Con un comunicato dello scorso 5 giugno, la ministra della Difesa francese Florence Parly ha annunciato la morte di Abd al-Malik Droukdel, leader di al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (AQMI), e di alcuni suoi stretti collaboratori – tra cui Toufik Chaïb, responsabile delle attività di propaganda –, avvenuta lo scorso 3 giugno. Le forze speciali francesi (aeree e terrestri) hanno intercettato ed eliminato l’emiro algerino a Talahandak, alcune decine di chilometri da Tessalit, non lontano dal confine tra Mali e Algeria.
La morte di Droukdel: interrogativi e questioni aperte
Le circostanze dell’uccisione di Droukdel hanno colto molti di sorpresa. Non è del tutto chiaro dove si trovasse prima del raid francese: se in Algeria, da dove per anni ha guidato il jihad regionale, o in Libia, dove potrebbe essersi trasferito per sfuggire alla crescente pressione militare esercitata dalle autorità algerine. Dubbie anche le ragioni che avrebbero convinto Droukdel a spingersi in territorio maliano, esponendosi al rischio di diventare un target per le forze di contro-terrorismo dispiegate nell’area. Diverse fonti parlano di un summit convocato da Iyad ag Ghali, emiro tuareg a capo del principale network affiliato ad al-Qa’ida in Mali, a cui Droukdel avrebbe dovuto prendere parte. Altre ipotizzano che la presenza di Droukdel in Mali si spieghi guardando alle dinamiche di conflitto che, nel Sahel centrale, oppongono le forze legate ad al-Qa’ida alle organizzazioni affiliate al cosiddetto Stato islamico (IS). I gruppi jihadisti hanno sviluppato a lungo forme di pacifica coabitazione nella regione, facendo del Sahel un’eccezione nel panorama del jihad globale, caratterizzato da manifestazioni conflittuali violente tra organizzazioni qaidiste e franchise locali dello Stato islamico. Nell’ultimo anno, tuttavia, le ragioni di scontro, probabilmente alimentate da logiche di controllo territoriale, si sono amplificate, scatenando un conflitto aperto tra attori locali affiliati a network diversi. Secondo alcune speculazioni, Droukdel si sarebbe mosso in prima persona per negoziare la cessazione delle ostilità con i rappresentanti di ISWAP (Islamic State in West African Province), la cui filiale saheliana ISGS (Islamic State in the Greater Sahara), nata da una scissione interna a un gruppo qaidista, è guidata dal sahrawi Adnan Abu Walid al-Sahrawi.
Considerata – prematuramente – da molti il segnale della fine di AQMI e del jihad algerino, la dipartita dello storico leader jihadista algerino potrebbe però rappresentare un duro colpo per la capacità di AQMI di giocare un ruolo di primo piano nelle dinamiche di crisi nella regione. Già da tempo, la centralità dell’organizzazione algerina in Sahel sembrerebbe essersi ridimensionata, in favore di un rafforzamento della componente saheliana del jihad qaidista: è plausibile che la morte di Droukdel possa consolidare questa tendenza.
Le origini di AQMI e la presenza in Sahel
Erede dei gruppi armati in lotta contro il regime militare di Algeri nel corso della guerra civile degli anni ’90, la nascita di AQMI risale, formalmente, alla metà degli anni 2000. Nel 2004 la morte di Nabil Sahrawi, leader del Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat (GSPC), sancì l’inizio di una lotta di potere interna all’organizzazione, da cui emerse la figura di Abd al-Malik Droukdel, autoproclamatosi emiro nazionale. Sotto la leadership di Droukdel, laureato in chimica e arruolatosi giovanissimo tra i ranghi del Groupe Islamique Armée (GIA) come artificiere, il processo di avvicinamento del GSPC ad al-Qa’ida, già in corso da alcuni anni, subì un’accelerazione decisiva. Nel 2006, insieme ad al-Zawahiri, numero due dell’organizzazione fondata da Osama bin Laden, Droukdel formalizzò l’adesione del GSPC ad al-Qa’ida Centrale. La cellula algerina assunse nel gennaio del 2007 la denominazione di al-Qa’ida au Maghreb Islamique (AQMI).
Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico ha rappresentato per un decennio il centro di gravità delle attività jihadiste in Sahara e Sahel. La penetrazione dell’organizzazione armata nel nord del Mali fu favorita dalla debolezza del controllo statale su territori periferici e prevalentemente desertici, dalla capacità di sfruttare – direttamente o indirettamente – le reti di traffico illecito per estrarne risorse finanziarie, dall’attivazione di processi di socializzazione con le comunità locali. Condizioni generalmente favorevoli hanno fatto da sfondo alla scelta strategica di AQMI di concentrare una parte rilevante delle proprie attività nella regione e di coniugare gli obiettivi locali, come la lotta contro il regime algerino e gli stati apostati della regione, a quelli globali, cioè la lotta contro l’Occidente, adattando le proprie strategie d’azione alla logica qaidista che opponeva near enemy e far enemy. Se la leadership centrale di AQMI restava basata in Algeria, nella regione della Cabilia, da dove Droukdel coordinava gli attacchi contro il regime dell’ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, le operazioni jihadiste in Sahara-Sahel furono condotte principalmente da Abd al-Ḥamid Abu Zayd e Mokhtar Belmokhtar, alla guida delle brigades du Sahara di AQMI.
