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Dopo il referendum costituzionale

Cuba: l'ora della verità si chiama Venezuela

Loris Zanatta
26 febbraio 2019

Il “popolo” cubano ha approvato la nuova Costituzione: nel plebiscito di domenica scorsa, ha votato oltre l’80% degli aventi diritto ed oltre l’80% ha detto sì. Buffo: ovunque nel mondo sarebbe un trionfo; ma non a Cuba, il regno che Fidel Castro volle unanime: “Siamo un solo popolo, diceva, pensiamo tutti uguale, ci unisce la stessa fede, siamo una sola persona, tutti insieme formiamo un fascio”.  A Cuba, il No non è previsto, ammesso, contemplato; chi nega tradisce, chi dissente bestemmia in chiesa! In passato era quasi assente. Il controllo sociale sui votanti è così capillare da scongiurarlo. Dal registro risulta che non hai votato? Il Comitato di Difesa della Rivoluzione (CDR), ligio ed occhiuto, ti viene a cercare a casa. I più temono le conseguenze: di perdere il lavoro, di non avere accesso all’università, di subire angherie ed ostracismo. Esagerano? Per niente! Sanno bene come funziona: non siamo mica una democrazia “borghese”, diceva Fidel; qui non vedrete mai, assicurava, “la famosa divisione dei poteri del famoso Montesquieu”. Non a caso il plebiscito: tutto, a Cuba, è SI o NO, noi e loro, Bene e Male, amico e nemico; il mondo non è a colori, è bianco e nero. Lo Stato diceva di votare sì, il dibattito non era ammesso, la competizione meno, uno solo era il messaggio di tivù e giornali. Che il 20% non abbia votato; che il 20% di chi ha votato abbia detto no o annullato la scheda, ha del miracoloso. Come lo è se non finirà in carcere, benché vessazioni e violenze siano state, come sempre, diffuse.

Siamo dunque a una svolta? Difficile: la verità è che Cuba è il posto più ripetitivo e prevedibile al mondo. Tutto quel che accade è già accaduto mille volte. Questo è il grande trionfo di Fidel, la colpa che non gli potrà mai essere perdonata: avere creato una riduzione gesuitica impermeabile al divenire storico; una comunità di fede pronta a schiacciare l’eresia, l’inventiva, l’originalità e ad imporre come l’inquisizione la limpieza de sangre; un ordine religioso che si riproduce, diceva Fidel, ripetendo sempre le stesse idee, gli stessi gesti, le stesse parole, fino a farne dogmi. Così per l’eternità, finché un giorno la storia non farà irruzione e i cubani cercheranno di recuperare il tempo perduto: preparatevi a ballare, allora.

Il voto sulla Costituzione, perciò, per quante crepe mostri nella corazza di un regime fuori dal tempo e dal mondo, va preso per quello che è: un rituale di poca o nessuna importanza per la maggior parte dei cubani; una liturgia grottesca, per certi aspetti. Cosa hanno votato? Da un lato, che il socialismo sarà eterno e irreversibile, come fosse possibile deciderlo con un voto; che il partito comunista è la chiesa cui tutti i cubani devono aderire, il custode della fede che tutti devono professare. Ma dall’altro, che poiché quel socialismo non ha mai prodotto prosperità né equità, urgono eccezioni alla morale comunista, chiamate mercato, investimenti esteri, attività private, perfino un po’ di proprietà individuale; cose che fatte altrove, i cerberi dell’ortodossia castrista chiamerebbero “neoliberismo”, parola passe partout, valida ormai per tutto ciò che odora a zolfo capitalista.

Cambierà qualcosa per i cubani? Poco. Difatti non ci fanno granché caso, hanno altro a cui pensare: la vita quotidiana, dura, colma di penurie, avara di gratificazioni. Se la passano a resolver, tirare a campare, allungare bustarelle per riparare casa, comprare servizi medici gratuiti, contrattare maestri privati proibiti; perché nel regno del socialismo dove il denaro è lo sterco del diavolo e il mercato peccato, tutto si compra e si vende, tutto ha un prezzo, rigorosamente in dollari. E poiché non regnano democrazia né competenza, il gradino sulla scala sociale è stabilito dalla “famiglia” cui si ha accesso: amici, soci, parenti, amici degli amici, dei soci dei parenti. E mentre tutti pregano in chiesa e nelle urne lo stesso Dio, già nel sagrato impera la doppia morale dell’ognun per sé e che Dio ci salvi.

Più che nelle scialbe urne del plebiscito costituzionale, il futuro cubano è in gioco a Caracas. Non solo, e non tanto, perché Cuba ha spremuto dalla mammella venezuelana aiuti comparabili a quelli che un tempo riceveva da Mosca; aiuti necessari a far galleggiare un regime incapace di generare ricchezza. Più importante è che il chavismo fu, dal primo istante, il figlio prediletto di Fidel, il megafono della sua fede, il trampolino da cui convertire l’umanità. Il Venezuela è colmo di soldati, tecnici, maestri, dottori cubani; “internazionalisti” sotto la cui sembianza Cuba semina i paesi amici di apostoli armati di croce e spada.

Il disastro venezuelano ha già affossato il sogno cubano di un vasto fronte panlatino, socialista e cristiano, antiliberale e antiamericano, sotto le insegne del ALBA. Oggi ne rimangono le macerie. Ma dovesse cadere il regime in Venezuela, e dovesse farlo per effetto di una pacifica rivoluzione popolare scatenata dalla sua inettitudine, violenza e corruzione, il botto solleverebbe un’eco talmente forte che a Cuba farebbero fatica a far finta di non sentirlo. Cosa accadrebbe allora? Chissà. Ma il prossimo plebiscito costituzionale potrebbe diventare una cosa seria. 

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell'ISPI

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Cuba costituzione castrismo America Latina
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AUTORI

Loris Zanatta
ISPI Senior Advisor

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