Il mancato rinnovo della sospensione alle sanzioni contro Teheran non implica di per sé la loro reintroduzione automatica. Per ricreare il quadro sanzionatorio esistente prima dell’accordo sul nucleare con l’Iran (JCPOA) occorre adottare dei provvedimenti ad hoc che richiedono del tempo. Questa finestra di tempo - resa necessaria dalla stessa legislazione interna degli USA - potrebbe aprire un ulteriore spazio negoziale tra USA ed Europa per salvare l’accordo. Infatti, fintanto che gli USA non rendono esecutive le sanzioni, Washington viola la sequenza dell’implementazione degli impegni articolata nel JCPOA (che prevede la regolare emissione di sospensioni), ma rimane garantita l’integrità dell’articolo 26 dell’accordo, che chiede a Usa e Europa di non reintrodurre le vecchie sanzioni sul nucleare.
Partendo proprio dal quadro sanzionatorio attualmente esistente, è necessario osservare anzitutto che l’accordo sul nucleare ha lasciato inalterato lo stato della maggior parte delle sanzioni primarie USA, ovvero quelle che colpiscono cittadini USA coinvolti in attività commerciali con l’Iran. Le esenzioni introdotte con il JCPOA si riferiscono soprattutto alle sanzioni secondarie USA, ovvero quelle che riguardano soggetti terzi (quindi anche europei) coinvolti in attività con entità iraniane poste sotto sanzioni. Le esenzioni hanno durata variabile, dai 120 ai 180 giorni.
Le disposizioni in scadenza il 12 maggio riguardano il National Defense Authorization Act (NDAA) del 2012 e sono sostanzialmente sanzioni bancarie collegate a tutte le transazioni finanziarie in cui è coinvolta la Banca Centrale iraniana (CBI) o altre istituzioni finanziarie iraniane designate. Esse ricadono quindi su tutti quei paesi che acquistano petrolio iraniano, bene il cui commercio passa obbligatoriamente attraverso la CBI. Questa disposizione prevede tuttavia una ulteriore esenzione di 180 giorni per gli istituti finanziari esteri che in quel lasso di tempo riducono in modo significativo il volume del petrolio acquistato dall’Iran.
Anche qualora Trump decidesse di reimporre le sanzioni previste dall’NDAA, i paesi terzi avrebbero dunque sei mesi di tempo per introdurre quelle misure necessarie (la diminuzione dell’import di petrolio iraniano) per non incorrere nelle sanzioni. Inoltre, l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) statunitense – attualmente senza direttore e sovraccarico di lavoro (per le sanzioni sulla Russia) – dovrà procedere con il reinserimento nella lista dei soggetti sanzionati di tutte quelle entità e individui che erano stati rimossi con l’implementazione del JCPOA. Non meno rilevante, l’Amministrazione USA dovrà inoltre trovare una nuova giustificazione legale per motivare la reimposizione delle sanzioni nucleari su questi soggetti, e ciò non sarà semplice, considerato che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e lo stesso Dipartimento di Stato USA hanno verificato e confermato che non vi è stata nessuna violazione dell’accordo da parte iraniana.
Altre esenzioni, ben più articolate di quelle in scadenza il 12 maggio, scadono a luglio (diverse disposizioni dell’Iran Sanctions Act (ISA), dell’Iran Threat Reduction and Syria Human Rights Act (TRA) e dell’Iran Freedom and Counter-Proliferation Act (IFCA)).
Va inoltre ricordato che ciò che ha reso efficaci le sanzioni del 2012 (in quanto hanno contribuito a portare Teheran al tavolo negoziale che culminò con la firma del JCPOA) è stata la natura multilaterale del regime sanzionatorio messo in atto. Le Nazioni Unite introdussero diversi pacchetti sanzionatori e Unione Europea e paesi asiatici ridussero drasticamente l’import di petrolio iraniano. Oggi quel consenso si è perso e gli USA si trovano isolati, rendendo di dubbia efficacia l’introduzione di nuove sanzioni.