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Commentary

DATAVIRUS: Vaccini, i dati che non sappiamo leggere

Matteo Villa
25 giugno 2021

 

In questi giorni sta circolando molto in rete un grafico che sembra mostrare che, quando si infettano con la variante Delta di nuovo coronavirus, le persone vaccinate avrebbero il doppio di probabilità di morire delle persone non vaccinate. Lo abbiamo riprodotto proprio qui sopra. Cosa c’è dietro? La nostra incapacità di leggere i dati, ma più in generale i limiti della nostra mente.

Sgombriamo subito il campo dai dubbi: i dati utilizzati per arrivare a questo risultato sono corretti. Provengono da una tabella pubblicata settimana scorsa da Public Health England, l’agenzia del Ministero della Salute britannico che, tra le altre cose, raccoglie e divulga dati e studi sul nuovo coronavirus in Inghilterra (non in tutto il Regno Unito). La tabella, pubblicata qui (p. 12), riporta 35.521 casi di variante Delta tra persone non vaccinate cui sarebbero seguiti 34 decessi, e 17.642 casi di variante Delta tra persone vaccinate cui sarebbero seguiti 37 decessi. Dunque il tasso di letalità apparente (o case fatality rate, CFR), cioè il semplice rapporto tra decessi e casi ufficiali, corrisponderebbe allo 0,10% per le persone non vaccinate mentre raddoppierebbe a 0,21% tra le persone vaccinate. Conclusione: sarebbe stato meglio non vaccinarsi!

Giusto? Clamorosamente sbagliato. Anzi, è vero l’esatto contrario. Per capirlo dobbiamo però ricordare una cosa e conoscerne un’altra. La cosa da ricordare è che una serie di studi internazionali ormai converge su quello che sarebbe il tasso di letalità plausibile di Covid-19 per ciascuna fascia d’età, e mostra che la letalità aumenta esponenzialmente al crescere dell’età. Per capirci, la letalità da infezione da nuovo coronavirus è stimata in circa lo 0,1% tra le persone trentenni, sale a 0,5% tra i cinquantenni, e raggiunge il 10% degli infetti tra le persone ultra-ottantenni. Insomma, una persona trentenne se contagiata avrebbe solo una probabilità su mille di morire, mentre una ottantenne ne avrebbe una su dieci. Un salto enorme. E forse, dopo che ve lo abbiamo ricordato, avrete già intuito dove stiamo andando a parare.

Già, perché ovviamente anche in Regno Unito la vaccinazione delle persone ha seguito una serie di criteri tanto precisi quanto scontati, e il più importante tra questi è quello dell’età. Si proteggono prima le persone più a rischio, cioè a dire le più anziane, e progressivamente si va a scendere vaccinando chi invece rischia già poco e dunque può permettersi di attendere un po’ di più l’arrivo del vaccino.

Questo genera un paradosso: è probabile che, almeno nei primi mesi di una campagna vaccinale, il numero di decessi di persone vaccinate sia nettamente superiore rispetto a quello di persone non vaccinate. Com’è possibile? Per spiegarvelo vi proponiamo una simulazione sui dati britannici. Innanzitutto, ci serve conoscere la distribuzione delle persone vaccinate con almeno una dose di vaccino in Inghilterra al 13 giugno 2021, che si può trovare qui. Da questa, per sottrazione, è possibile ricavare anche la distribuzione per età delle persone non vaccinate.

Come dicevamo, dai dati scopriamo una cosa ovvia. Due settimane fa, in Inghilterra, circa la metà delle persone vaccinate con almeno una dose aveva più di 55 anni, mentre tra le persone non vaccinate solo il 2% aveva più di 55 anni. Detta diversamente: l’88% delle persone non vaccinate aveva meno di 35 anni, mentre solo il 16% delle persone vaccinate era un under-35. Insomma, i non vaccinati sono molto più giovani dei vaccinati.

Adesso possiamo chiederci: quanti decessi possiamo attenderci in ciascuno dei due gruppi di persone? È presto detto: utilizzando i tassi di letalità per fascia d’età che ricaviamo dalla letteratura, la distribuzione per età dei vaccinati e quella dei non vaccinati, possiamo stimare che il gruppo dei vaccinati dovrebbe presentare un tasso di letalità circa 12 volte più alto rispetto al gruppo dei non vaccinati. Significa che, se la vaccinazione non avesse nessun effetto protettivo, una volta osservato un tasso di letalità dello 0,1% tra i non vaccinati, il tasso di letalità tra i vaccinati dovrebbe essere dello 1,17%. E questo accadrebbe semplicemente a causa del fatto che le persone vaccinate sono nettamente più anziane di quelle non vaccinate. Cosa osserviamo, invece? Un tasso di letalità tra i vaccinati dello 0,21%. In altre parole, il tasso di letalità dei vaccinati che osserviamo è dell’82% inferiore rispetto alle attese.

Adesso è più semplice capire cosa in realtà mostri il grafico qui sopra: la poderosa forza dei vaccini nel prevenire i decessi. Su 17.642 persone vaccinate avremmo dovuto attenderci 206 decessi, e invece ne registriamo solo 37. I vaccini hanno salvato 169 vite su 206. Eppure, a prima vista è semplice scambiare i dati riportati nel grafico per la dimostrazione che i vaccini non sono semplicemente inutili, ma addirittura pericolosi.

Di fronte a dati che sembrano così limpidi, è la nostra mente a giocarci brutti scherzi. Siamo tutti portati a imboccare scorciatoie cognitive, soprattutto quando siamo esposti a molti stimoli in poco tempo. Per questo i social media sono il perfetto terreno di coltura per fake news e disinformazione scientifica: senza sapere cosa si celi dietro a un dato, e senza una guida alla sua interpretazione, possiamo essere facilmente spinti a interpretarlo nel senso che – a tutta prima e quasi intuitivamente – ci sembra quello corretto.

In conclusione, invece, proprio il dato utilizzato per screditare i vaccini finisce con il dimostrarne tutta la loro efficacia, persino contro una variante pericolosa come la Delta. Anche contro Delta, i vaccini sembrano riuscire a evitare più dell’80% dei decessi che ci saremmo potuti attendere nel caso non ci fossero stati. Insomma, continuano a fare un ottimo lavoro. Che è quello di proteggere tutti, ma in particolare chi tra di noi è più anziano e fragile.

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Matteo Villa
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