L’America Latina è lontana dalle zone del conflitto russo-ucraino e anche poco legata da un punto di vista commerciale con questi due Paesi. Tuttavia, gli effetti di questo conflitto arrivano anche in questa regione, accelerando alcune tendenze che erano comunque in atto già prima dell’invasione russa. In primo luogo, da un punto di vista macroeconomico, l’inflazione crescerà ulteriormente a causa dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari ed energetici e questo porterà le banche centrali ad adottare politiche monetarie più restrittive, che rallenteranno la crescita economica. Le più grandi economie della regione avevano già iniziato ad aumentare i tassi ufficiali nel 2021 per contenere l’aumento dei prezzi e sicuramente dovranno continuare a farlo visto che l’inflazione è arrivata a circa il 10% in Brasile, il 7% in Messico, l’8% in Cile e il 6% in Colombia, livelli superiori agli obiettivi delle banche centrali.
Duplice impatto dalle materie prime
Ma vi sono altri due effetti negativi che avranno invece un impatto positivo per molti Paesi della regione. Infatti, proprio l’aumento dei prezzi di molte materie prime agricole ed energetiche sarà una fonte di vantaggi per i Paesi esportatori di questi beni, in particolare nel Sud America. A livello aggregato, alcuni Stati sudamericani, per esempio l’Argentina o la Colombia, avranno benefici dal miglioramento delle ragioni di scambio in termini di bilancia commerciale, maggiori entrate fiscali e di valuta estera. Mentre i Paesi importatori di materie prime – in primis in America centrale e Caraibi - registreranno un peggioramento nei conti esteri. Purtroppo, comunque, in tutti i Paesi la popolazione più povera soffrirà molto per l’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Per molte esportazioni agricole la Russia e l’Ucraina hanno quote del mercato mondiale molto rilevanti: circa il 30% per il grano, il 25% per l’orzo, il 12% per il granoturco, il 60% per l’olio di semi di girasole (dati FAO riferiti al 2021) e quest’anno la loro capacità di produzione ed esportazione di tali beni sarà molto inferiore a causa della guerra.
Alcuni Paesi sudamericani sono importanti produttori di queste commodities agricole – Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – e beneficeranno di maggiori entrate da esportazioni per effetto dei maggiori prezzi. Non è detto, però, che questi Stati riescano ad aumentare la produzione perché, sempre a causa del conflitto, la Russia ha ridotto le esportazioni di fertilizzanti. Il Brasile, per esempio, è molto dipendente dalle importazioni di fertilizzanti dalla Russia, circa il 20% delle importazioni totali, mentre la dipendenza dell’Argentina dai fertilizzanti di origine russa è circa il 10% delle importazioni totali di fertilizzanti.
Rapporti con USA e UE: accelerazione in vista?
Infine, il conflitto russo-ucraino potrebbe anche essere un acceleratore di un altro processo in corso: il ritorno di interesse degli Stati Uniti d’America verso la regione latinoamericana e caraibica. Rispetto all’Amministrazione Trump, l’attuale governo Biden mostra la volontà di rafforzare i legami politici ed economici con la regione. La guerra potrebbe favorire il cambiamento della posizione americana nei confronti del Venezuela, che sicuramente è il Paese, insieme a Cuba e Nicaragua, che ha i legami più stretti con la Russia.
Gli USA avevano già iniziato ad appoggiare gli sforzi negoziali tra Maduro e l’opposizione per arrivare a future elezioni libere e rappresentative, smettendo di considerare solo l’opzione del cambiamento di regime come unica soluzione alla crisi venezuelana. Nel quadro dei forti aumenti delle quotazioni del petrolio e di un possibile embargo sull’esportazione di petrolio russo, agli inizi di marzo una delegazione ufficiale americana di alto livello si è recata a Caracas per discutere con il Presidente Maduro di sicurezza energetica e della detenzione di alcuni cittadini americani. Non succedeva da molti anni una missione ufficiale americana di tale livello in Venezuela e gli effetti si sono già iniziati a vedere: dopo qualche giorno due americani sono stati liberati e società petrolifere americane stanno iniziando a chiedere il permesso di tornare a operare in Venezuela.
È ancora presto per dire come evolverà il rapporto tra il governo di Maduro e il governo americano, ma sembra che la congiuntura internazionale possa spingere verso la progressiva eliminazione delle sanzioni sul petrolio venezuelano, imposte da Trump nel 2019. Questo percorso, però, potrebbe trovare un freno interno se il presidente Biden temesse di doverne sopportare il costo alle elezioni di metà mandato del prossimo novembre. Ci vorrà comunque molto tempo prima che la produzione di petrolio venezuelano, attualmente intorno ai 700-750.000 barili al giorno, possa tornare ai livelli di dieci anni fa (circa 3 milioni di barili al giorno). Nel breve periodo, quindi, la produzione di petrolio del Venezuela non potrebbe compensare un blocco delle esportazioni russe (7,8 milioni di barili al giorno a dicembre 2022).
Anche le mosse del Presidente Putin sono difficili da prevedere, ma in questo momento non sembra avere la forza per espandere la propria presenza economica o militare in Venezuela o negli altri Paesi alleati, cioè Cuba e Nicaragua. Comunque, Cuba e Nicaragua hanno preso le distanze dalle ultime decisioni di Putin: i due Paesi si sono astenuti in occasione della risoluzione delle Nazioni Unite di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina del 2 marzo, mentre il Venezuela non ha potuto votare perché in ritardo con il pagamento della quota all’ONU.
La guerra russo-ucraina potrebbe essere uno stimolo anche per l’Unione Europea per rifocalizzare la propria attenzione verso l’America Latina e i Caraibi, regione che per la maggior parte condivide i principi democratici, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e il multilateralismo. In particolare, potrebbe essere il momento opportuno per sbloccare le incertezze europee sull’accordo commerciale con il Mercosur.