In questi mesi è in corso un profondo ripensamento della politica estera italiana verso alcune aree e verso alcuni paesi. L’Italia, nella conduzione della propria politica estera, è spesso riuscita, nel corso di decenni, a conciliare due esigenze entrambe fondamentali: la necessità di buone relazioni con paesi per essa strategicamente rilevanti, come Libia, Iran, Russia, ma politicamente difficili per la sfera d’afferenza atlantica, e la piena appartenenza proprio al campo atlantico ed europeo dell’Italia. Non senza complessità la politica italiana è stata spesso improntata a giocare il ruolo di mediatore, di “ponte” tra le due parti, con l’obiettivo di poter rafforzare il proprio ruolo con l’alleato maggiore, gli Stati Uniti grazie all’offerta di un rapporto privilegiato con un partner esterno all’Alleanza.
L’Italia è riuscita così a consolidare rapporti con regimi autocratici o non democratici esterni all’alleanza, ma da cui dipendeva e tutt’ora dipende dal punto di vista energetico.
Se il connaturale atlantismo dell’attuale governo Monti, viste le personalità che ne fanno parte, lo pone al riparo da percezioni di allontanamento dal campo atlantico o europeo e sembra fugare le paure di isolamento dell’Italia, il contesto internazionale e la peculiare debolezza interna del paese, in un particolare periodo di crisi economica, sembra mettere in dubbio la possibilità di continuare a giocare un ruolo autonomo in aree altamente strategiche per gli interessi economici ed energetici del paese. Talvolta queste relazioni sono valse una tirata d’orecchi e la manifestazione aperta della preoccupazione americana come parte della documentazione statunitense rivelata da WikiLeaks ci ha mostrato chiaramente.
Se, in qualche misura, il “gioco” dell’Italia è stato tollerato in passato potrebbe esserlo sempre meno in futuro. Oggi la “ritirata strategica” statunitense dai pericoli di over-streching in alcune aree mondiali, tra le quali, l’area mediorientale, con un più attento esercizio degli impegni rispetto alle risorse, sembra aprire la strada a nuovi equilibri. All’Italia in particolare, per la sua configurazione geo-strategica, dovrebbero “naturalmente” spettare compiti crescenti, se non fosse che l’Italia, attraversa un momento particolarmente debole sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista politico. Questa situazione contingente si inserisce nella progressiva perdita di rilevanza strategica che l’Italia ha assunto agli occhi del grande alleato statunitense nell’ultimo ventennio. Se, infatti, l’Italia durante l’epoca bipolare si trovava ai confini della sfera d’influenza statunitense – avanguardia e insieme barriera degli interessi e dei valori occidentali in Europa e nel Mediterraneo nel costante confronto con la minaccia sovietica - nel ventennio seguente ha perso questa centralità geopolitica, “superata” dall’espansione della democrazia in Europa e dalla asimmetrica guerra al terrorismo.
A Mario Monti spetta un compito particolarmente difficile in politica estera. Non solamente perché in ottica atlantica il precedente governo Berlusconi, che pure ha ottenuto risultati molto importanti nei rapporti bilaterali con i paesi esterni all’alleanza, ha costruito “ponti” troppo fragili – per restare nella metafora iniziale - e anziché valorizzare i legami particolari con questi paesi li ha esposti alle “gelosie” dei partner europei (si veda il caso libico), ma anche per un contesto internazionale nel quale molti degli storici legami vengono penalizzati.
La Primavera araba in particolare ha svuotato i rapporti politici privilegiati con diversi paesi e sembra ora sottoporre i rapporti economici, e quelli energetici in particolare, a pesanti stress. Dopo aver rinunciato per diversi mesi al petrolio e al gas libico, e poi anche a quello siriano, Roma si appresta a dover fare a meno del greggio iraniano. A giugno 2011, l’Iran costituiva di fatto la seconda fonte di approvvigionamento di greggio per il nostro paese. Le sanzioni europee sul regime di Teheran colpiranno in particolare Germania e Italia, i due principali partner commerciali europei dell’Iran.
Prima sulla crisi libica, poi su quella siriana, e infine, su quella iraniana, non senza apprensioni, l’Italia si è “riallineata” completamente al campo occidentale. Il risultato complessivo di questa congiuntura fa emergere chiaramente che senza una profonda revisione delle politiche, delle relazioni commerciali e di quelle energetiche l’Italia faticherà sempre di più a conservare i propri interessi “esterni”. Per il nostro paese è indispensabile che sorga qualche prospettiva concreta di inquadrare le relazioni politiche, ma anche quelle energetiche, con questi paesi in un contesto europeo più multilaterale, capace di creare una sintesi minima tra i diversi interessi nazionali. Il rischio per alcuni paesi come l’Italia sarà quello di doversi continuare a confrontarsi con i limiti alla propria politica estera derivanti dalla dipendenza energetica mentre altri attori ne saranno sempre maggiormente liberi. Il cambio di retorica degli Stati Uniti verso Mediterraneo e Medio Oriente – da quella pro-stabilità dei regimi a quella pro-democrazia – espone quindi l’Italia più di altri paesi. A Monti, dopo aver completato l’opera di riaccreditamento dell’Italia in Europa e negli Stati Uniti, spetterà la ricerca di una nuova via per la difesa dei propri interessi nell’area.