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Il mondo che verrà 2022

Economia: la nuova scarsità?

Roger W. Ferguson Jr
|
Upamanyu Lahiri
22 Dicembre 2021

Il 2022 vedrà aggravarsi le difficoltà delle catene di approvvigionamento su scala globale. Perché?

 

Le difficoltà che affliggono le catene di approvvigionamento su scala globale nelle ultime settimane hanno catturato l'attenzione dei media di tutto il mondo. Il rischio è che questi problemi potrebbero protrarsi anche per i prossimi sei o dodici mesi, se non addirittura più a lungo.  

Queste problematiche in alcuni casi sono il riflesso del pesante sbilanciamento della domanda verso i beni di consumo a sfavore dei servizi, particolarmente evidente dopo le riaperture post pandemia. Un altro fattore è la drastica diminuzione della partecipazione al mercato del lavoro, che alcuni politici sostengono potrebbe risolversi nel momento in cui verrà messo da parte il timore di ammalarsi e le persone potranno tornare serenamente alle proprie occupazioni. Nelle catene di approvvigionamento, si cominciano già a intravedere i primi segnali di un possibile allentamento di questi colli di bottiglia.

Tuttavia, anche se l'attuale crisi dovesse risolversi, a livello di sistema rimane una serie di difficoltà che dovranno essere appianate volendo, in futuro, catene di approvvigionamento a livello globale più resistenti agli shock.

 

Difficoltà nel mondo dei trasporti

Le merci scaricate dalle navi che depositate nei porti, vengono bloccate senza poter raggiungere la destinazione finale hanno dimostrato in maniera evidente come fosse proprio la carenza di manodopera nel settore dei trasporti e della logistica di Stati Uniti e di altri paesi a contribuire più di qualsiasi altro fattore alle varie criticità delle catene di approvvigionamento. Sebbene sia stata la pandemia ad acuire la difficoltà nel reperire manodopera in molti settori, la mancanza di addetti nel trasporto su strada costituiva un problema anche prima del COVID. Negli Stati Uniti, tuttavia, la questione non è tanto legata all'indisponibilità di camionisti autorizzati, quanto al fatto che molti di loro preferiscano orientarsi verso lavori che offrono un salario adeguato proponendo orari e condizioni di lavoro meno pesanti. Questo spiega la grande difficoltà nel fidelizzare i lavoratori nel settore degli autotrasporti, che tra il 1995 e il 2017 ha registrato un incredibile tasso di ricambio annuo pari in media al 94 percento. Salari più alti potrebbero certo contribuire a risolvere il problema; recentemente le società di autotrasporti hanno avviato una politica di aumenti salariali per cercare di risolvere il notevole carico di lavoro arretrato nei porti che ha riportato per effetto una prima crescita nel numero di addetti del settore. Tuttavia, solo negli Stati Uniti, rimangono ancora circa ottantamila posizioni aperte. Questo potrebbe essere spiegato con il fatto che i livelli retributivi sono cresciuti parallelamente anche in altri settori.

Il salario però rappresenta soltanto una parte del problema. Le condizioni di lavoro per chi è alla guida di un camion migliorerebbero a condizione che si investisse pesantemente nelle infrastrutture. Attualmente gli autisti sono costretti a ore di attesa nei porti commerciali che da decenni richiedono interventi di manutenzione e ammodernamento, questo non solo aggrava il lavoro degli autotrasportatori, ma lorendeanche decisamente inefficiente. Negli Stati Uniti il disegno di legge sulle infrastrutture, recentemente arrivato alla firma con un appoggio bipartisan, permetterà di risolvere alcuni di questi problemi, ma non tutti. Ulteriori investimenti in infrastrutture, in aggiunta all’introduzione di salari più competitivi, non solo aiuterebbero a colmare la carenza di autisti, ma potenzierebbero anche il livello di efficienza del trasporto su gomma. I responsabili politici e i principali attori del campo sono chiamati ad adottare misure simili anche per altri settori dei trasporti, quali quello marittimo e intermodale, anch'essi ostacolati da capacità limitata e da condizioni di lavoro per gli addetti non idonee.

 

Ripensare la produzione just-in-time

La produzione just-in-time o anche definita produzione "lean", per essere avviata prevede l'ordinazione solo dei componenti indispensabili e solo quando necessario. Questo approccio ha permesso di ridurre i costi di scorte e magazzini, e ha sensibilmente aumentato i profitti. Oggi rappresenta la modalità di produzione dominante in tutto il mondo. Un approccio che non lascia spazio all’errore in quanto un ritardo in uno solo degli ingranaggi mette a rischio l'intero processo.

Il fatto che esistano comunque fattori che sfuggono al controllo dei fornitori ha fatto di questa strategia un approccio rischioso. Quanto si guadagna in termini di efficienza e velocità della supply chain, viene perso in resilienza. La pandemia ne è solo l'ultimo esempio. Le interruzioni della catena di approvvigionamento imputabili a disastri naturali costano miliardi di dollari sotto forma di fermo della produzione e mancati ricavi. È probabile che, a causa dei cambiamenti climatici, questi eventi possano diventare sempre più frequenti. Le interruzioni causate dalla pandemia e dai disastri naturali sarebbero state in ogni modo difficili da gestire, ma sono state sicuramente aggravate da una crescente dipendenza, su scala mondiale, dalla produzione just-in-time. Quando l'attuale crisi sarà ormai alle nostre spalle, le aziende dovranno ripensare il modello e iniziare a mantenere scorte che possano aumentare la loro resilienza, anche se questo, sul breve termine, dovesse tradursi in minori profitti.