AQMI nella crisi in Mali
La crisi in Mali del 2012 e l’occupazione dei territori dell’Azawad da parte di una coalizione di gruppi salafiti-jihadisti mise in luce il peso dell’organizzazione guidata da Droukdel sugli equilibri securitari nella regione. I mujahidin di AQMI consolidarono il controllo sulla città di Timbuctu, dove l’organizzazione aveva stabilito la propria base operativa in Sahara-Sahel dai primi anni 2000, sviluppando una strategia di penetrazione sociale basata sulla promozione di alleanza claniche e l’elaborazione di un sistema informale di welfare a beneficio delle popolazioni locali. Ad AQMI spettava, inoltre, il coordinamento delle politiche messe in atto nei territori occupati dagli altri attori jihadisti, Ansar Dine e il Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest (MUJAO). Nell’esercizio di una funzione di supervisione, Droukdel indirizzò ai partner precise linee guida per l’istituzione di uno Stato Islamico in Azawad, raccomandando di rinunciare inizialmente a una rigida applicazione della sharia per guadagnare il consenso delle popolazioni locali attraverso l’adozione di politiche che rispondessero ai loro bisogni.
L’intervento francese del 2013 costrinse gli insorti jihadisti a rinunciare ai progetti di controllo territoriale, consentendo allo stato maliano di ripristinare l’integrità del territorio. La presenza delle organizzazioni armate legate ad al-Qa’ida nella regione fu ridefinita, secondo forme e con modalità d’azione diverse. La regionalizzazione del dispositivo militare francese nei territori saheliani tra Mauritania e Ciad, passando per Mali, Niger e Burkina Faso (“Opération Barkhane”) si sviluppò parallelamente a quella dei gruppi jihadisti, che ampliarono il raggio d’azione al di là del Mali settentrionale.
L’africanizzazione del jihad saheliano
Nel 2017, una riorganizzazione interna alla galassia qaidista saheliana vide la costituzione del Groupe de Soutien à l’Islam et aux Musulmans (GSIM), sotto la leadership del maliano Iyad ag Ghali: ne facevano parte Ansar Dine, al-Murabitun – organizzazione fondata da Belmokhtar, fuoriuscito da AQMI nel 2012 –, la katiba Macina e l’Emirato di Timbuctu, katiba sahariana di AQMI. Di fatto, AQMI ha continuato in questa fase ad accreditare la propria presenza nelle traiettorie di crisi in Sahel, benché il primato dell’organizzazione sia stato messo in discussione dagli sviluppi sul terreno. Un anno fa l’eliminazione di Yahya Abu al-Hammam (aka Djamel Okacha), a capo della componente di AQMI in seno al GSIM, nel corso di un’operazione di counter-terrorism delle forze francesi, ha accelerato la graduale perdita di centralità di AQMI nella regione. Il progressivo spostamento del baricentro della crisi securitaria verso il Mali centrale e l’area del Liptako-Gourma, al confine con Niger e Burkina Faso, si è accompagnato a una crescente preminenza di attori locali. Le due principali figure di leadership del GSIM, Iyad ag Ghali e Amadou Koufa, sono maliani con profonde connessioni locali e interessi etnici e territoriali. La dipartita dell’ultimo leader algerino di AQMI potrebbe aver tracciato l’approdo conclusivo di un processo di “africanizzazione” del jihad in Sahel.
Uno scenario di crisi complesso
L’operazione di contro-terrorismo delle forze speciali segna un successo senza dubbio importante per Parigi, ottenuto anche grazie alle informazioni fornite dai servizi di sorveglianza aerea statunitensi. Solo pochi mesi fa, il presidente francese Emmanuel Macron aveva rinnovato l’impegno della Francia a supporto degli stati della regione durante il vertice di Pau, alla presenza dei capi di stato del G5, deliberando l’incremento delle unità di Barkhane (5.100), l’istituzione di un comando congiunto tra Barkhane e la Joint Force del G5 Sahel, e il dispiegamento di una divisione speciale di forze europee, la task force Takouba. Nonostante il successo del raid francese, tuttavia, la situazione nel Sahel centrale resta particolarmente grave: alla moltiplicazione degli attacchi jihadisti nei confronti delle popolazioni civili nella regione delle “tre frontiere” fa da contraltare la repressione spesso indiscriminata delle forze di sicurezza nazionali, che contribuisce ad alimentare manifestazioni di estremismo violento e processi di reclutamento in seno ai gruppi jihadisti. E la morte di Droukdel, probabilmente, non inciderà concretamente su queste dinamiche.