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Commentary
Dopo il voto slovacco l’Est Europa è sempre più a destra
08 marzo 2016

Il voto slovacco ha segnato una svolta del paese, una sterzata verso destra, accentuata dall'ingresso in parlamento del partito più estremo "La Nostra Slovacchia". Il significato di un voto così fortemente marcato è da ricercare in un malcontento che investe molti ambiti della politica interna del paese, ma che ha conseguenze rilevanti su tutta l'Europa. Soprattutto se si considera che la Slovacchia assumerà la presidenza di turno dell'Ue da luglio. A confermare una situazione delicata è poi la posizione già espressa dal paese di voler difendere con fermezza le frontiere slovacche ed europee dai migranti; posizione non indifferente quando è sempre più imminente il dibattito sulla riforma del regolamento di Dublino.


Gli aspetti salienti del risultato del voto slovacco sono la virata a destra e la difficoltà di formare il nuovo governo. Come previsto lo Smer-Sd, partito socialdemocratico del primo ministro Robert Fico, è arrivato primo ma, sempre come da previsioni, senza stravincere. Quattro anni fa aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari e di conseguenza la possibilità di formare un esecutivo monocolore che è quello col quale la Slovacchia è andata al voto lo scorso 5 marzo. Stavolta lo Smer-Sd ha conseguito un risultato anche inferiore a quello pronosticato alla vigilia delle elezioni. Immediatamente dietro di sé ha diversi partiti di destra e centro-destra. Ma impressiona soprattutto il primo ingresso in Parlamento del partito di estrema destra ĽNaše Slovensko (La Nostra Slovacchia) che ottiene quattordici seggi all’Assemblea nazionale. L’episodio è stato definito una sorta di “terremoto” da alcuni osservatori slovacchi. Esso mostra il bisogno di radicalità o, per lo meno, di soluzioni radicali espresso da una parte dell’elettorato slovacco – secondo una tendenza che negli ultimi tempi si è diffusa considerevolmente in tutta Europa – a fronte di problemi economico-sociali e non solo. Pesa l’assenza di garanzie per il futuro e spaventa l’incognita che caratterizza l’esistenza di buona parte della popolazione.

La scelta di votare per La Nostra Slovacchia e in generale per la destra è una risposta a questi disagi. La disoccupazione continua ad essere un problema rilevante ed evidentemente la crescita economica descritta dagli indici relativamente al 2015 non si è tradotta in un benessere maggiormente diffuso. Si può pensare che una parte significativa dell’elettorato si aspettasse qualcosa di più dal governo.

L’esito del voto slovacco presenta dei risvolti critici anche in chiave europea, soprattutto se consideriamo che il paese dovrà assumere la presidenza di turno dell’Ue il primo luglio. E si avvicina alla scadenza in questione con un orientamento tutt’altro che filoeuropeo, soprattutto in ambito migranti. Un orientamento che rispecchia quello di diversi altri paesi centro-orientali e in modo particolare del Gruppo di Visegrád (V4). La crisi migranti è stata al centro della campagna elettorale del partito di governo il quale è quello che, all’interno del V4, ha espresso insieme all’Ungheria le posizioni più radicali sul modo di concepire la gestione dell’emergenza. Con Fico Bratislava si è avvicinata a Budapest – complice proprio la crisi migranti – mettendo da parte i tradizionali dissapori tra i due paesi che vedono al centro le vicende della minoranza ungherese di Slovacchia la quale, secondo il censimento del 2011, rappresenta l’8,5% della popolazione.

Fico mantiene un atteggiamento di ferma critica nei confronti della politica Ue sul fronte migranti e respinge con particolare risolutezza, insieme al premier ungherese Viktor Orbán, il sistema delle quote obbligatorie di accoglienza. Come il suo vicino ungherese, il primo ministro slovacco ha fatto leva sulle inquietudini provate da buona parte della popolazione a fronte del fenomeno migranti che dall’esecutivo è visto come legato in qualche modo a quello del terrorismo internazionale. Ha giocato la carta della sicurezza nazionale sulla base di un calcolo politico e il suo partito è arrivato primo ma ha perso voti rispetto agli anni scorsi. Li ha persi a favore delle destre che in fasi di crisi come quella che stiamo attraversando ottengono spesso buoni risultati sul piano del consenso popolare. In Slovacchia come altrove, soprattutto le destre più radicali, forniscono risposte facili e tesi semplificate per indicare il percorso verso la soluzione dei problemi che affliggono un paese. Promettono sicurezza, difesa del territorio e della sovranità nazionale e osteggiano i principi a loro avviso falsamente solidaristici dell’Ue in ambito migranti.

La Slovacchia si avvicina quindi in una situazione problematica e delicata alla data del 16 marzo, quando la Commissione europea riferirà in merito alla riforma del regolamento di Dublino “basata proprio sull’obiettivo della solidarietà e della ripartizione equa degli oneri fra stati membri”. Niente di strano che le autorità di Bratislava, da tempo ormai attestate su posizioni favorevoli al criterio della fermezza nella difesa dei confini nazionali e della stessa Europa, e contrarie a un approccio più solidale all’emergenza migranti, confermino o accentuino questo orientamento anche per ingraziarsi il favore di un elettorato spostato a destra e intento a chiedere ancora più attenzione ai problemi e ai “diritti” della popolazione. 

Massimo Congiu, storico, giornalista e direttore dell'OSME

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