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CoVid-19
DATAVIRUS: Vaccini e morti evitate: la strategia conta
Matteo Villa
08 gennaio 2021

Con le oltre 300.000 dosi vaccinali sommistrate a ieri, giovedì 7 gennaio, l’Italia ha evitato quasi 2.000 decessi per coronavirus. Ma, se avessimo concentrato gli sforzi sul vaccinare unicamente gli ospiti anziani delle residenze sanitarie assistenziali (RSA), di decessi ne avremmo già evitati 14.000. Ecco perché sul vaccino la strategia e la sua attuazione contano, e perché per l’Italia e gli italiani sarebbe importante concentrare ancor più gli sforzi sul vaccinare il più rapidamente possibile le persone più fragili e, dunque, più a rischio.

Prima di approfondire questo tema, urge una doverosa precisazione: a poco più di una settimana dall’inizio della prima fase della campagna vaccinale, l’Italia è seconda in Unione europea per numero di dosi somministrate ogni 100 abitanti (dietro solo alla Danimarca), e terza in tutta Europa dopo Danimarca e Regno Unito, con Londra che però è partita con le somministrazioni l’8 dicembre, ovvero tre settimane prima dei paesi UE. Stiamo dunque lavorando a pieno regime con le dosi a disposizione, tanto che il limite alla distribuzione e somministrazione dei vaccini sembra al momento essere più legato alla loro produzione e consegna che a possibili problemi logistici o operativi in Italia. Doveroso, dunque, riconoscere che la “macchina” italiana sta funzionando in maniera egregia. 

Ciò detto, di strada da fare ne resta davvero tanta: a ieri avevamo vaccinato poco più dello 0,5% della popolazione italiana. Questo equivale a dire che avevamo compiuto solo un passo quando davanti a noi ne rimangono da fare centonovantanove. Anche per questo, e in vista del fatto che in questi primi mesi le dosi di vaccino a disposizione dei Paesi dell’Unione Europea – Italia compresa – rischiano di essere un numero molto ridotto rispetto alle necessità, è lecito chiedersi se, oltre ad agire con estrema rapidità, stiamo anche agendo nella maniera più “giusta”.

Domandarselo equivale anche a stabilire cosa significhi “giusto”, e rendersi conto che ogni scelta nei confronti di ciascuna strategia in questa fase equivale a cercare un precario compromesso tra diverse esigenze. Per esempio, nella prima fase in Italia – così come in molti altri Paesi – si è scelto di destinare le dosi di vaccino a disposizione a due categorie particolarmente a rischio: gli operatori sanitari e socio-sanitari, da un lato, e dall’altro gli ospiti anziani (e il personale) delle RSA. Il rischio cui sono esposte queste due categorie non è tuttavia identico.

In ragione della loro composizione demografica e delle loro fragilità medie, gli operatori sanitari e socio-sanitari sono a rischio soprattutto perché possibili “super-diffusori”, capaci di contagiare un alto numero di persone a loro volta già più a rischio rispetto alla popolazione generale (altrimenti non si troverebbero in un ospedale o in un’altra struttura sanitaria). Il Piano strategico nazionale, pubblicato lo scorso 2 dicembre e poi aggiornato, spiega con chiarezza che gli operatori “hanno un rischio più elevato di essere esposti all’infezione da COVID-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili”. Qui la scommessa è che vaccinare gli operatori equivalga ad abbassare il rischio che gli operatori infetti (che non si ammaleranno) trasmettano il virus ai pazienti o agli altri operatori con cui vengono in contatto. Non sappiamo ancora quanto la scommessa sia azzeccata, perché i dati sulla differente contagiosità dei vaccinati devono ancora arrivare.

Gli ospiti delle RSA sono invece proprio quella fetta di persone fragili e a rischio di decesso di cui tanto si è parlato nell’anno appena trascorso. Sempre prendendo a prestito le parole del Piano nazionale, gli utenti delle RSA sono a rischio “a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici comorbidità, e la necessità di assistenza per alimentarsi e per le altre attività quotidiane”. Non è un caso se, nella stragrande maggioranza dei Paesi avanzati, la proporzione di decessi da COVID-19 riferibili a persone ricoverate in strutture di lungo-degenza o RSA oscilla tra il 40% e l’80%.

La scelta italiana, come detto simile a quella di molti altri Paesi, è stata quella di dare la stessa alta priorità di vaccinazione a entrambe queste categorie. Nella pratica, però, cosa sta succedendo? Sta succedendo che, al 7 gennaio, su 100 somministrazione di vaccino 94 erano state somministrate a operatori sanitari e sociosanitari, e solo 6 erano andate agli ospiti delle RSA. Parametrato alla popolazione di riferimento di entrambi i gruppi questo significa che, a ieri, era stato vaccinato quasi il 20% degli operatori sanitari e socio-sanitari ma solo il 6% degli ospiti delle RSA.

