La COP26, la conferenza internazionale sul cambiamento climatico conclusosi da poco a Glasgow, ha portato sostanzialmente poche novità riguardo agli obiettivi e le politiche climatiche cinesi. L’unica vera sorpresa della partecipazione cinese è stato il comunicato congiunto con gli Stati Uniti che, però, con l’eccezione dell’annuncio di un futuro piano di azione sulle emissioni del metano cinese, rimane soprattutto un documento diplomatico inteso a creare dei canali di comunicazione tra le due potenze.
La mancanza di nuovi target da parte della Cina non sorprende se si considerano le dichiarazioni dei leader e i documenti ufficiali che sono stati pubblicati nelle settimane precedenti alla COP26. Questo non vuol dire però che non ci siano stati progressi, in quanto i segnali che indicano che il governo è seriamente intenzionato ad attuare gli obiettivi attualmente annunciati sono molti. Ma quali sono gli obiettivi attuali della Cina, gli ostacoli politici e tecnici che potrebbero rallentare o facilitare il progresso del Paese nell’attuazione delle politiche di decarbonizzazione e cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi ed anni?
Gli impegni cinesi
I contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions—NDCs) sono gli obiettivi in materia climatica prefissati dai vari Paesi a partire dalla conferenza di Parigi del 2015. La COP26, rimandata di un anno a causa della pandemia, ha rappresentato una pietra miliare in quanto i vari Paesi firmatari hanno presentato i nuovi obiettivi rispetto a quelli annunciati cinque anni prima per il 2030. Molti Stati, inclusa la Cina, hanno comunque annunciato questi nuovi target già l’anno scorso, come inizialmente previsto. Questo ha creato una situazione di discrepanza tra le aspettative poiché nell’ultimo anno sono infatti aumentate le pressioni sui Paesi maggiormente responsabili per le emissioni di CO2 affinché nel 2021 presentassero obiettivi ancora più ambiziosi rispetto all’anno precedente.
Figura 1. Gli Obiettivi Annunciati negli NDC della Cina
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NDC Cinese nel 2015 |
NDC Cinese nel 2021 |
Neutralita` Carbonica (Emissioni Zero) |
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Entro il 2060 |
Picco delle emissoni di CO2 |
Attorno al 2030, sforzandosi di raggiungere il picco prima del 2030 |
Entro il 2030 |
Livello di diminuzione dell’intensità carbonica entro il 2030 |
60%–65% |
Oltre il 65% |
Percentuale di carburanti non fossili nel consumo di energia primaria nel 2030 |
Circa 20% |
Circa 25% |
Incremento della superficie forestale entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2005) |
4,5 miliardi di metri cubi |
6 miliardi di metri cubi |
Capacità installata di energia solare ed eolica nel 2030 |
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1.200 gigawatts (GW) |
Fonti: elaborazione dell’autrice, NDC del 2015 e del 2021 della Cina
La Cina a Glasgow ha ufficialmente ripresentato gli stessi obiettivi annunciati l’anno scorso nel suo NDC (Fig.1), che include l’impegno a raggiungere le emissioni zero entro il 2060. Quest’ultima rappresenta una vera rivoluzione ideologica per la leadership cinese, che fino a qualche anno fa sosteneva che la riduzione delle emissioni fosse soprattutto responsabilità morale e storica dei Paesi sviluppati.
Nonostante l’importanza politica dei target, l’NDC cinese così come formulato oggi non assicura che il riscaldamento globale rimanga sotto gli 1,5 gradi centigradi. Nel breve termine servirebbe più chiarezza per capire esattamente quando e a che livello Pechino raggiungerà il picco delle emissioni per stimare la fattibilità dell’obiettivo “emissioni zero”. In questo contesto, l’elemento più importante da monitorare è il consumo del carbone, una delle fonti principali di emissioni nel Paese e che fornisce quasi il 57% dell’energia primaria. Il governo si prefigge di diminuire l’utilizzo di carbone nel corso del quindicesimo piano quinquennale che avrà inizio a partire dal 2026, e ha indicato che permetterà la crescita controllata del consumo di carbone e di nuove centrali a carbone fino a quella data. Ciò ovviamente produrrà ancora più ostacoli nel raggiungere l’obbiettivo emissioni zero nel lungo termine.
