La campagna in Tigray doveva durare solo qualche settimana. Invece rischia di diventare una delle peggiori carestie in Africa.
La guerra in Etiopia rappresenta il problema più scottante che toccherà i popoli del Corno d'Africa nel 2022 e avrà pesanti ripercussioni dal Sudan alla Somalia, dall'Eritrea al Kenya e oltre. Rappresenta inoltre uno dei problemi africani di maggiore criticità che la comunità internazionale si trova ad affrontare oggi.
Sin dai primi di novembre del 2020, quando è iniziata la guerra nel Tigray, una regione ubicata nel nord dell'Etiopia, vi erano avvisaglie che questo conflitto avrebbe potuto portare al collasso del paese, con conseguenze catastrofiche per tutta la regione. Il giorno successivo allo scoppio della guerra, Johnnie Carson e Chester Crocker, entrambi ex Assistenti Segretari di Stato per l'Africa, hanno prontamente aderito a una dichiarazione firmata da alcuni degli africanisti più preparati d'America, nella quale si ammoniva che quel conflitto potrebbe portare alla "frammentazione dell'Etiopia", il che implicherebbe "il più grande collasso di uno stato in epoca moderna."
"L'Etiopia ha una popolazione cinque volte più numerosa della Siria pre-bellica e la sua parcellizzazione potrebbe condurre a conflitti interetnici e religiosi di massa, a una pericolosa fragilità a vantaggio degli estremismi, all'accelerazione dei traffici illeciti, incluso il traffico di armi, e a una crisi umanitaria e di sicurezza, al crocevia fra Africa e Medio Oriente, di tale portata da oscurare gli altri conflitti nella regione, compreso quello nello Yemen."
Da allora, il conflitto si è allargato varcando i confini del Tigray e arrivando fino alle regioni di Afar e Amhara in Etiopia, con scontri anche in Sudan e profughi in fuga nel Kenya. E' importante notare che il conflitto del Tigray non è isolato. L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha segnalato che, già nel settembre 2020, ancora prima che scoppiasse la guerra nel Tigray, i conflitti interetnici avevano già generato 1,2 milioni di sfollati interni nel paese. Quella che era iniziata come l'invasione della regione settentrionale dell’Etiopia si è ampiamente estesa anche ad altre aree del paese. Le mappe del conflitto mostrano le zone dell'Etiopia controllate dalle forze tigrine o dall'Esercito di Liberazione Oromo, loro alleato.
Come è iniziata la guerra nel Tigray?
Questo non è affatto un conflitto fra il governo etiope e quello del Tigray. Sin dall'inizio si è trattato di un conflitto internazionale: il Tigray è stato attaccato dalle forze federali etiopi e dalle milizie della regione di Amhara, appoggiate dalle truppe degli invasori provenienti dal vicino stato a nord, ovverol'Eritrea, come pure dalle forze della Somalia. Le tensioni fra il governo federale e il Tigray non erano una novità. I tigrini avevano governato l'Etiopia per 27 anni, fino a quando furono cacciati dall'attuale Primo Ministro, Abiy Ahmed nel 2018. Una certa ostilità fra i due gruppi era pertanto prevedibile. I tigrini, ancora risentiti dalla perdita di potere, hanno dunque tentato di sfidare il nuovo Primo Ministro etiope. La posizione degli eritrei e dei somali necessita invece di ulteriori spiegazioni.
Le tensioni fra il Tigray e l'Eritrea risalgono alle divergenze fra i movimenti di liberazione degli anni ‘70. In seguito, il Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino (TPLF) e il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (EPLF) stringono un'alleanza difficile per combattere insieme il governo etiope. Nel 1991, questo porta alla presa, in contemporanea, delle due rispettive capitali: Addis Abeba e Asmara. L'EPLF aveva fornito sostegno al TPLF durante l'attacco ad Addis Abeba; tuttavia, questa alleanza celava pesanti divergenze di natura ideologica e tattica.
Nel 1998, questo rapporto s'incrina definitivamente e l'Eritrea e l'Etiopia combattono una dura guerra di confine che finisce nel 2000, lasciando sul campo quasi 100.000 vittime. Viene firmato un accordo di pace ad Algeri, ma, con grande frustrazione dell'Eritrea, l'Etiopia si rifiuta di accettare il confine tracciato dall'apposita Commissione nominata dal trattato. In reazione a ciò, il presidente dell'Eritrea Isaias Afwerki inizia a collaborarecon gli islamisti somali di Al-Shabaab e con iguerriglierietiopi nel tentativo, fallito, di estromettere il governo tigrino. Tuttavia, nel 2018 una serie di fattori interni portano il TPLF a perdere il controllo su Addis Abeba e ad essere poi sostituito da Abiy Ahmed.
