Il mondo che verrà: dopo le proteste a Hong Kong
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Il mondo che verrà: 10 domande per il 2020

Dopo le proteste a Hong Kong

Andreas Fulda
26 Dicembre 2019

Un emendamento a una legge sull’estradizione. La classica goccia che fa traboccare un vaso che dalla fine del mandato britannico va riempiendosi. La protesta di Hong Kong è infatti molto di più.

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Nel 2019 il movimento per la democrazia di Hong Kong ha mostrato di che tempra è fatto. La popolazione di Hong Kong ha un'opportunità davvero unica di liberarsi dal controllo del Partito Comunista Cinese (PCC). Tuttavia, perché ciò si verifichi non basta sperare nella fine improvvisa del regime autocratico di partito della Cina continentale. Al fine di completare il lungo percorso verso l'autodeterminazione, gli attivisti democratici di Hong Kong devono riflettere sulle proprie strategie di riforma, sviluppare un progetto ambizioso di democratizzazione e attuarlo con decisione.

Sono ottimista in merito al futuro politico di Hong Kong. La popolazione locale ha mostrato grande resilienza di fronte alle avversità politiche. Il 31 marzo 2019 una manifestazione organizzata dal Civil Human Rights Front contro il discusso disegno di legge sull'estradizione aveva attirato solo 12.000 partecipanti. Eppure questa protesta su piccola scala ha comunque scatenato un sollevamento di popolo. Kong Tsung-gan, attivista di grande esperienza, ha documentato 746 dimostrazioni negli ultimi otto mesi. Secondo Kong, quasi 13 milioni di persone hanno partecipato alle proteste, grandi o piccole che fossero. Questo dato rappresenta quasi il doppio della popolazione di Hong Kong pari a 7 milioni di persone.

Sono ottimista perché lo stato monopartitico della Cina Continentale è ora più vulnerabile che mai. Internamente, i vertici del PCC sono sempre più paranoici e mostrano chiari segni di una mentalità iper difensiva. La reazione del segretario generale Xi Jinping di fronte alle differenze di natura etnica, culturale, religiosa e ideologica è ora sempre la stessa, che si tratti del Tibet, di Hong Kong, di uiguri, cristiani, musulmani, accademici, avvocati che lavorano per l'interesse pubblico o giovani politicizzati: tutti vengono sistematicamente perseguitati. Anche a livello internazionale, lo stato monopartitico è sulla difensiva. Il pezzo forte della politica di Xi, la Belt and Road Initiative, stenta a decollare ed è stata ampiamente criticata come una forma di colonialismo economico. La guerra dei dazi con gli USA ha portato alla più bassa crescita economica riscontrata in Cina da decenni. Si nota altresì una crescente opposizione internazionale a coinvolgere il colosso cinese dell'IT Huawei nello sviluppo delle reti 5G. Questi sono cattivi auspici per una leadership del PCC sempre più nervosa che si affida pesantemente alla crescita dell'economia per sostenere il suo regime non democratico. 

La popolazione di Hong Kong, al contrario, ha sfidato il governo centrale con successo. Il 24 novembre 2019 ha inviato un messaggio politico forte votando a stragrande maggioranza per i democratici nelle elezioni locali per rinnovare i consigli di distretto. Il risultato è stato un duro colpo per i propagandisti del PCC. Non potevano più affermare che la presunta "maggioranza silenziosa" fosse contraria alle proteste. Inoltre, a seguito di anni di lobbying da parte dei pan-democratici di Hong-Kong, il Congresso e il Senato americani hanno approvato il Hong Kong Human Rights and Democracy Act (HKHRDA), firmato il 27 novembre 2019 dal presidente Trump. Questa nuova legge consentirebbe all'amministrazione americana di valutare ogni anno se l'autonomia di Hong Kong venga sufficientemente rispettata dal governo centrale cinese. Se venisse riscontrata una carenza su questo fronte, Hong Kong non solo rischierebbe di perdere i suoi privilegi economici, ma la governatrice Carrie Lam, i suoi ministri e altre figure apicali delle forze di polizia di Hong Kong, sempre meno rispettose della legge, potrebbero essere colpite da sanzioni in stile Magnitskij.

