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Commentary

Dopo L’Avana, Caracas nel mirino di Washington

20 luglio 2015

La caduta dell'ultimo muro, quel muro d'acqua che separa Miami da L'Avana, gli Stati Uniti da Cuba, ha molti padri: Raúl Castro e Barack Obama, ma anche Fidel, il Papa e persino la lobby economica della Florida ormai convinta dell'inutilità dell'embargo, in vigore da oltre 50 anni. Ma come spesso è accaduto nelle vicende dell'isola caraibica «la causa es la economia», omologo cubano dell'inglesismo «It's the economy, stupid». In altre parole è la crisi venezuelana a essere stata determinante, Cuba non può permettersi di dipendere troppo dalle velleità bolivariane di Nicolás Maduro, presidente del Venezuela, erede poco carismatico di Hugo Chávez.  

L'affanno di Caracas ha quindi provocato l'accelerazione di quel processo di avvicinamento che peraltro dura da anni. L’Avana, da quasi tre lustri, riceve ogni giorno 110mila barili di greggio, che garantiscono il funzionamento dei servizi essenziali di Cuba. Il governo di Raúl – e prima ancora quello di Fidel – rivendono una parte del greggio, a prezzi di mercato, ad altre isole caraibiche incassando un ulteriore dividendo.

Il crollo del prezzo del petrolio, che veleggia attorno ai 60 dollari, spinge il Venezuela sull'orlo del collasso economico. L'inflazione supera il 80%, l'attività produttiva è paralizzata, i beni di consumo più elementari scarseggiano da più di un anno. Ecco quindi che se il Venezuela, paese-pilastro dell'Alba, l'Alleanza bolivariana per le Americhe, (Venezuela, Bolivia, Cuba, Ecuador, Nicaragua) vacilla, è necessario per Cuba riaprire un canale di comunicazione verso Nord. La diplomazia cubana ha saputo vendere bene il messaggio mediatico, «impareremo a convivere con le nostre differenze» ha detto ieri Raúl, incassando uno storico «somos todos americanos» di Obama. Ma il riavvicinamento è innanzitutto una questione di sopravvivenza. Un'economia al collasso 

La recessione del Venezuela e lo spiraglio cinese – Il Venezuela di Maduro non riesce a risollevarsi dal baratro della recessione, tanto da intravedere lo spettro del default. Le difficoltà del governo si moltiplicano mese dopo mese e ora, da Palacio Miraflores, le richieste di aiuto rivolte alla Cina si fanno più esplicite. Pechino risponde, attratta più che mai dalle mire espansionistiche d'interessi economici sempre più diffusi. Anche per questo ha messo sul piatto di Caracas investimenti pari a 17 miliardi di euro. Una somma ingente che verrà spesa in progetti energetici, industriali e di sviluppo sul territorio venezuelano. Una parte di questi investimenti, secondo alcune fonti, è una linea di credito mascherata. Il numero uno di Pechino, Xi Jinping, ha incontrato nella capitale cinese, pochi mesi fa, il presidente venezuelano Maduro e insieme hanno dichiarato di aver deciso di rafforzare la loro cooperazione da quest'anno. La Cina è il principale investitore e il secondo cliente per il petrolio del Venezuela, con 640mila barili al giorno. La Cina ha accordato al Venezuela, dal 2007, in prestiti a lungo termine per 42 miliardi di dollari. Maduro ha bisogno di un'importante iniezione di denaro, la pressione dell'opposizione potrebbe diventare un problema se la situazione economica dovesse continuare a deteriorarsi. «Noi abbiamo un'ottima notizia da diffondere: riguarda la cooperazione che aumenterà quest'anno» ha detto Maduro, aggiungendo che la stessa «sarà rafforzata sulla base della formula di successo che abbiamo costruito».

Il disgelo tra Usa e Cuba e il timido dialogo tra Washington e Caracas – La riapertura delle ambasciate di Cuba e Stati Uniti è il penultimo tassello di un quadro che raffigura uno scenario nuovo. L'ultimo tassello sarà l'abolizione dell'embargo verso Cuba che però dovrà essere votato al Congresso. Intanto, però, qualcosa si muove, come fosse una triangolazione diplomatica (Cuba, Venezuela e Stati Uniti), lontano dai grandi riflettori della politica internazionale. Molti passi avanti, rispetto allo scorso marzo, sono stati fatti. L'accusa di narcotraffico, mossa dagli Stati Uniti al presidente dell'Assemblea nazionale venezuelana, Diosdado Cabello, ha segnato l'apice della crisi dei rapporti bilaterali. Ora però qualcosa si muove e i fili del dialogo tra i due paesi sembrano riannodarsi. Delcy Rodriguez, ministro degli Esteri di Caracas e proprio Cabello hanno incontrato alti rappresentanti della politica americana ad Haiti, in occasione di un vertice a Port au Prince sugli aiuti alimentari destinati all’isola caraibica. Non solo. A Panama, Obama e Maduro, si sono incontrati qualche minuto, lontano da fotografi e giornalisti.  E infine, proprio in questi giorni, due importanti organismi sovranazionali, Osa (Organizzazione degli stati americani) e Unasur (Unione della Nazioni sudamericane) lavorano per favorire il dialogo tra Stati Uniti e Venezuela. Dopo l'Iran e Cuba, l'ultimo muro d'acqua potrebbe cadere, pur lentamente è quello tra Venezuela e Stati Uniti. Due paesi, distanti nella politica, che però sono legati da forti interessi economici.

Roberto Da Rin, è corrispondente de Il Sole 24 Ore

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