Per calcolare quest’ultima percentuale abbiamo avuto bisogno di ricavare la numerosità degli ospiti delle RSA italiane. Qui ci viene in soccorso l’ISTAT, che pubblica dati purtroppo non pienamente aggiornati (risalgono al 2016) ma molto utili per farsi un’idea della quantità di persone che attualmente risiedono nelle RSA, così come della loro distribuzione regionale sul territorio italiano. Incrociando questi dati con quelli sull’andamento della campagna vaccinale scopriamo che a ieri mattina erano state somministrate 17.714 dosi di vaccino a 285.269 ospiti delle RSA. E possiamo fare anche un’altra constatazione: le circa 320.000 dosi somministrate sarebbero state più che sufficienti per vaccinare tutti gli ospiti delle RSA italiane.

Grazie ai dati ISTAT è anche possibile scorporare a livello regionale il dato della penetrazione dei vaccini nelle RSA italiane. Scopriamo così che c’è una forte disomogeneità tra le diverse Regioni d’Italia. Come mostra la figura qui sopra, a ieri la Toscana aveva somministrato la prima dose di vaccino già a un ospite su tre. Seguono Lazio, Molise e Trentino-Alto Adige, che avevano vaccinato il 14-16% dei propri ospiti, mentre molte altre Regioni erano in notevole ritardo. Tra queste ultime spicca la Lombardia, che a ieri mattina aveva vaccinato solo lo 0,7% degli ospiti delle proprie RSA. Ciò ha particolare rilevanza perché la Lombardia è di gran lunga la prima Regione per numero di ospiti nelle proprie RSA: circa 66.000, ovvero quasi un ospite su quattro a livello nazionale. Peraltro tre Regioni (Lombardia, Veneto e Piemonte) da sole contano per poco meno del 50% degli ospiti totali in Italia: è dunque normale che la media nazionale di vaccinazioni di ospiti delle RSA (6,2%) risenta più delle loro scelte che di quelle di molte altre Regioni italiane.

Non sta a noi discutere delle ragioni che possano spiegare questa altissima variabilità regionale; di sicuro vaccinare gli ospiti delle RSA presenta una sfida logistica maggiore rispetto a quella di inoculare il vaccino al personale sanitario, che già si trova in prossimità dei siti di stoccaggio e distribuzione o che può comunque spostarsi liberamente per raggiungere il punto più adatto a ricevere l’iniezione. Possiamo tuttavia esaminare le conseguenze di questo dato di fatto.

Sempre utilizzando i dati ISTAT, sappiamo che oltre la metà (il 53%) degli ospiti delle RSA ha più di 85 anni, un altro 22% ha tra 80 e 85 anni, un 13% ha tra i 75 e i 79 anni, e i restanti ospiti hanno tutti più di 65 anni. Il “Report vaccini anti COVID-19” fornisce invece la classificazione per classi d’età delle persone effettivamente vaccinate a ieri. Utilizzando le stime sulla letalità plausibile delle infezioni da nuovo coronavirus, ormai ampiamente disponibili e suffragate da almeno tre studi indipendenti (1, 2, 3), e supponendo che l’80% delle persone oggi vaccinate contrarrebbe l’infezione e ne soffrirebbe le eventuali conseguenze, possiamo dunque calcolare quante siano le morti evitate proprio grazie alle circa 320.000 vaccinazioni. Possiamo poi anche stimare quante sarebbero state le morti evitate, a oggi, se avessimo concentrato tutte le vaccinazioni sui 285.000 ospiti delle RSA.

I risultati di questo esercizio, mostrati nel grafico qui sopra, sono evidenti: concentrando le prime dosi di vaccino in massima parte sugli operatori sanitari e solo in maniera marginale sugli ospiti delle RSA, a ieri avevamo evitato tra le 1.500 e le 2.400 morti causate dall’infezione da nuovo coronavirus. Se, invece, avessimo concentrato tutte le dosi di vaccino sulla popolazione ospite delle RSA, avremmo potuto evitare tra le 11.000 e le 17.000 vittime: un numero tra le cinque e le undici volte superiore. Ovviamente, a mano a mano che proseguirà la somministrazione dei vaccini la linea a sinistra del grafico tenderà a salire, avvicinandosi progressivamente alla linea a destra. Ma, che si tratti di una scelta o di un involontario ritardo per carenze logistiche, organizzative, giuridiche o di altro genere, al momento dei 285.000 ospiti delle RSA italiane, ben 268.000 rimangono scoperti.

Ciò ha ancora più importanza oggi, in un momento in cui l’andamento di decessi e ricoveri in Italia suggerisce che le infezioni, che fino a metà dicembre erano in calo, hanno ormai raggiunto un plateau (molto alto, purtroppo) e rischiano di tornare a crescere. È proprio in questa fase di transizione che proteggere le persone più deboli e fragili, nonché più a rischio (perché basta un singolo ingresso di SARS-CoV-2 in una RSA per aumentare a dismisura il rischio di decesso di tutti i suoi ospiti), sarebbe cruciale. Ed è proprio su questo che le Regioni, in particolare quelle più ritardatarie e con la concentrazione maggiore di RSA sul proprio territorio, dovrebbero puntare nelle prossime settimane.

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AUTORI

Matteo Villa
ISPI Research Fellow Europa e Governance globale

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