Tuttavia, mentre il movimento dei pro-democratici ha vinto alcune battaglie, la lotta di Hong Kong per la democrazia è ancora ben lungi dall'essere finita. Il principale tallone d'Achille del movimento è la mancanza di consenso sugli obiettivi generali. Il PCC ha mostrato la sua determinazione a porre fine al sistema "un paese, due sistemi" (1C2S) e ad avviare una transizione verso un regime di “un paese, un sistema” (1C1S). Il governo della Royal Asiatic Society (RAS) di Hong Kong, al contrario, non è riuscito a organizzare una solida difesa contro il rischio che quest'ultima diventi come tutte le altre città della Cina continentale. Ciò significa che i cittadini di Hong Kong devono scegliere il loro obiettivo fondamentale: temporeggiare e difendere il sistema "un paese, due regimi; plasmare il sistema "un paese un sistema" secondo il modello liberal democratico di Hong Kong; o, in alternativa, lottare per l'autodeterminazione e l'indipendenza di Hong Kong? 

Ciò pone il quesito di come si possa realmente raggiungere l'obiettivo di un autogoverno democratico. Mentre scrivevo il mio libro The Struggle for Democracy in Mainland China, Taiwan and Hong Kong, ho appreso che gli attivisti democratici hanno maggiori possibilità di vincere se associano una posizione anti-establishment alla strategia del cavallo di troia e al contempo adottano una politica trans-establishment. È incoraggiante riscontrare che gli attivisti politici di Hong Kong sembrino disposti ad associare le manifestazioni di piazza all'approccio parlamentare. La prossima sfida sarà vincere l'elezione del Consiglio Legislativo a settembre 2020. A causa della struttura polico-istituzionale poco liberale di Hong Kong, sarà molto arduo per i pan-democratici riuscire persino a ripristinare la loro maggioranza di blocco. Affinché ciò si verifichi, il movimento pan-democratico, atomizzato in molte fazioni, dovrebbe unirsi sotto un unico partito-ombrello di opposizione, simile al ruolo che detiene il Democratic Progressive Party (DPP) di Taiwan dal 1986.

Per il futuro, la popolazione di Hong Kong ha un'opportunità davvero unica di liberarsi dal controllo del Partito Comunista Cinese (PCC). Affinché questo avvenga, gli attivisti democratici devono formulare una strategia di autodeterminazione che sia coerente. Per minimizzare le contromisure del PCC, questa strategia dovrà essere sviluppata in segreto. Gli strateghi del movimento dovranno possedere tre competenze essenziali: "(1) conoscenza del conflitto, degli avversari, della società e dei suoi bisogni; (2) conoscenza approfondita della natura e del funzionamento del movimento di azione non violenta; [e] (3) conoscenza e capacità di analizzare, riflettere e pianificare strategicamente". Questo significa che solo persone del posto, ben introdotte nel movimento, potranno sviluppare una strategia ambiziosa di liberalizzazione e democratizzazione. Automaticamente, ciò esclude figure esterne che non abbiano una profonda comprensione dell'amministrazione locale e della società di Hong Kong. Detto questo, gli strateghi del movimento democratico dovrebbero far proprio il consiglio dell'attivista per la pace Gene Sharp, che lancia un appello agli attivisti pro-democratici affinché "rafforzino la determinazione, l'autostima e la capacità di resistenza delle  popolazioni oppresse (...); rafforzino i gruppi sociali indipendenti e le istituzioni dei popoli oppressi; (...) creino una possente forza di resistenza interna; [e] sviluppino un piano strategico ambizioso e ben ponderato per la liberazione e lo attuino con competenza". Se gli attivisti democratici di Hong Kong ascoltassero le sagge parole di Sharp potrebbero sorprenderci nuovamente nel 2020. 

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Asia Hong Kong
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AUTORI

Andreas Fulda
University of Nottingham

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