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"Demagogia e tecnocrazia: derive democratiche" Tre domande a Alberto Martinelli

08 ottobre 2012

·    Il populismo può essere considerato come una caratteristica inevitabile di qualsiasi sistema democratico?

 

Come ho avuto modo di scrivere in passato in alcuni miei studi, il populismo rappresenta una ‘patologia congenita’ dei sistemi democratici. In realtà il populismo altro non è che un modo più moderno per definire la ‘demagogia’ (anche se i due termini non sono esattamente sinonimi). In generale, le spinte demagogiche nascono – e riescono ad avere un certo successo – quando il sottostante messaggio politico è diffuso ad una massa di soggetti ‘atomistici’ piuttosto che al gruppo omogeneo rappresentato dai cittadini (nel cui interesse complessivo le decisioni politiche dovrebbero invece essere prese).  Questo fenomeno ‘congenito’ sta assumendo un ruolo e un peso ancora più significativo nelle moderne democrazie anche grazie all’evoluzione dei media. Se è infatti innegabile che il messaggio populista/demagogico possa essere diffuso anche mediante i più tradizionali mezzi di comunicazione (ad esempio i quotidiani), è il mezzo televisivo che ne permette una veicolazione ancora più agevole e veloce. Il recente sviluppo dei ‘social network’ sta inoltre rendendo il fenomeno ancora più significativo.

 

Che relazione esiste tra populismo e tecnocrazia? E quanto la crisi attuale e le conseguenti misure di austerity stanno contribuendo a questi fenomeni?

 

E’ in effetti corretto mettere in relazione populismo e tecnocrazia che rappresentano due derive della democrazia contemporanea. Entrambe denotano una evidente crisi della politica. Nel primo caso infatti si cerca il consenso popolare a tutti i costi, mentre nel secondo ci si affida ad un governo di tecnici (ma che comunque ha una sua piena legittimazione democratica in quanto sostenuto dal Parlamento) per prendere decisioni che la deriva populista rende sempre più difficili per i partiti politici. Le scelte spesso impopolari operate dai ‘tecnici’ del governo possono suscitare una ulteriore reazione populista, approfondendo quindi il legame che lega questi due fenomeni. Tale reazione alle decisioni dei ‘tecnici’ riprende peraltro la  vecchia polemica anti-intellettuale secondo cui gli ‘intellettuali’ sono troppo distanti dai problemi e dalle esigenze concrete dei cittadini. Tutto ciò può ovviamente essere trasferito facilmente anche al livello sovranazionale e, in particolare, a livello europeo in cui il senso di distanza tra i ‘tecnocrati’ di Bruxelles e i cittadini è oggi ancor di più accentuato dalle misure di ‘austerity’ imposte ai paesi con i conti pubblici non in regola. Questa retorica si sposa quindi bene con il ritorno dei nazionalismi che, malgrado i recenti confortanti risultati elettorali in Olanda, serpeggia in varie parti d’Europa. E’ infatti interessante notare che questa tendenza e la conseguente retorica anti-europea è sempre più presente nei paesi che per molti anni non hanno tenuto i propri conti pubblici sotto controllo e oggi sono  costretti a politiche economiche estremamente rigorose; ma si stanno sempre più diffondendo, per motivi opposti, anche nei paesi - soprattutto quelli del Nord Europa - che non intendono contribuire al salvataggio di chi ha sperperato il denaro per troppi anni (o ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità) e non intende oggi sottoporsi a dolorose misure di ‘austerity’.

 

 

Come si può sconfigge il populismo?


Il modo più efficace per sconfiggere il populismo è un processo di rigenerazione della politica che passi anche attraverso la creazione di opportunità di controllo democratico e di maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Ciò impone anche l’identificazione di un ceto politico che non persegua interessi personali/clientelari ma l’interesse più alto di tutti i cittadini.  A tal proposito risulta indispensabile spingere ancora più avanti l’integrazione europea. Le elezioni in Olanda hanno dimostrato che benché le previsioni indicassero una marcata affermazione dei partiti euroscettici, i cittadini sanno fare scelte diverse al momento del voto. In effetti il populismo, come anche la retorica euroscettica, possono anche non essere letti in chiave negativa, purchè rappresentino segnali di un crescente malessere, ovvero una reazione emotiva immediata che spinga invece verso decisioni politiche equilibrate nel medio-lungo termine.  In quest’ottica penso che alla fine - e paradossalmente anche grazie alla crisi - prevarrà l’obiettivo della costruzione europea da attuarsi attraverso ulteriori e graduali devoluzioni di potere al livello sovranazionale.

 

*Alberto Martinelli è professore all'Universita' degli Studi di Milano

 

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Populismo democrazia tecnici Tecnocrazia governo Elezioni politica partito
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