Il decennio da poco cominciato sarà particolarmente importante per la definizione dei nuovi trend che seguirà l’economia globale. Il commercio internazionale non farà eccezione: innanzitutto per la necessità di riattivare in pieno i flussi che la pandemia ha inevitabilmente rallentato (provocando shock significativi sia sul lato della domanda che dell’offerta), ma anche per il contributo fornito dall’innovazione tecnologica, che sta rivoluzionando il modo in cui beni e servizi vengono scambiati. Questi processi potranno avere un impatto importante non solo per l’economia (creando nuove opportunità di business ma anche generando potenziali problemi di governance internazionale), ma anche sulle dinamiche in atto tra i principali attori geopolitici.
Che cos’è il digital trade?
Nell’era dell’economia digitale, anche il commercio internazionale sta venendo fortemente influenzato dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Ma cosa si intende esattamente per digital trade? Non esiste una definizione univoca ma, secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), si intendono tutte quelle “transazioni facilitate in maniera digitale di beni e servizi, che possono essere consegnati sia in modo fisico che digitale, e che coinvolgono aziende, consumatori e governi”. Si pensa dunque all’e-commerce e alle numerose piattaforme e market place – da Amazon e Alibaba fino a quelli più piccoli e settoriali – proliferati negli ultimi anni.
Ma il contributo fornito dalle nuove tecnologie al commercio digitale è molto più esteso: pensiamo ai servizi di cloud computing, o alle app di pagamento elettronico, o ancora al ruolo che l’intelligenza artificiale e la blockchain possono avere nel facilitare il tracciamento dei prodotti lungo le supply chains, con effetti potenzialmente positivi sia in termini di controlli più rapidi alle frontiere (e a questo proposito l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione Europea sarà un importante banco di prova) che di tracciamento dei prodotti, con vantaggi per i produttori (che vedranno certificata la loro appartenenza a una determinata filiera) che per i consumatori (che potranno conoscere in tempo reale la provenienza di un prodotto così come la sua relativa qualità e sicurezza).
La spinta della pandemia sull’e-commerce
Come è intuitivo immaginare, i lockdowns imposti in molti Paesi, soprattutto durante la prima fase della pandemia da Covid-19, hanno contribuito ad accelerare un trend in atto da alcuni anni, ovvero il crescente ricorso dei consumatori agli acquisti online tramite le piattaforme di e-commerce. I flussi globali di commercio online avevano raggiunto la cifra di 25.6 trilioni di dollari nel 2018, con un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. L’Italia si trovava già all’ottavo posto a livello globale per quanto riguarda le vendite effettuate tramite canali e-commerce. Ma questo trend, già in crescita grazie al costante sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie digitali, ha sperimentato un vero e proprio “boom” nel 2020 con una crescita delle vendite online che, secondo stime preliminari elaborate dal Politecnico di Milano, sarebbe stata del 26% rispetto al 2019 a livello globale. Secondo Forbes, l’accelerazione è stata tale che in meno di un anno è stato registrato l’aumento che, secondo i trend precedenti alla pandemia, si sarebbe verificato in un periodo di 4-6 anni.
La crescente domanda di acquisti online è stata molto importante per sopperire al crollo delle vendite sui canali retail, non solo per quanto riguarda i canali B2C (Business-to-Consumer) ma anche in ambito B2B (Business to Business). A questo proposito, vanno segnalate diverse iniziative che sono state intraprese per sostenere il settore fieristico internazionale, messo in grande crisi dalle restrizioni ai viaggi e agli spostamenti. Anche il Governo italiano ha avviato azioni al riguardo, creando nell’ambito del piano “Patto per l’export”, varato a giugno 2020 e gestito dall’ICE, un market place virtuale a disposizione delle aziende per espandere il network con i propri fornitori.
Problemi da affrontare e nuove regole da scrivere
Nonostante le interessanti opportunità offerte dal digital trade, esistono però diverse questioni aperte per quanto riguarda il cosiddetto cross-border e-commerce, ovvero le transazioni elettroniche che avvengono a livello internazionale, coinvolgendo due o più Paesi. Infatti la rapidità dello sviluppo del mercato internazionale dell’e-commerce non ha consentito che si sviluppassero in modo adeguato regole sul suo funzionamento, e i Paesi i sono mossi in modo non coordinato nei loro interventi su questo mercato. Questa situazione ha portato ad avere elevata incertezza sulle modalità di accesso a molti importanti mercati e frammentazione degli scambi in un contesto che invece sarebbe potenzialmente tra i più globali.
