Gli Stati Uniti raggiungono il tetto del debito. Il Congresso si prepara allo scontro, ma la battaglia è tutta politica.
Gli Stati Uniti raggiungono il tetto del debito e il Congresso si prepara allo scontro: Repubblicani e Democratici dovranno trovare un accordo per alzare il limite, fissato a 31,4 trilioni di dollari, ma la strada è tutta in salita. Il Segretario del Tesoro Janet Yellen ha annunciato che il suo dipartimento ricorrerà a misure straordinarie di gestione monetaria che impediranno il default “per un periodo di tempo limitato”, probabilmente fino ai primi di giugno. Pochi mesi per consentire ai Repubblicani, che controllano la Camera dei rappresentanti, e ai Democratici che governano la Casa Bianca, di trovare un punto di caduta: “È fondamentale – avverte Yellen – che il Congresso agisca tempestivamente per aumentare o sospendere il limite del debito” altrimenti l’impossibilità del governo di rispettare i propri obblighi creerebbe un “danno irreparabile” all’economia statunitense, alla vita di tutti gli americani e alla stabilità finanziaria globale. Non sarà facile: i Repubblicani chiedono in cambio tagli alla spesa pubblica. Un’idea che i Dem rifiutano a priori, accusando gli avversari politici di ricattare il governo in modo irresponsabile: “Non ci saranno negoziati sul tetto del debito”, ha ribadito la vice addetta stampa della Casa Bianca, Olivia Dalton. “Il Congresso dovrebbe risolvere questo problema senza porre condizioni, come ha fatto tre volte durante il mandato dell’ex presidente Trump”.
Perché c’è un tetto al debito?
Gli Stati Uniti hanno introdotto il tetto al debito nel 1917. Prima di allora il Congresso doveva autorizzare ogni emissione di buoni del tesoro, ma il Second Liberty Bond Act modificò questa situazione, consentendo al governo di non passare per il parlamento ogni volta che richiedeva un prestito. I legislatori autorizzarono la misura per consentire all'allora presidente Woodrow Wilson l’indebitamento necessario per combattere la Prima guerra mondiale senza aspettare che il Congresso approvasse di volta in volta le spese. Ma non volendo firmare un ‘assegno in bianco’ al presidente, limitarono i prestiti a un ‘tetto’ massimo e introdussero un obbligo legislativo per aumentarlo: questo significa che per alzare o sospendere temporaneamente il tetto del debito serve una legge del Congresso. Da allora il tetto del debito è stato aumentato decine di volte e sospeso a più riprese dalle amministrazioni democratiche come da quelle repubblicane. Ad oggi, complici la pandemia, la crisi economica e il conseguente aumento della spesa pubblica, il tetto ammonta a 31,4 trilioni di dollari, pari al 120% del Pil. Pur essendo una cifra enorme, però, non indica il rischio di una crisi imminente: il governo degli Stati Uniti si trova nell'invidiabile posizione di poter emettere nuovo debito praticamente ogni volta che lo desidera e i titoli del Tesoro americano sono considerati a livello globale uno degli investimenti più sicuri e stabili.
Precedenti pericolosi?
“Ditemi se vi suona familiare: un presidente democratico al primo mandato, dopo aver trascorso due anni a gestire una maggioranza precaria al Congresso, perde il controllo della Camera. La nuova maggioranza, capitanata da esponenti al primo mandato fortemente ideologici e conservatori, scettici nei confronti dell'establishment repubblicano, cercano di strappare concessioni al presidente rifiutandosi di alzare il tetto del debito…”. Così Dylan Matthews su Vox paragona la situazione odierna all’ultima crisi del debito federale americano: quella del 2011 quando l’allora presidente Barack Obama e il Congresso ingaggiarono un lungo braccio di ferro per aumentare il limite del debito. Nel mentre, gli uffici dell’amministrazione federale furono costretti a chiudere per giorni, perché il governo non poteva far fronte al pagamento di stipendi e sevizi. E lo stato arrivò così vicino al default che l’agenzia di rating Standard & Poor's declassò il debito degli Stati Uniti a AA+ anziché il massimo, AAA. Un’azione senza precedenti che di fatto provocò un temporaneo crollo del mercato azionario, lasciando presagire che gli Stati Uniti, a lungo considerati il posto più sicuro al mondo in cui investire denaro, avrebbero potuto non essere in condizione di onorare i propri debiti. La crisi rientrò dopo il raggiungimento di un’intesa che contemplava un imponente taglio della spesa pubblica e lo stralcio di nuove tasse ai super-ricchi. Ancora oggi la stampa statunitense è unanime nel definire quell’accordo una vittoria dell’estrema destra repubblicana e un pericoloso precedente.
Una crisi politica?
Quel che è certo è che lo scontro sul debito, più che di natura economica è politico. Durante la
presidenza Trump, il Congresso ha alzato o revocato il limite del debito per ben tre volte senza troppi clamori. Ma ora che alla Casa Bianca è tornato un democratico e la Camera è sotto il controllo dei Repubblicani, la battaglia torna ad infiammarsi. Guardando agli esempi del passato è probabile che alla fine si troverà un accordo ma lo scontro rischia di protrarsi per mesi, indebolendo la credibilità di Washington sui mercati. Inoltre, ci sono buone ragioni per le quali il Segretario al Tesoro Janet Yellen e il Presidente del Federal Reserve Board sono preoccupati: l’inflazione incalza e le minacce di recessione preannunciano un anno incerto. Una crisi – seppur breve – del debito federale americano potrebbe avere conseguenze fatali. Mantenere la barra dritta sarà essenziale. In un lungo editoriale sul NewYorkTimes, Paul Krugman, economista di spicco dell’ala liberal del partito democratico, invita perciò a “non cercare di placare i terroristi economici” sottolineando che “il GOP di oggi non sembra nemmeno avere un insieme di richieste coerenti” che giustifichino un testa a testa sull’innalzamento del tetto del debito.
Il commento
di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po
“La partita sull’aumento del tetto del debito è tutta politica, che si tratta di un provvedimento inevitabile e necessario (e almeno, fino a pochi anni fa, non controverso). Con la loro tenue maggioranza alla Camera, i repubblicani cercano di mettere in un angolo l’amministrazione e, chiedendo radicali tagli a vari programmi federali, di cavalcare una retorica anti-politica particolarmente popolare tra il loro elettorato. Memore delle concessioni che Obama fece nel 2011, e dei conseguenti vincoli alla sua capacità di governare, Biden non sembra disposto ad alcuna concessione, consapevole che una maggioranza dell’opinione pubblica imputerebbe ai repubblicani la responsabilità della crisi. Nel mentre, gli Usa danzano pericolosamente sul Titanic di un default che avrebbe conseguenze devastanti per l’economia mondiale.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.