significativa di consensi intorno a Putin a seguito dell’annessione della Crimea e non sottovalutare gli effetti delle proprie politiche nel vicinato. I paesi dello spazio post-sovietico sono oggetto di offerte provenienti da attori che rappresentano modelli d’integrazione politica ed economica che collidono, ponendoli in una posizione di fragilità. Le loro oscillazioni tra un polo e l’altro, secondo una logica dettata dal pragmatismo, hanno avuto effetti destabilizzanti sulla politica interna e non hanno favorito il consolidamento democratico e la good governance. Nel momento in cui la Ue ha accettato di sottoscrivere un Accordo di Associazione con Kiev, scelta del tutto legittima, non poteva non attendersi una reazione da parte del Cremlino. La Ue ha forse sovrastimato il suo potere ‘trasformativo’ e sottovalutato il peso della geopolitica tradizionale.