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Commentary

DATAVIRUS: Vaccini, saltare la fila fa male a tutti

Matteo Villa
02 aprile 2021

 

Ieri il Direttore regionale dell’Oms, Hans Kluge, ha accusato l’Europa: la campagna vaccinale è troppo lenta, e questo sarebbe “inaccettabile”. Ma davvero l’Europa potrebbe andare più velocemente? Se le dosi mancano, mancano per tutti. Il passaggio più importante del discorso di Kluge è probabilmente un altro: “vaccinare gli anziani in ogni Paese è responsabilità morale di tutti”. E, siccome il numero di dosi pro capite ricevuto dai Paesi europei è molto simile, dal momento che gli acquisti li fa la Commissione europea e la distribuzione avviene primariamente seguendo il criterio del numero di abitanti di ciascuno Stato, è importante capire se l’Europa stia procedendo insieme. Soprattutto, è cruciale chiedersi se e quanto ciascun Paese si stia davvero concentrando sulle categorie di persone più a rischio, cosa che permetterebbe di abbattere rapidamente la letalità di Covid-19 anche con un numero limitato di dosi a disposizione.

La figura in alto mostra proprio questo: quanto ciascun Paese stia riuscendo a vaccinare i propri anziani, e in particolare le persone ultraottantenni, obiettivo prioritario perché la letalità di questa categoria di persone varia tra il 7% e il 12%. Significa che, ogni 100 persone over-80 che entrano in contatto con il nuovo coronavirus, circa dieci moriranno a causa dell’infezione che ne consegue.

Il momento per stilare una classifica tra i Paesi Ue non potrebbe essere più propizio, perché lo scorso 19 gennaio la Commissione europea aveva dato un obiettivo molto preciso: “entro marzo 2021 gli Stati membri dovrebbero aver vaccinato almeno l’80% (…) della popolazione di età superiore a 80 anni”.E dunque, chi ci è riuscito e chi no?

Cominciamo con il dire che al momento disponiamo dei dati per 24 dei 27 Paesi dell’Unione europea: all’appello mancano Paesi Bassi, Spagna e Romania, che non comunicano questi dati all’ECDC e non mettono a disposizione delle dashboard per poter ricostruire la situazione in maniera indipendente (come invece fa la Germania). E mettiamo subito le cose in chiaro: nessuno dei Paesi europei si è minimamente avvicinato all’obiettivo se si guarda alle vaccinazioni completate, ovvero alla somministrazione della seconda dose di richiamo dei vaccini attualmente immessi in commercio in UE. Tuttavia, ormai sappiamo che i vaccini cominciano ad avere effetti significativi di protezione dall’infezione e, soprattutto, dall’infezione grave e dalla morte a circa due settimane dalla somministrazione della prima dose. Possiamo dunque prendere quest’ultimo come parametro sufficiente per stabilire una graduatoria di merito.

Scopriamo così che, dei 24 paesi UE che rendono pubblici i loro dati, solo cinque hanno raggiunto l’obiettivo di somministrazione della prima dose ad almeno l’80% della popolazione over-80 (Malta, Irlanda, Svezia, Finlandia e Portogallo), e tre ci si avvicinano (Danimarca, Lussemburgo e Germania). Per almeno una decina di altri Paesi, l’obiettivo rimane distante almeno diverse settimane: si tratta del gruppo che va dall’Austria (66% di prime dosi somministrate alla popolazione ultraottantenne) alla Polonia (48%), e che include Francia e Italia (appaiate al 57%). Parlando di Italia, dobbiamo constatare due cose: primo, di sicuro nell’ultimo mese e mezzo il nostro Paese ha accelerato molto le somministrazioni alle persone ultraottantenni, se consideriamo che solo il 20 febbraio scorso era ancora fermo al 6% di over-80 vaccinati con prima dose e oggi è salito al 57%. Ma persino questo sforzo non è stato sufficiente a sopperire ai problemi iniziali della campagna vaccinale, tanto che ancora oggi l’Italia si situa pienamente a mezza classifica, tredicesima su ventiquattro Paesi nelle vaccinazioni agli over-80.

Tutto ciò ci insegna tre cose importanti. Primo, quasi tutti i Paesi europei hanno compreso che la loro campagna vaccinale nazionale avrebbe dovuto mettere al centro la popolazione anziana e fragile, e hanno seguito la raccomandazione della Commissione europea. Un punto piuttosto banale, date le nostre conoscenze sulla letalità del coronavirus, ma fa nondimeno bene constatarlo. Secondo, una campagna vaccinale non è mai “andata storta”, la si può sempre raddrizzare. Basta accorgersi che qualcosa non sta funzionando come si deve, e porvi rapidamente rimedio. Terzo, i ritardi iniziali hanno ripercussioni lunghe. Secondo nostre stime, da metà gennaio (quando le prime vaccinazioni di fine dicembre 2020 hanno cominciato ad avere effetto) a oggi, considerato l’andamento delle infezioni nel Paese, in Italia le vaccinazioni dovrebbero aver salvato circa 2.500 vite. Ma se avessimo vaccinato sin da subito la popolazione anziana e fragile, il numero di vite salvate a oggi sarebbe stato probabilmente intorno alle 8.900. Si tratterebbe di 6.400 decessi in più, e questo numero continuerà a crescere nelle prossime settimane e mesi.

In conclusione, il messaggio è uno solo: se l’Europa si muove insieme, procacciandosi il numero sufficiente di dosi di vaccino per mettere al sicuro quantomeno la propria popolazione anziana e fragile, e poi somministrando i vaccini proprio a loro e non ad altri (fatta eccezione, ovviamente, per il personale sanitario), la letalità di Covid-19 si ridurrà in maniera significativa e molto più rapidamente di quanto potremmo inizialmente immaginare. Saltare la fila fa male a tutti. Consentire a certe categorie “essenziali” di saltarla è un danno per il Paese, e per l’intero continente.

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AUTORI

Matteo Villa
ISPI

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