Misura ad interim?
Lunedì 19 dicembre il Ghana ha sospeso i pagamenti degli interessi sulla maggior parte del suo debito estero. Nonostante l’accordo di salvataggio raggiunto con il Fondo Monetario Internazionale la settimana prima, Accra ha deciso di dichiarare un (temporaneo) default. Una scelta anomala per un Paese che, sul punto di iniziare i negoziati con i creditori, avrebbe dovuto intraprendere un processo di ristrutturazione del debito nelle prossime settimane.
Considerato a lungo uno dei Paesi più stabili e meglio amministrati dell'Africa, negli ultimi 40 anni il Ghana è stato protagonista di una storia di straordinaria crescita diventando un punto di riferimento economico nella regione. Quinto paese in Africa Subsahariana per dimensione della propria economia (dopo Nigeria, Sudafrica, Etiopia e Kenya), tra il 1990 e il 2019 il Pil del Paese era cresciuto a un ritmo di oltre il 5% annuo.
A cambiare questo trend positivo ci ha però pensato la pandemia: con l’aumento della spesa pubblica, la riduzione delle esportazioni (-46% nel 2020) e la diminuzione delle rimesse, lo spazio in bilancio ha subìto una prima forte contrazione. Negli ultimi due anni poi, altri shock, tra cui il triplice impatto del conflitto ucraino sui prezzi dei prodotti alimentari, sui prezzi dell'energia e sulle finanze pubbliche, hanno fatto esplodere l’inflazione nel Paese (che a novembre ha registrato un +50% su base annua) e ridotto i redditi reali, facendo sprofondare sempre più persone sotto la soglia di povertà.
Crisi dei falchi?
Ma il colpo finale sembrerebbe essere arrivato con l’inasprimento delle politiche monetarie restrittive delle banche centrali occidentali. Disposta a tutto pur di vincere la lotta contro l’inflazione, negli ultimi 10 mesi la Fed ha alzato i tassi di interesse ben 6 volte, seguita a ruota dalle banche centrali di mezzo mondo. Con queste ultime che, per combattere l’inflazione, ma anche per evitare una fuga di capitali, hanno ricalcato la strategia della banca centrale americana.
Quella di ricalcare la strategia della banca centrale americana non è però un’opzione accessibile a tutti: non sempre, infatti, le banche centrali hanno la capacità di influenzare l’economia reale come nei Paesi avanzati. Fra un mercato interbancario lento nel trasmettere gli stimoli, e una generale sfiducia nelle istituzioni, i sistemi bancari dei Paesi in via di sviluppo faticano a sostenere i moderni mercati finanziari e a replicare le politiche monetarie messe in atto dalle controparti occidentali.
Così l’aumento dei tassi di interesse in Occidente porta i capitali a spostarsi dai rischiosi mercati in via di sviluppo alle roccaforti avanzate, ora relativamente più profittevoli. Un movimento doppiamente svantaggioso per le economie più fragili: da una parte limita i capitali a disposizione, dall’altra contribuisce al deprezzamento delle valute locali (il cedi ghanese ha perso oltre metà del suo valore rispetto al dollaro nell’ultimo anno). E con il dollaro più caro, ad aumentare sono anche gli oneri finanziari delle obbligazioni denominate in valuta estera, che i Paesi emergenti sono costretti a emettere in quantità per riuscire a finanziarsi. Tanto che, prima del default, in Ghana gli interessi sul debito erano ormai arrivati a consumare tra il 70 e il 100% delle entrate del Paese.
Non si vive solo d’inflazione
Fra la fuga dei capitali verso occidente e una sempre maggiore parte delle entrate utilizzate per il pagamento degli interessi sul debito, ai Paesi emergenti mancheranno presto i capitali per fare investimenti cruciali, come quelli in infrastrutture o spesa sociale. Un ulteriore ostacolo al loro sviluppo futuro che, secondo l’UNCTAD, potrebbe portare a $360 miliardi di mancati redditi futuri per le economie emergenti (Cina esclusa) solo a causa degli aumenti dei tassi di interesse statunitensi.
Dopo lo Sri Lanka lo scorso aprile, il Ghana è la seconda economia a dichiarare il default sui debiti esteri. Una sorte che, avvertono sempre le Nazioni Unite, potrebbe toccare ad altri 54 Paesi, molti dei quali in Africa sub-sahariana. Mantenere la sostenibilità del debito durante il prossimo anno, e quelli a venire, si preannuncia una delle maggiori sfide per i Paesi in via di sviluppo più indebitati.
Quanti di loro riusciranno a navigare un mondo sempre più incerto senza cadere nella trappola del debito?