La crisi del Covid non ha colpito tutti paesi allo stesso modo. Da tempo abbiamo capito che gli shock simmetrici hanno quasi sempre delle conseguenze asimmetriche. Se già all’interno di zone omogenee (come la zona euro) le differenze sono marcate, ciò che colpisce è soprattutto la differenza tra macroregioni. Nell’ottobre scorso il FMI nel suo World Economic Outlook prevedeva nel 2020 un calo del PIL del 5,8% per i paesi avanzati (tra questi, -8,3% per l’eurozona e -4,3% per gli Stati Uniti). I paesi del gruppo Emerging and Developing Asia hanno fatto molto meglio (-1,7%); la Cina, che ha mandato in lockdown solo la regione di Wuhan all’inizio dell’anno, riesce addirittura (sempre nella previsione del FMI) ad avere crescita positiva (+1,9%). Queste stime risalgono a prima della seconda ondata. È probabile che questa, che ha colpito in maniera più marcata Europa e Stat Uniti, aumenti ulteriormente la divaricazione. Non solo la crisi ha colpito più duramente i paesi avanzati; Il rimbalzo previsto sarà più marcato nei paesi asiatici emergenti (+6,3% nel 2021) che nell’Eurozona (+5,2%) o negli stati Uniti (+2,9%).
Non vi è nulla di sorprendente nel fatto che il tasso di crescita di paesi emergenti e in via di sviluppo sia strutturalmente più elevato di quello di paesi maturi, con stock di capitale più importanti. Il consenso tra gli economisti sulla cosiddetta convergenza (in condizioni non patologiche) è abbastanza elevato. L’Europa poi, ha avuto tassi di crescita particolarmente deludenti nello scorso decennio, causati da politiche sciagurate. La migliore performance dei paesi asiatici durante la crisi e le previsioni sul loro rimbalzo molto più marcato, invece, spingono ad interrogarsi. Cosa spiega questo maggiore dinamismo anche nella capacità di reagire ad uno shock esterno?
Possiamo intanto notare cosa non spiega la differenza in performance. Quasi tutti i paesi dell’Asia orientale hanno sostenuto l’economia con politiche monetarie e di bilancio espansive. Ma la dimensione dello stimolo macroeconomico (in particolare lo stimolo di bilancio) è di misura comparabile a quella dei paesi avanzati, e non può quindi da sola spiegare la maggiore resistenza delle economie asiatiche. Anche le dinamiche del consumo interno durante i lockdown primaverili sono state simili a quelle di altre regioni e non possono spiegare la differenza in performance.
Un fattore che ha invece giocato a favore delle economie asiatiche è la maggiore efficienza nel contenere la crisi sanitaria. In primo luogo, le autorità sanitarie hanno quasi ovunque reagito con prontezza alla crisi. Poi, una volta riportata sotto controllo la pandemia hanno messo in atto misure efficienti di test e tracciamento. Su entrambi i fronti i paesi asiatici hanno fatto meglio rispetto ad altre regioni, probabilmente a causa dell’esperienza nel fronteggiare precedenti pandemie. Il “learning by doing” è un fattore importante della produttività come l’ha fatto presente Kenneth Arrow. Per questo la seconda ondata è stata molto meno violenta quando non, come nel caso cinese, virtualmente inesistente. Così la regione ha potuto ripartire prima e, soprattutto, consolidare il rimbalzo del secondo trimestre mentre il resto dell’economia mondiale rientrava in sia pur parziali lockdown. Inoltre, la ripresa della regione è stata stimolata dal boom di esportazioni di apparecchiature e forniture mediche e sanitarie e dalle esportazioni di elettronica e prodotti per la casa, la cui domanda mondiale è aumentata durante la pandemia. Aver potuto evitare la caduta del PIL autunnale, oltre all’ovvio impatto sulla crescita dell’anno in corso, ha limitato i danni permanenti all’economia. Le economie asiatiche non hanno subito l’ondata di fallimenti che in alcuni paesi era stata evitata nel primo semestre ma sta colpendo inesorabile in questa fine d’anno. La base su cui costruire il rimbalzo del 2021, dunque, è più solida di quanto non sia in altre regioni.
Ma non tutto è roseo. La pandemia ha provocato ovunque un aumento delle disuguaglianze perché l’impatto sul mercato del lavoro è stato più violento tra i lavoratori a basso reddito. Se nei paesi avanzati e specialmente in Europa questo impatto è stato mitigato dalle misure di sostegno ad occupazione e reddito (ma fino a quando dureranno? Riusciranno a limitare l’aumento delle disuguaglianze nei prossimi anni? Il passato non ci lascia ben sperare!), nei paesi asiatici la protezione sociale è significativamente meno sviluppata.
In Asia, anche l’accumulazione di capitale umano l’investimento e quindi la crescita futura rischiano di risentire dell’insufficiente protezione dello stato sociale. Imprese e famiglie hanno dovuto far fronte ai bisogni immediati decumulando risparmi (o accumulando un debito privato che già prima della crisi era in alcuni paesi molto elevato) e sacrificando investimento in istruzione e in capitale fisico. I fallimenti d’impresa e la rottura di rapporti di lavoro consolidati potrebbero portare alla perdita di know-how e capitale intangibile e alla lunga avere un impatto sulla produttività. Se queste tendenze non si invertissero rapidamente, le prospettive di medio periodo potrebbero soffrirne. Occorre tuttavia relativizzare. La zona asiatica non è omogenea: i paesi che la compongono sono caratteristi da livelli di sviluppo diversi, e parecchi hanno un livello di capitale umano molto alto. Basta pensare alla Corea del Sud. L’impatto sull’accumulazione di capitale umano sarà quindi necessariamente diverso.
Infine, ma non da ultimo, la pandemia potrebbe lasciarci in eredità una riorganizzazione della produzione globale, in particolare con un accorciamento delle catene del valore. Se questo avvenisse, i paesi dell’est asiatico dovrebbero a loro volta riorganizzare le loro filiere produttive, un’operazione che potrebbe rivelarsi alquanto complessa.
Insomma, i paesi emergenti del continente asiatico e in particolare la Cina hanno sopportato meglio la crisi del Covid e avranno almeno nel breve periodo un rimbalzo più marcato. Tuttavia, la crisi ha esacerbato alcune debolezze strutturali di alcune di queste economie e ne ha rivelate di nuove. Anche per questi paesi il quadro dei prossimi anni è pieno di incognite.
In generale è il mondo intero ad essere su una china pericolosa, che potrebbe condurlo ad un lungo periodo di crescita stagnante e di benessere minore. Ma nulla è ineluttabile: come diceva Keynes, il nostro destino è nelle nostre mani.