L'intervento eritreo
Il Primo Ministro Abiy sviluppa in breve la stessa convinzione del presidente eritreo Isaias Afwerki e cioè che il nemico comune fosse il popolo tigrino. I due uomini firmano così un trattato di pace, seguito da un’alleanza tripartita, che includeva anche la Somalia. I leader eritrei e somali si sono incontrati per nove volte, prima di giungere alla definizione di una strategia per togliere di mezzo i tigrini.
Il Tigray si trovava dunque in rotta di collisione con l'Etiopia e l'Eritrea ben prima del novembre 2020. Cosa sia accaduto esattamente il 4 novembre non è chiaro, ma resta il fatto che scoppiano degli scontri nelle caserme del Comando Militare del Nord, a Mekelle, la capitale del Tigray, conquistata dai tigrini. Il Tigray diviene immediatamente teatro di scontri da parte delle forze etiopi, appoggiate da milizie locali provenienti da sud e da est, mentre gli eritrei attaccano da nord e da ovest. Non si trattava per nulla di "un'operazione di polizia" come è stata definita dal Primo Ministro Abiy: si è trattato piuttosto di un tentativo di eliminare i tigrini in quanto forza politica. Alla fine di novembre 2020, il primo ministro etiope dichiarache le sue truppe avevano assunto il pieno controllo della città e che il conflitto si era "concluso con successo".
Conflitto e diplomazia
In realtà, i tigrini avevano spostato le loro truppe fuori dalle città e si erano spinti verso la campagna e le montagne per lanciare operazioni di guerriglia. Le Nazioni Unite - in un rapporto segreto - esprimevano il timore che la guerra potesse diventare un conflitto allargato, con azioni di guerriglia intermittente. E ciò è esattamente quello che si è verificato. Il 4 aprile 2021, Abiy ammette che la lotta era ben lungi dall'essere finita. Poi, nel giugno 2021, i tigrini fanno irruzione dalle campagne e il 28 giugnoriconquistanola capitale Mekelle. La presa di quest’ultima e l'espulsione delle forze degli invasori da buona parte del territorio del Tigray non pongono tuttavia fine alla guerra, perché il popolo tigrino viene tenuto prigioniero. Le truppe etiopi ed eritree impedivano infatti che gli aiuti arrivassero alla regione, tagliavano le comunicazioni e negavano l'accesso alla zona di guerra ai giornalisti indipendenti. Come scrivevail settimanaleThe Economist nel settembre 2021: "L'Etiopia sta deliberatamente facendo morire di fame i propri cittadini." A novembre, i tigrini erano arrivati fino a oltre il Tigray, e sembrava minacciassero Addis Abeba, ma quando il Primo Ministro lancia un'offensiva da est per tagliare le loro linee di approvvigionamento si ritirano verso nord, abbandonando le città e i villaggi che avevano catturato nella loro avanzata.
Gli Stati Uniti e l'Unione Europea collaborano con l'Unione Africana nel tentativo di porre fine agli scontri, ma il compito è tutt'altro che semplice. Il Primo Ministro Abiy rifiuta un'iniziativa di pace mediata dall'Unione Africana, che, peraltro, aveva ricevuto l'approvazione del presidente nel novembre del 2020. Gli Stati Uniti mandano a più riprese inviati speciali per incontrare tutte le parti in causa e, quando ciò non produce alcun risultato, impongono sanzioni all'Eritrea, per il suo ruolo nella guerra, e le estendono poi anche all'Etiopia e al Tigray. L'ex-presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo agisce da mediatore, recandosi in visita sia a Mekelle che ad Addis Abeba. Ottiene però solo successi parziali. Il pesante incarico di risolvere la questione grava ora sulle spalle del Presidente del Kenya Kenyatta. Rimane da vedere se egli riuscirà dove altri hanno fallito.
Esiste la possibilità che nel 2022 vi sia una svolta a livello diplomatico e che si possa trovare un accordo tra i tigrini e i loro nemici etiopi ed eritrei, tuttavia questo scenario è poco plausibile. All'origine delle posizioni intransigenti, vi sono due visioni radicalmente incompatibili dell'Etiopia. Una, di cui è fautore il Primo Ministro, prevede uno stato centralizzato, come quello creato nel XIX secolo dall'imperatore Menelik II. L'altra propende per uno stato decentralizzato, in cui i gruppi etnici hanno diritto all'autodeterminazione, fino alla secessione. Quest'ultima visione è appoggiata dai tigrini, ma anche da altri gruppi etnici, inclusi gli Oromo, la maggiore etnia dell'Etiopia. A meno che non si riesca a conciliare queste due anime, oppure una fazione prevalga nettamente sull'altra e imponga la sua volontà, è probabile che altro sangue venga versato nel 2022.L'ultima guerra combattuta dai tigrini è durata sedici anni (1974-1991). Questa amara vicenda storica potrebbe fornire la rappresentazione più esatta di quello che potrebbe accadere in questa regione.