La situazione interna
Nonostante il valore diplomatico della COP26, i documenti più notevoli a essere stati pubblicati quest’anno sul tema per quanto riguarda la Cina sono quelli facenti parte della cosiddetta struttura 1+N: quest’ultima si riferisce a una serie di documenti che chiariranno l’approccio legale, tecnico e burocratico del Paese alla riduzione delle emissioni per raggiungere il picco entro il 2030. Nel sistema politico cinese, infatti, i leader ai vertici spesso annunciano target relativamente vaghi, lasciando i dettagli dell’implementazione alla burocrazia e ai governi provinciali. Per esempio, dopo l’annuncio che la Cina avrebbe raggiunto il picco entro il 2030, a tutte le province cinesi è stato ordinato di sviluppare e presentare al governo centrale dei piani regionali per il picco delle emissioni. Allo stesso modo, le industrie identificate con alta intensità energetica che producono più emissioni, come quelle dell’acciaio e del cemento, hanno dovuto anch’esse presentare dei piani di attuazione del picco.
I documenti finora pubblicati non hanno però chiarito quale sarà il livello del consumo di carbone permesso o il livello di emissioni che verranno raggiunte al picco, ma mettono in chiaro che l’obiettivo principale nel breve termine è di creare una struttura burocratica e gli incentivi politici per facilitare l’implementazione dei piani di decarbonizazzione senza sacrificare eccessivamente la crescita economica.
Come già accennato, la Cina rimane altamente dipendente dal carbone nonostante la forte crescita negli ultimi anni delle energie rinnovabili. I rischi legati a questa dipendenza sono stati messi in evidenza qualche mese fa quando la carenza nelle forniture di carbone ha portato a delle interruzioni nel servizio di energia elettrica.
La riduzione veloce di consumo di carbone risulta ancora più difficile da ottenere poiché il consumo di energia e di elettricità in Cina continua a crescere ogni anno. Si aggiunga a questo che il settore industriale è ancora oggi responsabile della maggior parte delle emissioni nel Paese; quindi, ridurre le emissioni potrebbe avere un effetto economico molto diretto. Queste difficoltà lasciano la Cina in una posizione complessa in quanto la decarbonizzazione, per quanto necessaria e vantaggiosa a lungo termine, potrebbe portare dei rischi economici nel breve termine.
La leadership ha però messo in chiaro che il picco delle emissioni è una priorità politica ed è in linea con i piani economici che prevedono una transizione dalle industrie pesanti verso un modello economico più sostenibile in termini di crescita. Le tempistiche del governo cinese sulle politiche climatiche non sono quindi sintomo di dubbio, quanto di un approccio graduale che prende in considerazione gli ostacoli politici e strutturali e intende creare nuove basi di crescita economica più compatibile con la sostenibilità ambientale.
È probabile quindi che nel prossimo anno continueremo a vedere il governo cinese procedere con molta cautela per quanto riguarda la riduzione del carbone per evitare degli shock all’economia. Ci sono comunque dei segnali positivi, come la decisione di procedere con la liberalizzazione dei mercati energetici, che potrebbe per esempio favorire ancora di più le energie rinnovabili rispetto al carbone, e di varie riforme orientate ad aumentare la capacità di monitoraggio e implementazione del governo in materie relative alle emissioni. È quindi ipotizzabile che il prossimo anno la Cina si rivelerà ancora più ambiziosa nei suoi obiettivi, anche se questo dipenderà molto da come evolverà la situazione economica e politica interna.