È ancora alta tensione al confine tra Russia e Ucraina. Ma la minaccia di sanzioni a Mosca non rassicura Kiev che teme ‘l’effetto Afghanistan’.
Quello in corso nel Donbass “sembra un genocidio”: parola di Vladimir Putin che si è espresso così a proposito della situazione nella regione nell’est dell’Ucraina durante un incontro citato dall’agenzia di stampa russa Tass. L’escalation delle ultime settimane alla frontiera contesa tra Mosca e Kiev – al centro di una telefonata tra il presidente USA Joe Biden e lo stesso Putin appena due giorni fa – non è ancora scongiurata. E anzi il leader americano e i partner europei hanno minacciato “sanzioni senza precedenti” nei confronti di Mosca in caso di aggressione. A scatenare la crisi sono stati rapporti dell’intelligence USA secondo cui la Russia starebbe ammassando truppe lungo la frontiera con l’Ucraina, per sferrare un’invasione a gennaio 2022, forte dell’impiego di 175mila militari. Una serie di rilevamenti e foto satellitari attesterebbero la presenza di 50 battaglioni a ridosso del confine, a cui si sarebbero recentemente aggiunti carri armati ed artiglieria pesante. Una crisi non troppo diversa da quella dell’aprile scorso, e all’origine della quale ci sono come sempre i timori da parte di Mosca di un allargamento della Nato a est. Nel corso di una telefonata con l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky, Joe Biden ha ribadito infatti che gli Stati Uniti sostengono l’aspirazione di Kiev a diventare membro della Nato. Secondo indiscrezioni riportate dall'Associated Press, tuttavia, il presidente americano avrebbe cercato di convincere Zelensky a cedere parte delle aree del Donbass già in mano ai separatisti filorussi.
Una promessa avventata?
Quello che il NewYork Times ha definito “il dilemma ucraino” affonda le sue radici nel vertice di Bucarest del 2008. Un incontro al quale l’allora presidente americano Gorge W. Bush arrivò con l’intenzione di tendere una mano alle due ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina per favorire la loro adesione alla Nato. Di fronte alla contrarietà di buona parte dell’Europa occidentale gli Stati uniti ripiegarono sulla ‘politica della porta aperta’: la promessa che prima o poi i due stati sarebbero potuti entrare nell’Alleanza, senza tuttavia specificare come e quando. “Il compromesso di Bucarest è stato il peggiore accordo che si potesse immaginare – afferma Carl Bildt, ex primo ministro e ministro degli Esteri svedese –, ha creato aspettative che non sono state soddisfatte e paure esagerate. È stato un espediente dell’ultim’ora con gravi conseguenze nel lungo periodo”. Sarebbe stato meglio, osserva Lawrence Freedman, professore emerito al King's College di Londra, se la Nato avesse “trovato altri modi per sostenere la Georgia e l'Ucraina” e non avesse promesso loro l'adesione. Molto probabilmente infatti, Kiev non sarà mai integrata nell’Alleanza, “ma non possiamo metterlo per iscritto in un trattato”, come chiede Putin. Gli Stati Uniti hanno introdotto una politica della porta aperta ed è da allora che le mosse del Cremlino nei confronti dell’Ucraina sono volte a chiuderla.
Uno status quo inaccettabile?
“Isteria dell’Occidente”: con queste parole il Cremlino ha derubricato i timori e le accuse di un’invasione imminente. Secondo Mosca, la crisi nel Donbass si sta aggravando e qualsiasi “provocazione” da parte delle autorità di Kiev per risolvere la situazione con l’uso della forza “sarà stroncata”. Il messaggio di Putin è chiaro: Mosca è irritata per lo stallo nell’attuazione degli Accordi di Minsk e non tollera la presenza di infrastrutture militari della Nato e le esercitazioni che le forze armate occidentali svolgono nel Mar Nero. Per questo, secondo alcuni analisti, quello in atto dalla Crimea alla Bielorussia, passando per il Donbass, non sarebbe altro che una mossa per mostrare i muscoli all’Occidente affinché interrompa la propria espansione verso i paesi del vecchio Patto di Varsavia. “A chi osserva da Mosca – scrive Maxim Samorukov del Carnegie Moscow Center – la Russia non sembra volersi assumere l’ingrato compito di occupare l’Ucraina, ma piuttosto convincere l’Occidente di essere pronta a entrare in guerra pur di cambiare uno status quo che considera inaccettabile”.
Su Kiev l’ombra dell’Afghanistan?
A complicare le cose è l'incertezza europea su come gestire le nuove minacce di Putin. I 27 dipendono dalla Russia per gran parte delle loro forniture di energia e rischiano di trovarsi a corto di carburante se le relazioni con Mosca dovessero ulteriormente deteriorarsi. Per Putin, se di scommessa si tratta, questa è calcolata: sa che i costi di una guerra in Ucraina sarebbero ingenti, ma è necessario mostrarsi disposto a sostenerli. Il presidente russo punta sul fatto che il Cremlino si preoccupi del suo vicino più di quanto non siano disposti a fare gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La prima per questioni di realpolitik, e la seconda per concentrarsi sulle sue nuove priorità in Asia. Rispetto al passato infatti, come ha insegnato la lezione afghana, Washington potrebbe aprire al compromesso in un’area che non considera più strategica per i suoi interessi. Quanto basta per giustificare il nervosismo di Kiev che, come ha scritto Vladislav Davidzon su Foreign Policy, “teme di essere la prossima sulla lista”. Dopo la recente firma del trattato di integrazione tra Russia e Bielorussia, il paese è ormai quasi circondato da confini controllati da Mosca, o suoi vassalli: la Bielorussia a nord, la Russia a est e a sud fino alla Crimea occupata e alla regione separatista della Transnistria in Moldova. “Non siamo in grado di respingere un attacco russo, e anche se molte nazioni si sono impegnate ad aiutarci – osserva Ihor Romanenko, generale in pensione ed ex vice capo di gabinetto dell'Ucraina – sappiamo che nessuno ha veramente intenzione di combattere per noi”.
Il commento
Di Eleonora Tafuro Ambrosetti, Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale, ISPI
"In tutta questa crisi, in molti sembrano chiedersi dove sia l’UE. Bruxelles fornisce un'assistenza sostanziale agli sforzi di riforma ucraini, mentre la Germania e la Francia hanno giocato un ruolo importante nei colloqui di pace. Eppure, Mosca percepisce che a contare veramente sono gli USA e ha cercato – ottenendolo - un canale diretto con Washington. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano fornito più di 2,5 miliardi di dollari in assistenza militare all'Ucraina dal 2014 e siano pesantemente coinvolti nella crisi, nonostante in precedenza avessero lasciato che fosse l'UE ad affrontarla, è servito a rafforzare questa percezione. Ma l’UE sarebbe in prima fila a subire le conseguenze di un’escalation del conflitto: il costo dell’inerzia europea è, dunque, potenzialmente enorme".
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)