Da qualche settimana la Croazia si trova al centro dell’attenzione mediatica per via delle accuse di respingimenti violenti di migranti verso la Bosnia-Erzegovina. Le denunce sono state confermate anche dalla presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovic e diverse inchieste stanno portando alla luce testimonianze di migranti – e di ufficiali di polizia – che hanno denunciato maltrattamenti e violazioni dei loro diritti.
La zona interessata dai respingimenti sarebbe soprattutto il confine che divide le città di Bihac e Velika Kladusa, in Bosnia-Erzegovina, e la regione croata che comprende anche il parco nazionale e patrimonio UNESCO dei laghi di Plitvice. La pratica del “push-back” – una violazione delle leggi dell’Unione Europea, così come della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati – avrebbe riguardato centinaia di migranti provenienti soprattutto dal Medio Oriente, interessato da diversi conflitti.
L’organizzazione Border Violence Monitoring (BMV) – che documenta i respingimenti illegali e le violenze della polizia di paesi UE a danno dei migranti – aveva pubblicato nello scorso dicembre un video che riportava il push-back di almeno 350 persone nel periodo tra il 29 settembre e il 10 ottobre 2018. La denuncia di BMV aveva acceso i riflettori internazionali su questa pratica accompagnata da violenze, ma da allora i respingimenti non si sono fermati. L’organizzazione ha compilato più di 500 report dettagliati con i dati – tra cui luogo, data, numero e provenienza delle persone respinte – relativi ad ogni singolo respingimento registrato lungo la cosiddetta rotta balcanica: quasi 200 di questi riguardano il suddetto confine settentrionale.
Quella che attraversa la Bosnia è una ramificazione della rotta balcanica che è stata sempre più utilizzata a partire dal 2018, in alternativa al passaggio di confine – fortificato dalla rete metallica – tra la Serbia e l’Ungheria, a sua volta spesso denunciata di aver respinto illegalmente i migranti.
Per mesi le autorità croate avevano negato che la polizia avesse respinto e maltrattato i migranti. Hugh Williamson, direttore dell’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch – direzione Europa e Asia Centrale, aveva inviato una lettera alla presidente Grabar-Kitarovic chiedendo di fermare le violenze al confine croato-bosniaco. “Riportare i migranti con procedimenti d’urgenza da paesi membri dell’Unione Europea verso uno stato non membro senza aver precedentemente esaminato la richiesta di assistenza e con l’utilizzo della forza viola diverse leggi UE, così come la Convenzione [di Ginevra] sui rifugiati”, si legge nella lettera di Williamson.
Dopo mesi di negazioni da parte del ministro degli Interni croato Davor Bozinovic, la stessa presidente lo scorso 9 luglio in un’intervista alla Tv nazionale svizzera SRF ha ammesso il coinvolgimento della polizia croata nei respingimenti violenti verso la Bosnia. “Ho parlato con il ministro degli Interni, con il capo della polizia e con gli altri ufficiali e questi mi hanno assicurato che non c’è stato un uso eccessivo della forza […] Certamente, ‘un po’ di forza’ è necessaria quando si effettuano i push-back”, aveva dichiarato Grabar-Kitarovic.
Un’ulteriore ammissione dei violenti respingimenti – insieme alla richiesta che questi vengano fermati – è pervenuta in forma scritta al Difensore Civico croato da alcuni ufficiali di polizia “insoddisfatti” e delusi, che descrivono gli ordini ricevuti dai superiori: riportare con la forza in Bosnia i migranti “a gruppi di 20-50 persone” senza garantire loro il processo per ottenere l’asilo e dopo aver “distrutto o gettato nel fiume il telefono”.
Le organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani hanno richiesto che vengano fermati i respingimenti e le violenze, così come che vengano avviate indagini per accertare la conformità al diritto internazionale del comportamento delle autorità croate. “Le negazioni di Zagabria e delle istituzioni UE degli abusi della polizia di confine croata non sono più accettabili […] Centinaia, se non migliaia, di migranti e richiedenti asilo sono stati maltrattati dalla polizia di confine croata e meritano giustizia”, ha dichiarato la ricercatrice di Human Rights Watch per i Balcani e l’est Europa Lydia Gall al Guardian. Il quotidiano britannico, nel corso dello scorso anno, aveva raccolto decine di testimonianze di migranti che denunciavano di essere stati picchiati e derubati dalla polizia, che spesso distrugge anche i telefoni cellulari delle vittime affinché non possano esserci prove. Si tratta di una pratica molto diffusa da parte delle autorità lungo tutta la rotta balcanica, in particolare in Bulgaria, come denuncia – tra le altre cose – il documentario del 2018 “Violent Borders”.
Le violazioni dei diritti umani lungo la rotta balcanica sono al centro dell’attenzione di diverse Ong che denunciano non solo le autorità nazionali, ma anche l’Unione Europea stessa.
In un’inchiesta pubblicata dall’Espresso lo scorso 12 luglio, la giornalista Barbara Matejcic riporta che il sindaco di Bihac, Suhret Fazlic, abbia personalmente visto gruppi di migranti riaccompagnati con la forza dentro i confini bosniaci, descrivendo quella che appare a tutti gli effetti una deportazione illegale i cui dettagli sono stati forniti anonimamente da alcuni ufficiali di polizia della Croazia. Matejcic sottolinea come Zagabria sia destinataria di circa 100 milioni di euro da parte dell’UE, ovvero di fondi destinati all’ammodernamento delle frontiere in vista dell’ingresso della Croazia nell’area di libera circolazione “Schengen”, fondi che però verrebbero impiegati anche per porre in essere violazioni dei diritti umani garantiti dalla stessa Unione Europea.
Il vicedirettore dell’ufficio europeo di Amnesty International Massimo Moratti raggiunto telefonicamente dichiara che l’organizzazione, tra giugno e dicembre 2018, ha raccolto le testimonianze di oltre 90 migranti tra Bihac e Velika Kladusa e che tutti gli intervistati affermano di aver subito almeno una volta un respingimento dalla Croazia. “I fondi che la Croazia riceve dall'UE per l'accesso all'area Shengen, e quindi per favorire la libera circolazione, sono destinati anche a pagare gli stipendi della polizia. Ed è problematico che la polizia, pagata con quei fondi, commetta violazioni dei diritti umani”, dichiara Moratti. Le prassi della polizia croata si traducono quindi in diverse violazioni. “In primis, del diritto d’asilo, in quanto alle persone non viene concessa la possibilità di richiedere asilo sul territorio croato; inoltre, del principio di non-refoulement, dal momento che le persone vengono respinte oltre confine senza tenere conto che al di là di quel confine potrebbero essere esposti a rischi o pericoli, mentre gli standard richiedono che le espulsioni vengano esaminate singolarmente e che venga garantito il diritto di appellarsi contro eventuale espulsione; quindi del divieto delle espulsioni collettive, proibite dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Infine – conclude Moratti – le prassi della polizia croata sono accompagnate da violenza fisica, ovvero torture e trattamenti disumani o degradanti […] nonché dalla confisca di effetti personali”.
Il dramma della rotta balcanica di oggi è questo: paesi UE che scaricano violentemente migranti e richiedenti asilo dentro i confini di paesi terzi, quali la Bosnia-Erzegovina, scarsamente equipaggiati a far fronte all’emergenza. Infine, il limbo a cui sono costretti i migranti non fa che incentivare il loro desiderio di proseguire le rotte in modo irregolare, ricorrendo spesso a trafficanti e lungo tratte sempre più pericolose.