Almeno tre ordini di questioni dovrebbero essere affrontate adeguatamente a livello internazionale per evitare attriti a livello diplomatico e per garantire eque condizioni di accesso al mercato. Vediamole in dettaglio:
- Il trattamento dei dati personali: ogni transazione online comporta anche il trasferimento di dati che devono essere gestiti accuratamente, e che costituiscono per le imprese che partecipano allo scambio un asset fondamentale. Tuttavia, non esistono standard univoci a livello internazionale sul trattamento di questi dati, e le sensibilità delle principali potenze economiche mondiali sono divergenti al riguardo. L’Unione Europea è al momento l’area più avanzata per quanto riguarda la tutela dei dati personali, dopo aver varato il regolamento GDPR nel 2018, ma gli Stati Uniti prevedono standard più ridotti nell’ottica di privilegiare gli interessi commerciali delle aziende rispetto ai diritti individuali di utenti e clienti. La regolamentazione in Cina (che è attualmente il mercato di riferimento per quanto riguarda l’espansione dell’e-commerce) è ancora meno trasparente. Tuttavia, negli accordi commerciali di nuova generazione è importante contenere norme che regolino il trattamento dei dati, altrimenti la vendita online di beni e servizi correlati potrebbe risultarne compromessa. La Brexit ci fornisce un altro esempio concreto al riguardo: in attesa di una decisione di “adeguatezza” da parte di Bruxelles, è stato concesso dall’UE al Regno Unito (che per ora sta continuando ad applicare il GDPR) un regime temporaneo di mutuo riconoscimento, evitando dunque ulteriori incertezze e “colli di bottiglia”.
- La concentrazione del potere di mercato: come insegnano i casi di Amazon e Alibaba, le piattaforme di e-commerce sono oggi controllate per lo più da attori caratterizzati da un enorme potere economico e contrattuale. Se da un lato la diffusione sempre più capillare di queste piattaforme rappresenta per le imprese più piccole un aiuto importante sulla strada dell’internazionalizzazione, dall’altro il potere quasi monopolistico di queste multinazionali rischia di limitare l’accesso alle PMI riducendone il potere negoziale. Inoltre, vanno considerate questioni di natura fiscale: il dibattito sull’introduzione di una web tax a livello internazionale (ovvero un’imposta uniforme sui ricavi realizzati dalle grandi multinazionali digitali) è al momento arenato per le forti divergenze tra Paesi europei (con il Regno Unito schierato compattamente con l’UE) e Stati Uniti. Tuttavia, l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca potrebbe portare a una maggiore convergenza e ad una progressiva armonizzazione della fiscalità in un settore ancora scarsamente regolamentato.
- Una governance multilaterale ancora poco efficace: attraverso gli accordi alla base dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che disciplinano lo scambio di beni (GATT), di servizi (GATS), i settori tecnologici (ITA) e la proprietà intellettuale (TRIPS) è possibile individuare alcuni principi condivisi alla base dell’e-commerce. Tuttavia, questioni quali la differenziazione tra beni e servizi digitali, e la definizione dell’attraversamento di confini “fisici” nel caso di transazioni online, devono ancora essere specificate. A questo scopo sono in corso dei negoziati OMC sull’e-commerce, anche se non è ancora stato possibile pervenire ad un testo condiviso.
Dal G20 uno sguardo al futuro?
Il 2021 sembra un anno favorevole per poter fare dei progressi condivisi a livello multilaterale sulle tematiche legate al digital trade. Una maggiore apertura al dialogo da parte degli USA, così come l’imminente entrata in carica del nuovo Direttore Generale dell’OMC (la nomina della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala si è finalmente sbloccata) dovrebbero creare le condizioni per una ripresa del dialogo sulle principali questioni di politica commerciale attualmente sul tappeto. La Presidenza italiana del G20 è un’ulteriore occasione per stimolare un dibattito su questi temi, con uno sguardo al futuro per far sì che operatori economici e cittadini possano godere delle opportunità in arrivo grazie a una maggiore condivisione internazionale di regole e responsabilità