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CoVid-19
DATAVIRUS: il "semaforo" può funzionare?
Matteo Villa
13 novembre 2020

 

La seconda ondata di infezioni da coronavirus ha raggiunto i Paesi europei in un momento delicato. Da un lato, avendo già speso tanto per sostenere l’economia, le leve fiscali si stanno esaurendo. Dall’altro, tra i cittadini si avverte sempre più l’aumento della “lockdown fatigue”, la difficoltà psicologica di sopportare altri periodi di confinamento forzoso. Per questo il Governo italiano ha tentato nelle ultime settimane la via di misure diversificate a seconda della gravità dell’epidemia, adottando un approccio “a semaforo” e istituendo zone gialle, arancioni e rosse. La decisione sarebbe presa sulla base di una valutazione complessiva di 21 indicatori (alcuni dei quali opzionali) forniti dalle Regioni. È una strategia che può funzionare? E come valutarla?

Per fare un primo passo, abbiamo deciso di monitorare l’evoluzione della seconda ondata della pandemia in Italia a livello regionale, confrontandola anche con ciò che era successo nel corso della prima ondata di marzo-aprile scorsi. Il grafico in alto rappresenta un tentativo in questo senso. Ci basiamo sull’indicatore più robusto delle infezioni sul territorio, quello dei decessi, perché il numero di casi rilevato a livello regionale può essere funzione anche della capacità di tracciamento e individuazione dei casi di positività, e come è noto questa varia sia nel tempo, sia da Regione a Regione. Per rendere i dati delle due ondate paragonabili abbiamo adottato un metodo di standardizzazione molto semplice: “pesare” il numero di decessi fatto registrare in ciascuna Regione per il numero dei suoi abitanti, e confrontarlo con il caso ipotetico di una distribuzione omogenea dei decessi sul territorio nazionale.

In parole povere: se la distribuzione dell’infezione e dei decessi fosse uniforme a livello regionale, ovvero se tutte le Regioni italiane fossero colpite allo stesso modo dal nuovo coronavirus, tutte le colonne dovrebbero fermarsi al livello “1” (indicato dalla linea orizzontale tratteggiata). Quando il contagio è meno diffuso in una Regione italiana rispetto a ciò che ci saremmo potuti attendere, il numero per questa Regione sarà inferiore a 1. Viceversa, quando l’infezione ha proceduto in maniera più forte rispetto all’atteso, il valore fatto registrare sarà superiore a 1.

La prima cosa che è possibile notare è che nel corso della seconda ondata (barre arancioni) le infezioni da coronavirus in Italia appaiono distribuite in maniera molto più omogenea sul territorio nazionale rispetto alla prima ondata (barre blu). Se escludiamo da un lato la Valle d’Aosta e la Liguria, che spiccano per essere particolarmente e ancora più profondamente colpite durante questi primi mesi di seconda ondata rispetto alla prima, e dall’altro le Marche, che invece sono state molto meno colpite oggi rispetto alla prima ondata, la barra di tutte le altre Regioni si situa più nelle vicinanze della linea tratteggiata che indica una distribuzione omogenea del contagio a livello nazionale. Per descrivere questa situazione si può usare anche un indice sintetico, per esempio l’indice di Herfindahl-Hirschman (HHI). Più l’indice, che varia tra 0 e 1, assume valori alti, più il contagio è concentrato in alcune Regioni e molto meno in altre. Più lo HHI si approssima allo 0, più il contagio è distribuito in maniera uniforme a livello regionale. Non sorprenderà dunque constatare come lo HHI abbia fatto segnare un valore di 0,27 nel corso della prima ondata, mentre faccia segnare un valore nettamente più basso, dello 0,11, nel corso della seconda.

Questo pone un primo grande ostacolo a qualsiasi tipo di approccio “semaforico” di contrasto all’epidemia: se il contagio è distribuito in maniera più uniforme a livello regionale, diventa molto più difficile (e perde progressivamente di senso) discriminare tra le Regioni in cui l’epidemia procede più lentamente, o sembrerebbe più sotto controllo, e quelle in cui la situazione richiede misure più severe.

Tornando al grafico iniziale, una seconda considerazione è altrettanto importante, anche se avulsa dalla questione del gradiente nelle misure tra zone gialla, arancione e rossa. Diversamente da quanto alcuni commentatori potessero ritenere, l’epidemia non ha raggiunto livelli di prevalenza sufficienti in nessuna Regione d’Italia perché la seconda ondata progredisse in maniera più lenta rispetto alla prima.

Anche per questo, tra le Regioni più colpite oggi, nel corso di questa seconda ondata (quelle cioè la cui barra si situa al di sopra della linea tratteggiata), ne troviamo molte che erano già state fortemente colpite nel corso della prima. Delle otto Regioni che superano la linea tratteggiata, ben sei (ovvero il 75% del totale: Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Piemonte, la città di Trento ed Emilia-Romagna) sono le stesse nelle quali il contagio si era diffuso in maniera più capillare nel corso della prima ondata, fino all’adozione delle misure di lockdownnazionale l’11 marzo. Ribaltando il discorso, di sette Regioni che durante la prima ondata erano state colpite più duramente di quanto ci saremmo potuti attendere in caso di distribuzione uniforme a livello nazionale, ben sei (l’86%) sono state altrettanto duramente colpite nel corso della seconda ondata.

Da notare infine che, proprio a causa della distribuzione più uniforme dei contagi a livello nazionale, su 13 Regioni in cui il contagio è ancora sottodimensionato rispetto ai valori attesi (quelle sotto la linea tratteggiata orizzontale), in ben 11 casi (l’85%) la situazione è peggiorata rispetto alla prima ondata. Fanno eccezione soltanto la città di Bolzano, in cui la situazione è solo di poco migliore, e le Marche, in cui invece come abbiamo raccontato la situazione appare nettamente migliore.

In conclusione, è difficile stabilire se e quanto possa durare l’approccio di misure differenziate a seconda del differente progresso dell’epidemia perché oggi la distribuzione del contagio a livello regionale è molto più omogenea rispetto alla prima ondata. Sarebbe forse più utile decidere un livello medio e mobile di misure per la maggior parte delle Regioni, che preveda alcune eccezioni al rialzo e al ribasso per quelle poche realtà in cui la situazione è nettamente peggiore o nettamente migliore rispetto media.

Per dirla in altre parole, a oggi la situazione regionale dell’evoluzione epidemica in Italia è quasi ovunque “arancione tendente al rosso”: solo per poche Regioni possiamo parlare di un rosso molto acceso e, purtroppo, un numero ancora inferiore sarebbe da colorare di giallo.

 

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Agostina Latino
Università di Camerino e LUISS

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AUTORI

Matteo Villa
ISPI Research Fellow Europa e Governance globale

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