Ieri pomeriggio, il presidente del Kosovo Hashim Thaci ha annunciato le proprie dimissioni dopo che il Kosovo Specialist Prosecutor’s Office all’Aja ha confermato nei suoi confronti il rinvio a giudizio per crimini di guerra e contro l’umanità commessi quando era comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK). La richiesta, indirizzata anche all’ex presidente del parlamento Kadri Veseli, era stata pubblicata lo scorso 24 giugno, scatenando un piccolo terremoto geopolitico: Thaci era in viaggio verso la Casa Bianca, dove avrebbe incontrato il presidente serbo Aleksandar Vucic, per quello che veniva anticipato come “accordo storico” tra Kosovo e Serbia. Il meeting venne posticipato e nel frattempo è successo di tutto, nei Balcani e non solo: l’incontro alla corte di Donald Trump si è tenuto a inizio settembre, ma ha ben poco di storico, anche se il presidente USA l’ha spacciato come tale in vista delle elezioni; la Serbia, invece, nonostante un parlamento monocolore in cui Vucic controlla 243 deputati su 250, ci ha messo quattro mesi per formare un nuovo governo e l’autoritarismo di Belgrado oggi è più forte che mai. Entrambe le cose avranno un’influenza diretta sul futuro del dialogo tra Belgrado e Pristina, mentre le dimissioni di Thaci potrebbero portare a un nuovo ciclo della politica kosovara e regionale.
Thaci, “il serpente”
Hashim Thaci è stato uno dei più importanti comandanti dell’UCK, l’esercito che nel 1998-99 combatté per l’indipendenza dalla Serbia di Slobodan Milosevic. In quel periodo divenne popolare col nome di battaglia Gjarpëri, il “Serpente”.
Il Tribunale speciale per il Kosovo istituito nel 2015 ha confermato contro di lui e Veseli le accuse per crimini di guerra e contro l’umanità: si citano almeno 100 omicidi di serbi, rom, albanesi e oppositori politici. Il dossier giudiziario di Thaci è andato arricchendosi dalla fine della guerra, durante la quale si sospetta abbia gestito traffici d'armi, droga e perfino di organi umani. Il presidente dimissionario finì nel mirino del Consiglio d'Europa nel 2010 e prima ancora dell’ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (TPIJ), Carla Dal Ponte. Ma all’epoca le accuse contro di lui non ebbero alcun seguito giudiziario. La Kosovo Specialist Chambers per cui il procuratore speciale ha raccolto e formulato le accuse dello scorso giugno fu costituita in seguito al rapporto del Consiglio d’Europa redatto dal consigliere Dick Marty, in cui si sollecitava un’indagine sui crimini compiuti dall’UCK nel conflitto in Kosovo. L’ufficio del procuratore giustificò la richiesta di rinvio a giudizio sostenendo che Thaci e Veseli ostacolarono il lavoro d’indagine della corte: “Con queste azioni – si legge nel comunicato – Thaci e Veseli hanno messo i loro interessi personali davanti alle vittime dei loro crimini, dello stato di diritto e di tutto il popolo del Kosovo”.
Fino a ieri, Thaci è stato il politico più influente del giovane paese balcanico: prima di essere presidente era già stato primo ministro tre volte. Ed è stato quasi sempre lui a guidare il dialogo per la normalizzazione dei rapporti con Belgrado mediato dall’Unione Europea, arrivando persino a ipotizzare uno scambio di territori con la Serbia. La scorsa primavera architettò la caduta del primo governo guidato dal leader di Vetevendosje Albin Kurti, portando non solo a un nuovo esecutivo, ma al ritorno degli Stati Uniti nel dossier balcanico.
Cosa cambia a livello locale e regionale
Ora la presidenza viene assunta dalla presidente del parlamento Vjosa Osmani. Ex deputata della Lega Democratica del Kosovo (LDK) e oppositrice di Thaci, Osmani avrà sei mesi per far eleggere un nuovo presidente all’assemblea. Tre tentativi a disposizione: due con maggioranza di due terzi; altrimenti maggioranza semplice tra i due candidati più votati nelle precedenti consultazioni. Se non si elegge un nuovo capo dello stato, si va al voto. Un’opzione caldeggiata da Vetevendosje, movimento di sinistra che da mesi va forte nei sondaggi ed è in cerca di riscatto dopo quello che considera un torto subito per volere dello stesso Thaci; per il Kosovo sarebbero le terze elezioni anticipate di fila (dopo quelle del 2017 e 2019). Non un sintomo di stabilità, ma la temporanea uscita di scena di Thaci offre a Pristina la possibilità di ripensare il processo di normalizzazione dei rapporti con la Serbia, che finora è stato totale appannaggio dei due capi di stato.
Invece che normalizzare i rapporti commericali tra Belgrado e Pristina, il non-accordo sottoscritto alla Casa Bianca lo scorso settembre ha solo alimentato la retorica di paciere internazionale che Trump ha sfruttato in campagna elettorale, dando una forte spallata alla politica estera di Bruxelles che dal 2013 guida il suddetto processo. I governi di Kosovo e Serbia – che a Washington non hanno firmato nulla di congiunto, non si sono lasciati con alcunché di vincolante a livello bilaterale, né si sono stretti la mano – sono stati spettatori, invece che protagonisti. E alla Casa Bianca di storico ci sono state solo gaffes, brutte figure e mezzi incidenti diplomatici.
Un eventuale ritorno al governo di Vetevendosje, con Thaci impegnato a difendersi all’Aja e con le presidenziali USA quasi archiviate, potrebbe spostare il baricentro del dialogo a livello dell’esecutivo, dove a decidere non è un uomo solo al comando. Dal canto suo, Vucic aveva in Thaci un perfetto omologo per il mantenimento dello status quo sull’ex provincia serba; a Belgrado continuerà a essere solo ed esclusivamente lui a decidere su tutto, mentre contemporaneamente a Bruxelles giocherà il ruolo di garante della stabilità nella regione. Un gioco delle parti che un nuovo esecutivo di Pristina potrebbe non più sostenere.