 

È il momento di diversificare

La pandemia ha anche posto rinnovata attenzione sulla scottante questione della diversificazione delle catene di approvvigionamento e della riduzione della dipendenza dalla Cina, che per decenni è stata la "fabbrica del mondo". Questo tema era già oggetto di discussione prima della pandemia. Quando in Cina iniziarono a emergere i primi casi Covid-19, la chiusura delle fabbriche del paese causò immediatamente numerose interruzioni della catena di approvvigionamento a spese di tutte quelle aziende che dipendevano dalla produzione cinese. Sebbene il virus alla fine si sia diffuso su scala globale, costringendo le fabbriche di tutto il mondo a interrompere le operazioni, i primi mesi della pandemia hanno ricordato a tutti, in maniera evidente, quanto sia rischioso dipendere eccessivamente da un singolo paese o da una singola regione. La prossima crisi potrebbe toccare in modo particolare la stessa Cina; in questo momento, ad esempio, il paese ha difficoltà a produrre energia , costringendo addirittura alcuni impianti alla chiusura. Anche l’aumento delle tensioni geopolitiche sino-americane potrebbe rendere rischiosa un'eccessiva dipendenza dalla Cina. Questi motivi inducono molti osservatori a concludere che è solo reindirizzando le catene di approvvigionamento che potremo mitigare alcuni dei possibili rischi.

I paesi industrializzati dovrebbero adottare un approccio realistico in merito alla proprie capacità di riportare in patria parte della produzione allo scopo di garantire la tenuta delle catene di approvvigionamento. Questo può probabilmente essere fatto solo per produzioni tecnologicamente avanzate come la produzione di semiconduttori e batterie. La maggior parte dei paesi sviluppati probabilmente non è in grado di competere in produzioni ad alta intensità di manodopera dove l'incidenza del costo del lavoro si riveli troppo elevata. Di fronte a questa realtà, alcuni paesi hanno introdotto politiche nazionali volte a reindirizzare parte della produzione verso altri paesi con manodopera a basso costo, che non siano la Cina. Il Giappone, ad esempio, sta promuovendo il trasferimento della produzione in Vietnam e Tailandia. Anche in assenza di una politica nazionale concertata, aziende come Apple e Samsung hanno iniziato a spostare parte della produzione fuori dalla Cina. Gli Stati Uniti hanno compreso la necessità di ridurre la dipendenza da Cina e da altri paesi quando si tratta di beni strategicamente significativi, quali le terre rare. Le strategie di nearshoring potrebbero quindi permettere di moderare il legame con la Cina e al tempo stesso accorciare le catene di approvvigionamento per una serie di prodotti.

Tuttavia, nonostante l'adozione di queste misure, la Cina rimane forse l'unico paese con un costo del lavoro davvero competitivo, sufficiente disponibilità di manodopera qualificata e infrastrutture in grado di soddisfare gran parte della domanda globale di manufatti. Per questo, anche nel prossimo futuro, la Cina continuerà ad avere un ruolo centrale in tutte le catene globali di approvvigionamento. L'obiettivo non è tanto escludere la Cina dalle catene di approvvigionamento di tutto il mondo, quanto di diversificare l'offerta e ridurre l'eccessiva dipendenza da un unico paese.

 

Conoscere le catene e i rischi ad esse associati

La maggior parte delle aziende possiede un quadro incompleto delle catene di approvvigionamento, spesso frammentato e limitato alla componente dei "costi". Alcune indagini condotte da KPMG, Deloitte e del Business Continuity Institute insieme ai responsabili degli uffici acquisti (CPO) di grandi aziende hanno dimostrato che da metà a due terzi di loro non ha completa cognizione rispetto alla propria catena di approvvigionamento e quasi nessuna conoscenza della catena di approvvigionamento dei propri fornitori diretti. Di fronte a questa ammissione di mancata attenzione da parte dei CPO, per i colleghi responsabili della gestione del rischio è evidente fino a che punto le catene di approvvigionamento possano essere una fonte di grande vulnerabilità.

Dopo l'esperienza della pandemia e il riconoscimento di una limitata conoscenza e dei rischi ad essa connessi, è giunto il momento che sia l'analisi dei dati a guidare la comprensione e la gestione del rischio nelle catene di approvvigionamento. In questo senso svolgono un ruolo importante i moderni strumenti di analisi quantitativa e di catalogazione degli eventi a livello di settore. Le aziende dovrebbero considerare l'adozione di politiche formali di gestione dei rischi riconducibili ai fornitori. L'obiettivo di questo lavoro è indicare non solo la catena di approvvigionamento in grado di offrire i costi più interessanti, quanto determinare quale sia quella ottimale, ovvero quella che meglio sconta il rischio e le incertezze.

L'attuale crisi della catena di approvvigionamento, per quanto temporanea, dovrebbe sollecitare interventi mirati a risolvere alcuni di questi problemi di fondo che da tempo affliggono il sistema, preparando le catene di fornitura a essere più resistenti al prossimo shock.

 

 

Adattato da un articolo apparso su CFR.org. Ristampato previa autorizzazione. Ulteriori analisi e articoli sulle catene di approvvigionamento globali e la politica estera, sono disponibili su CFR.org

 

Leggi il Dossier

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Geoeconomia
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AUTORI

Roger W. Ferguson Jr
Esperto, Council on Foreign Relations
Upamanyu Lahiri
Research Associate, Council on Foreign Relations

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