La Belt and Road Initiative (BRI) nasce anche con l’obiettivo di proiettare la Cina verso una dimensione globale attraverso grandi progetti infrastrutturali volti a collegare fisicamente nuove rotte commerciali e nuovi mercati. Ma la pandemia in corso ha inferto un duro colpo alle ambizioni di Pechino, portando alla luce alcune debolezze del progetto cinese. In primo luogo la crisi sanitaria ha letteralmente bloccato i cantieri sparsi per il mondo a causa delle restrizioni al movimento di persone e quindi della manodopera cinese ma anche dei ritardi nella fornitura di materiali. Una crisi determinata, anche e soprattutto, dal modello di governance cinese che non mira a costruire capacità a livello locale, ma fa affidamento su lavoratori, fornitori, produttori ed esperti esportati direttamente dalla Cina.
E c’è l’emergenza debiti. Molti paesi indebitatisi con Pechino per sviluppare i mega-progetti infrastrutturali sono ora sull’orlo dell’insolvenza a causa della crisi economica. In Africa, per esempio, diversi leader hanno chiesto in emergenza che il debito fosse condonato da parte dei creditori sovrani: la Cina avrebbe infatti dovuto ricevere circa 8 miliardi dei 145 miliardi di dollari di prestiti erogati al continente, di cui diversi proprio per progetti legati alla Via della Seta. Il rischio è che, a causa dell’effetto COVID-19 sui crediti della Cina, molti progetti non saranno solo fermati ma saranno abbandonati con effetti disastrosi per Pechino.
La Via della Seta Digitale
Resistono invece all’attuale crisi i progetti della cosiddetta Via della Seta Digitale che, secondo diversi analisti, si espanderà considerevolmente nei prossimi mesi. Le ragioni sono varie: in primo luogo, la Via della Seta digitale fa meno affidamento sul tipo di risorse che sono oggi limitate. In secondo luogo, i progetti digitali sono economicamente meno dispendiosi e più semplici da portare a termine. Terzo, questo tipo di infrastruttura è anche meno visibile e, pertanto, meno soggetta a recriminazioni a livello locale. Nel caso del Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), ad esempio, tra i numerosi ritardi che hanno caratterizzato i progetti in Pakistan fin dall’inizio, spicca un caso positivo: Huawei è infatti riuscita a posare un cavo sotterraneo in fibra ottica in soli due anni e al costo ridotto di 44 milioni di dollari, pari alla realizzazione di circa 4 chilometri di ferrovie nel paese.
Pechino continua a fare passi da gigante anche nel settore satellitare. Il sistema di navigazione satellitare Beidou, varato nel 2000, come risposta all’americano “Sistema di Posizionamento Globale” (GPS) ha all’attivo 29 satelliti di terza generazione, di cui l’ultimo lanciato il 9 marzo scorso. Stando alle dichiarazioni di Ren Chengqi, direttore dell’Agenzia cinese di navigazione satellitare, il lancio del trentesimo e ultimo satellite è stato posticipato a data da definirsi durante il mese di giugno. L’ultimo satellite, in ogni caso, completerà la “rete satellitare di terza generazione” (BDS-3), aumentandone la copertura e l’accuratezza. Sebbene dal 2012 Beidou sia già in servizio limitato nell’Asia-Pacifico, quando l’ultimo satellite sarà in orbita il sistema raggiungerà una portata mondiale. Sarà quindi in grado di coinvolgere tutti i partner della Nuova Via della Seta, come ripetutamente indicato dallo stesso Presidente Xi Jinping.
Questioni spinose
Non mancano le questioni controverse, come ad esempio quelle relative all’utilizzo delle tecnologie di localizzazione contrapposto alla tutela della privacy anche in situazioni emergenziali. Hikvision, Dahua, Tencent e le gemelle Alibaba e Alipay sono solo alcuni dei giganti che hanno già sviluppato tecnologie di monitoraggio all’avanguardia. Consolidatisi sul mercato interno, guardano ora sempre di più fuori dal paese. Le tecnologie di queste grandi multinazionali, seppur non le uniche presenti sul mercato globale, si contraddistinguono però per il livello inferiore di tutela della privacy rispetto alle controparti occidentali, aumentando i dubbi riguardo agli standard etici delle tecnologie di sorveglianza che la Cina esporta in tutto il mondo.
Ancora, il completamento di Beidou creerà un nuovo caso di competizione tecnologica tra Cina e Stati Uniti. Il sistema, infatti, ha un grado di accuratezza sostanzialmente superiore al GPS, ed è capace di rilevare una posizione entro un margine di 10 centimetri contro i 30 del sistema americano. Eppure, la corsa al digitale e alle telecomunicazioni potrebbe non essere solo un vantaggio per la Cina in ripresa post-pandemica, visto che sempre più paesi guardano con maggiore circospezione all’espansionismo cinese. L’Australia, ad esempio, ha cercato di limitare l’espansione cinese nelle isole del Pacifico, in una vera e propria “guerra dei cavi sottomarini”, reti sempre più strategiche per la gestione dei flussi di informazioni digitali. Dopo che Huawei aveva proposto alle Isole Salomone di occuparsi della posa di cavi sottomarini l’Australia era infatti riuscita a farsi carico di ben due terzi dei costi pari a circa 62 milioni di dollari. Tuttavia, con Canberra impegnata nella posa dei cavi, il presidente Xi ha avuto modo di organizzare un incontro bilaterale con il primo ministro delle Isole Salomone, che ne ha di fatto sancito la partecipazione formale alla Nuova Via della Seta. Tuttavia, se finora le Isole Salomone avevano preferito Canberra a Pechino, non è più scontato che sarà così anche in futuro. Soprattutto in un settore come quello delle telecomunicazioni su cui la fiducia nei confronti delle tecnologie cinesi è stata già più volte messa in discussione.
Nuove direttrici
È sempre più chiaro, quindi, come la ripresa della Nuova Via della Seta dopo la pandemia sia legata alla ricostruzione della reputazione internazionale della Cina. Al momento, gli sforzi del paese in tal senso sembrano riscontrare un successo costante solo in America Latina: la “relazione speciale” con il Brasile come l’accordo del 2014 con l’Argentina per la creazione di una base in Patagonia suggeriscono una Nuova Via della Seta che potrebbe sì ripartire dal digitale, ma che potrebbe abbandonare le tradizionali aree geografiche di engagement, per un rafforzamento dei progetti, ancora largamente in stato embrionale, sul continente americano.