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Commentary
Dalla primavera araba all’inverno senegalese?
23 febbraio 2012

La campagna per le elezioni presidenziali del 26 febbraio in Senegal è considerata atipica da tutti gli osservatori e ha assunto negli ultimi giorni contorni inquietanti. La convalida il 27 gennaio da parte della Corte costituzionale della candidatura del presidente uscente Adbulaye Wade per un terzo mandato, è stata definita dagli oppositori un colpo di stato istituzionale e ha provocato veementi proteste in tutto il paese, con numerosi arresti e con morti e feriti fra i manifestanti e le forze dell’ordine. Il conflitto fra governo e opposizione è degenerato nelle ultime settimane al punto che la Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) ha deciso di inviare come mediatore l’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, dal 19 febbraio a capo della missione di osservazione elettorale dell’Unione africana. Altro elemento di novità, la missione di osservazione elettorale dell’Unione europea, la prima realizzata in Senegal.

Eletto il 19 marzo del 2000 a capo di una coalizione denominata “Sopi” (“cambiamento”), Wade fu protagonista di un’alternanza al potere considerata prova della stabilità delle istituzioni politiche senegalesi ed esempio per tutta l’Africa nera. Oltre alla corruzione dilagante, l’ottantaseienne Wade è accusato dall’opposizione di voler inaugurare una devoluzione dinastica del potere a vantaggio del figlio Karim, candidato sconfitto alla poltrona di sindaco di Dakar nel 2009 e attuale ministro con deleghe per settori dai quali dipende circa la metà della spesa pubblica (cooperazione internazionale, sviluppo regionale, trasporto aereo, infrastrutture ed energia). Nel 2011 il tentativo di far passare un progetto di revisione costituzionale che prevedeva l’elezione presidenziale al primo turno con il 25% dei consensi, con, inoltre, l’istituzione della figura, inedita, del vicepresidente, aveva provocato l’indignazione dell’opposizione politica e di varie associazioni della società civile. Ritirata la proposta il 23 giugno 2011 per porre fine alle proteste della piazza, il governo approvava nel mese di luglio misure atte a limitare severamente la libertà di riunione.

La restrizione riguarda in particolare il quartiere centrale del Plateau a Dakar, centro economico e politico della capitale del paese dove l’autorizzazione prefettizia a manifestare è stata nelle ultime settimane sempre negata senza precise motivazioni. Aspramente criticata dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, l’interdizione totale della piazza dell’Indipendenza è stata apertamente sfidata dai leader del movimento degli indignati della società civile “Y en a marre” (1) e dell’opposizione politica, riuniti sotto le insegne del “Movimento per le forze vive del 23 giugno” (M23). Dal 15 febbraio il centro delle proteste si è spostato da piazza dell’Obelisco, dove il M23 aveva atteso il pronunciamento della Corte costituzionale, alle zone adiacenti alla contesa piazza centrale, anche in reazione al tentativo di replicare la separazione fisica fra la città bianca e il villaggio indigeno di Medina, voluta dal governo coloniale nel 1914 alla vigilia di un altro storico appuntamento elettorale.

L’escalation di violenza ha raggiunto venerdì 17 febbraio livelli inauditi in Senegal dopo il lancio di lacrimogeni all’interno di una Moschea Tijiani nel centro di Dakar. Per rappresaglia è stato appiccato il fuoco alla prefettura e al municipio della città di Tivaouane, sede della confraternita Tijiani, dove il ministro degli Interni Ousmane Ngom era accorso per ripristinare la calma finendo ostaggio dei manifestanti. Varie personalità religiose hanno invitato i leader delle principali confraternite sufi – oltre alla Tijianiya, la Muridiya di cui Wade è adepto e la confraternita Layenne – a condannare l’uso della violenza e a schierarsi in modo esplicito. Nessuna chiara indicazione di voto è comunque emersa dalle visite rese da tutti i candidati presidenziali ai leader delle confraternite musulmane.

Gli altri 13 candidati ammessi alla competizione elettorale, fra i quali spiccano i nomi di Macky Sall, Idrissa Seck, Moustapha Niasse e Ousmane Tanor Dieng, richiedono unanimi, come primo punto del loro manifesto politico, il ritiro di Wade. Considerando colpevole l’inazione della Commissione elettorale autonoma, l’opposizione denuncia le modalità in cui sta avvenendo la consegna delle tessere elettorali ai 600.000 nuovi iscritti nelle liste, operazioni sulla cui scarsa trasparenza si è espressa anche la missione elettorale Ue.

Unita nel condannare la personalizzazione del potere e il pesante apparato repressivo dispiegato dal governo, allo scrutinio l’opposizione si presenta divisa e non è da escludere una vittoria di Wade al primo turno. Se, ristabilita la calma, Wade sarà confermato alla guida del paese, a lui spetterà il compito di risollevare la situazione economica, trovare soluzioni alla disoccupazione giovanile e ristabilire buone relazioni diplomatiche, in primo luogo con la Francia di cui Wade ha finora preferito ignorare i moniti. Ancor più ardua appare la sfida di ripristinare la solidità delle istituzioni repubblicane e la tradizione di pace e tolleranza che hanno storicamente costituito la chiave del successo politico e sociale senegalese, traghettando la democrazia fuori dall’inverno in cui la corsa alle elezioni presidenziali sembra averla sospinta.

 
(1) “Y en a marre” significa “ne abbiamo abbastanza”, ”siamo stufi”. Il movimento è nato nel gennaio 2011 dopo l’ennesimo taglio prolungato dell’elettricità a Dakar, su iniziativa di un gruppo di cantanti e giornalisti. Oltre a denunciare la corruzione e l’ingiustizia sociale, il movimento promuove la cittadinanza attiva cercando di creare una massa critica all’interno della società senegalese.

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